Torna l’attenzione dei media sull’aborto per due vicende distinte, ma caratterizzate entrambe da risonanza mondiale. Da una parte, il Parlamento italiano ha approvato trasversalmente la proposta di moratoria internazionale sull’aborto per quei Paesi dove è imposto come strumento per il controllo delle nascite. Dall’altra, il disegno di riforma del sistema sanitario statunitense prevede l’estensione dell’interruzione volontaria di gravidanza anche alle strutture pubbliche, ovvero lo stanziamento di fondi federali per polizze assicurative pubbliche o private che garantiscano anche ai più poveri la possibilità di abortire. Infatti, il ‘Medicaid’, l’attuale programma federale sanitario per gli indigenti, nella maggior parte dei casi non consente l’uso di denaro pubblico a tale scopo. Anche in questo caso, le reazioni sono state trasversali, ma di segno avverso. Al punto che, al Congresso, una ventina di rappresentanti dello stesso partito del presidente hanno sentito la necessità di inviare una lettera di opposizione intransigente alla proposta ai loro omologhi della Camera. Quindi, negli Usa è comunemente accettato che siano solo le benestanti ad essere effettivamente libere di interrompere la gravidanza, mentre i più poveri sono costretti a subire le scelte fatte dal resto della società su di loro (per inciso, situazione analoga tocca alle coppie italiane che non vogliano subire una procreazione assistita punitiva per la donna: gli ultimi dati disponibili dicono che in un anno sono state ben diecimila le coppie che a proprie spese, si sono rivolte all’estero. Ma per i meno abbienti non esistono alternative). Del resto, la risoluzione del nostro Parlamento non può che suscitare apprezzamento, anche se poi il risultato è stato da molti strumentalizzato per altre finalità, attribuendovi significati e implicazioni non corrispondenti alle reali intenzioni della proposta, che si rivolge ad una realtà ben più ampia di quella nazionale. Ma tant’è, ogni occasione è buona per mettere in discussione la 194 che ha avuto, in questi decenni, il pregio di ridurre in assoluto gli aborti fra le italiane e di portare quelli clandestini al di sotto del 10 % (in controtendenza e questo dovrebbe far riflettere, fra le straniere). Ma la notizia che dovrebbe suscitare clamore in Italia e animare gli amministratori e i legislatori nostrani più delle vicende estere è quella che la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza rischia di essere inapplicata per cause di forza maggiore, se è vero come è vero che il 72% dei medici e il 59% dei primari si dichiarano obiettori negli ospedali pubblici. O che in Sicilia, addirittura l’84% dei ginecologi si dichiari tale sempre, ben inteso, nelle strutture pubbliche. Solo i due quinti degli ospedali sono in grado di assicurare la presenza di personale non obiettore per ogni turno. Di fronte a queste cifre c’è da chiedersi se non sia migliore la situazione degli States, dove l’ostracismo è palese, o quella ipocrita dell’Italia, dove le strutture pubbliche finanziate dalla collettività finiscono per essere luoghi in cui è favorita la carriera di coloro che accettano ingerenze e pressioni politiche di una parte a danno di tutti?