Non c’è niente di peggio che
i consigli non richiesti, lo so bene. Tuttavia ci provo lo stesso, ed anch’io mi aggiungo al gran numero di coloro che propongono le proprie cure alla CdL gravemente malata. E la sparo grossa:
perché non sciogliere Forza Italia? Spiego subito il senso della mia proposta: tutti sappiamo che ristrutturare un immobile pieno di crepe è più costoso e difficile che demolirlo e ricostruirlo da capo. Questo principio, a mio parere vale anche per Forza Italia. La caratteristica vincente del movimento inventato da Berlusconi è stata quella di essere il contenitore in cui tantissimi italiani hanno potuto riconoscersi. Laici e cattolici, ex fascisti ed ex comunisti, ricchi e poveri, giovani e vecchi, imprenditori e artigiani, liberi professionisti e dipendenti, hanno percepito questo movimento come
“una società aperta”, come un’opzione in cui conferire la propria passione e affidare le proprie speranze. Questa grande capacità di aggregazione è stata la forza del movimento, e l’ha portato a vincere. Oggi Forza Italia è l’esatto opposto di tutto ciò, è una
“società chiusa”, i cui dirigenti regionali, provinciali e comunali, al pari dei vassalli, valvassori e valvassini delle società feudale, assolvono al compito esattamente contrario, cioè precludono la possibilità di esprimere le proprie potenzialità a chiunque esca dai ranghi del loro controllo. Così facendo
Forza Italia si è rinsecchita, come un ramo secco e, del pari,
si è rattrappita l’intera alleanza della CdL, limitata ad una coalizione lombardoveneta, con due partiti,
AN e UDC, che non possono, per loro matrice genetica,
recuperare ciò che Forza Italia è andata progressivamente perdendo.
Da più parti si è argomentato, ora che la crisi della CdL viene
dall’incapacità di produzione di politica, ora dal fatto che
non si è alleata con uno o più piccoli frammenti della politica. In realtà,
entrambe le ragioni si autoalimentano, come tutte le spirali negative. Non si è in grado di aggregare perché non si produce una politica e, conseguentemente, non aggregando energie nuove non si è capaci di rinnovare la proposta politica. Con le forze oggi in campo questo cerchio di sventura non si rompe:
la società feudale non si riforma dal proprio interno, perché sostituire i vassalli serve solo a cambiare i dignitari, non a rendere aperta una società chiusa. Sembra strano ma nessuno pare accorgersi che il
“mondo nuovo” che ha prodotto Berlusconi nella politica italiana, il popolo delle ‘partite Iva’, quello che Bertinotti chiama il blocco sociale partito proprio dalla Lombardia e dal Veneto per poi allargarsi al resto del Paese, oggi
ha concluso la propria corsa proprio tornando al punto di partenza. Senza una nuova rivoluzione, senza un nuovo entusiasmo, senza una originale capacità di aggregazione, non c’è futuro. Al di fuori del mondo feudale di Forza Italia c’è un mondo negletto, una somma di individualità,
una passione per la politica che può, se coltivata, essere il seme di una maggioranza che governa l’Italia in nome della libertà.
Ci sono giornali (come questo) e riviste, ci sono circoli ed associazioni, ci sono reti telematiche di dibattito politico. Ci sono aspirazioni di nuovi partiti che non hanno i mezzi per nascere, ci sono filoni culturali che chiedono espressione politica. Se tutte queste piante fossero coltivate ed annaffiate da chi, come Berlusconi, ha dimostrato di saper essere
un grande innovatore, una personalità capace di far produrre il massimo da chiunque partecipa ad un progetto ambizioso, forse quel circuito virtuoso di cui c’è bisogno, potrebbe nascere. L’Italia della libertà e della passione politica, non necessita di un restauratore, ma di un
maieuta che sia anche un grande federatore.
Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinione delle Libertà" del 10 aprile 2005