La scienza va avanti esplorando nuove frontiere. E noi ci ritroviamo a combattere con termini come ‘Ogm’ senza molto sapere di cosa stiamo parlando. Gli Ogm sono il grande successo dell’evoluzione ‘darwiniana’ (senza quelle idee, difficilmente oggi si potrebbe parlare di geni e genetica). Ma, d’altra parte, gli Ogm rappresentano anche la paura della società civile nei confronti della scienza. I motivi di questi timori sono diversi: innanzitutto, bisogna stare attenti a comunicare informazioni corrette, perché l’opinione pubblica possiede un’idea ancora confusa intorno alla sicurezza delle piante ‘transgeniche’. Dunque, il mondo scientifico dev’essere preciso e, allo stesso tempo, più accorto a non fornire spiegazioni artefatte. Per questo motivo, qui non daremo la definizione ‘solita’ di Ogm. Partiamo dal fatto che ogni specie vivente è in continua mutazione, di generazione in generazione: le condizioni esterne selezionano tutte queste modifiche in maniera tale che a sopravvivere siano solo i ‘geni’ adatti a quelle specifiche condizioni esterne (è in questo senso, quindi, che l’ambiente modifica il Dna). L'ingegneria genetica, invece, è ormai in grado di modificare direttamente il Dna, ovvero di imporre ad una specie animale o vegetale una determinata modifica, indipendentemente dall’utilità della modifica stessa per quella specie. Esistono in natura degli insetti, parassiti delle piante, come la Dorifora della patata, la Tignola e la Piralide del mais. Si tratta di insetti che, in gruppi numerosi, portano allo sterminio di intere colture. La Dorifora, ad esempio, attacca la patata sia nello stato giovanile come larva, sia allo stadio adulto, mangiando le foglie della pianta e portandola alla morte. Cosa succede quando milioni di coleotteri polifagi attaccano una coltura intera, visto che bastano solamente due esemplari di Dorifora della patata per mangiare una singola pianta? Si ha un danno economico non indifferente. Stessa cosa accade anche con gli altri insetti sopra citati: la Piralide attacca il mais in campo aperto, mentre la Tignola mangia le scorte nei magazzini: quante volte si trovano nella farina delle larve? Questi sono insetti difficili da monitorare, poiché l’agricoltore dovrebbe somministrare alla coltura dei fitofarmaci che solo in grandi quantità non biodegradabili portano alla sconfitta definitiva del parassita. Il consumatore può scegliere tra un’agricoltura tradizionale e chimica o quella biologica che esclude l’utilizzo di fitofarmaci. Nell’agricoltura biologica si utilizzano degli antagonisti naturali presenti nell’ambiente, qualora questi ci fossero. Ad esempio, viene utilizzato un batterio, chiamato ‘Bacillus thuringensis’, che vive nel terreno e applica un’azione insetticida naturale contro gli insetti ed è innocuo per i mammiferi. Gli scienziati si sono sempre chiesti cosa ci sia di tanto interessante e di ‘insetticida’ in questo batterio. La risposta sta nel suo Dna, che possiede una coppia di geni in grado di codificare la trascrizione e la traduzione di una proteina che funge da insetticida naturale per gli insetti. Gli scienziati, allora, hanno iniziato a ipotizzare di traslare questa coppia di geni direttamente nelle piante, al fine di arrivare a colture vegetali immunizzate dall’attacco di insetti parassiti. La risposta l’hanno avuta quando, tramite un altro batterio, sono riusciti ‘trasportare’ questi geni direttamente nelle cellule vegetali. Le piante, coltivate prima in laboratorio e, in seguito, in campo aperto, erano divenute immuni all’attacco dei parassiti, crescendo in maniera naturale e senza utilizzare concimi o prodotti chimici. Successivamente, dopo quest’invenzione biotecnologica ne sono state fatte delle altre. In qualche modo, infatti, si era capito che la pianta poteva essere modificata per farle produrre qualsiasi sostanza desiderata. Quest’idea, però, è divenuta anche una sorta di ‘boomerang’ per la scienza: era infatti pura utopia pensare che le industrie non si sarebbero gettate a capofitto sulla ricerca, fiutando un affare da miliardi di dollari. Questo ha dunque provocato una forte accelerazione della ricerca scientifica in campo genetico, accorciando, tuttavia, i tempi per i controlli, ovvero diminuendo la quantità di esperimenti scientifici sugli effetti e sugli impatti ambientali delle nuove tecnologie. Come per ogni prodotto industriale, anche nel caso degli Ogm si doveva arrivare sul mercato il prima possibile e ad ogni costo. Molte aziende hanno perciò imposto alimenti transgenici al di là delle leggi e del parere dei consumatori, spesso anche senza informare gli stessi produttori. Ecco dunque perché sulla manipolazione genetica dei vegetali, che era stata concepita come una tecnica ‘pro – ambiente’, la maggior parte delle persone che si dicono ‘ambientaliste’ ne vanno contro. Stati Uniti d’America e Canada si sono schierati favorevolmente, riguardo a queste nuove invenzioni, poiché si è visto il guadagno sia dal punto di vista qualitativo, sia da quello quantitativo. Altri ‘appassionati’ di Ogm sono i Paesi asiatici: anche qui si è impostata una politica imperniata prevalentemente sul risparmio. Il tasto dolente era proprio l’Europa: gli europei, infatti, hanno adottato un ‘principio di precauzione’. In poche parole, fino a quando non si saprà con certezza che gli Ogm non sono nocivi alla salute, non saranno venduti. Ma questa politica non è mai stata del tutto convincente, poiché gli Ogm si riversavano comunque sui mercati, senza molte possibilità di essere sottoposti a forme di controllo effettivamente rilevabili. L’Unione europea ha perciò fatto entrare in vigore un nuovo regolamento teso a limitare la produzione Ogm che, tuttavia, per Paesi come l’Italia, rappresenta comunque un ampliamento. La nostra normativa interna, infatti, limitava la percentuale di contaminazione di una cultura qualsiasi allo 0,1%, mentre quello introdotto dall’Unione europea ha alzato ‘l’asticella’ sino allo 0,9%. Il limite dello 0,1%, in effetti, diveniva un fattore difficilmente rilevabile da chi era intenzionato a controllare la produzione: alzandolo allo 0,9%, chi fa produzione genetica è costretto ad uscire allo scoperto, essendo altresì obbligato ad una scrupolosa etichettatura del prodotto. La Commisisone Ue, in sostanza, ha preferito introdurre un ‘principio di convivenza’ tra l’agricoltura biologica e quella geneticamente modificata finalizzato a controllare meglio la produzione agricola e la sua stessa ‘filiera’ di distribuzione. In Italia, gli Ogm sono poco conosciuti. E in pochi si rendono conto che potrebbe trasformarsi in una vera e propria ‘rampa di lancio’ per l’avvento di un’agricoltura assai avanzata. Tuttavia, ciò deve avvenire contemperando vantaggi e svantaggi, con la cautela e la sicurezza che questa materia, senz’altro, impone.