Vittorio LussanaLa psicoanalisi è in crisi? E perché? Ci siamo ormai assuefatti ad una banalizzazione di questa scienza, senza chiederci se l'abbiamo interpretata come una serie di concezioni acquisite e di ‘schematismi’ di carattere ideologico - religioso? E’ quanto abbiamo chiesto al professor Giordano Fossi, psicoanalisista didatta presso la Società psicoanalitica italiana, nonché autore del magnifico saggio: “Una proposta evoluzionista per la psicoanalisi”, pubblicato per i tipi della FrancoAngeli edizioni.

Professor Fossi, la psicoanalisi è veramente in crisi?
“Occorre fare una distinzione fra crisi teorica e crisi professionale: per quanto riguarda la prima, ormai il mondo scientifico ha posto la psicoanalisi fra le ‘pseudoscienze’ ed ha smesso di occuparsene. Io sono d’accordo con Home, uno psicoanalista che, nel 1966, sul Giornale ufficiale della psicoanalisi internazionale (IPA), scrisse che, con la teoria sull’inconscio, è stata fatta un’operazione religiosa. La crisi è invece meno evidente sul piano professionale, ma questo vuol dir poco se pensiamo al successo dell’astrologia, della chiromanzia o di cose simili…”.

E come è stata possibile una simile regressione per una materia con pretese scientifiche sviluppata, oltretutto, da un ebreo ateo?
“Credo per due grossi equivoci: il primo è stato quello di attribuire all’inconscio un’esistenza reale, dotandolo di contenuti e di modalità funzionali sue proprie. In assenza di qualunque referente concreto, ognuno ha finito col descriverlo come preferiva, proprio come è successo con Dio. Per dare un’idea di come la pensava Freud, ora affermava che equivalesse al cervello, altre volte che era qualcosa di completamente diverso. Il secondo equivoco, poi, riguarda la dipendenza dalla neurologia ottocentesca, che collocava le idee dentro il cervello (per Freud fra un neurone e l’altro), idee che venivano attivate da una energia con caratteristiche qualitative (per Freud di natura sessuale, il che spiegava la natura sessuale di ogni comportamento) e che, per risolvere l’ideazione dietro alle idee conscie, si ponevano quelle inconscie, esattamente come per il calore nel ‘700, che veniva spiegato dalla esistenza del ‘caloricum’…”.

Perché questi errori non sono stati corretti?
“Proprio qui sta l’equivoco: Freud presentò la propria teoria come derivata dall’esperienza clinica, convinto della sua validità poiché veniva accettata dai pazienti e perché era in grado di spiegare tutto proprio come fanno le religioni o la teoria delle fate. Inoltre, esisteva - ed esiste tuttora - un grande interesse personale a non farlo: dietro la astrusa fumosità dei concetti, l’impianto teorico era semplicissimo, poteva essere imparato in un paio di giorni e non v’era possibilità di essere confutati in quanto, se le cose non tornavano a livello conscio, si poteva sostenere che ciò fosse possibile a livello inconscio. Questo conferiva agli psicoanalisti la omniscenza, grande prestigio e facilità di lauti guadagni”.

E’ possibile uscire da una crisi del genere?
“Certo”.

E come?
“Sono quarant’anni che un gruppo di psicoanalisti lo sta indicando: occorre sostituire la teoria ottocentesca sulla quale si fonda la psicoanalisi attuale con la neurobiologia e l’evoluzionismo moderno. Secondo questi sistemi scientifici, infatti, parlare dell’esistenza concreta di un inconscio come fosse un organo diverso dal cervello è “una bestemmia”. Ciò che dobbiamo invece spiegare è come siamo giunti, solo noi uomini, a raggiungere la consapevolezza riflessiva. Teniamo presente che, così facendo, non ci sarà affatto bisogno di rinunciare ai classici concetti psicoanalitici come ‘transfert’, ‘resistenze’ e ‘interpretazione dei sogni’, bensì potranno essere riformulati all’interno di una coerente visione scientifica. Freud stesso, in una fase di coerenza scientifica (1926), fondò l’identità scientifica della psicoanalisi sull’evoluzionismo, poiché lo riteneva utile per la pratica clinica e promise di farlo insegnare nelle scuola di psicoanalisi. Ma poi non ne fece più nulla, inaugurando una linea di condotta tuttora operante: nell’impossibilità di muovere serie obiezioni alle proposte fatte da chi segue i paradigmi della scienza moderna, in termini pratici le si ignora, oppure si cerca nella scienza quei punti che potrebbero suonare a conferma di teorie di per sé inaccettabili”.

Da cosa derivano questi stretti legami fra psicoanalisi ed evoluzionismo?
“Freud prese da Darwin molti concetti (Jones lo definiti: “Il Darwin della mente”). Inoltre, le due discipline hanno lo stesso oggetto di studio: la radice inconscia dei nostri motivi coscienti. Freud interpretò la questione ponendo dietro ai motivi consci quelli inconsci, mentre Darwin li fece risalire alla ‘filogenesi’. In sintesi, in ogni essere vivente le caratteristiche del nostro cervello (cioè dell’ideazione e del comportamento) sono quelle che nei milioni di anni sono state selezionate perché in grado di far sopravvivere e riprodurre le specie che hanno preceduto quelle attuali. Si tratta di un principio che neppure la Chiesa cattolica mette in dubbio: vedi il recente dossier sulla evoluzione pubblicato da ‘Vita pastorale’….”.

Questo nuovo approccio è valido anche nella prospettiva psicoterapeutica?
“Prima di risponderle, devo correggere un paio di errori che gli psicoterapeuti tendono a commettere sul piano teorico, ma non su quello clinico: sostenere che in psicoterapia agisca un solo fattore psicoterapeutico, quello dalla propria o di altre scuole (sembra siano più di 800), ritenendo che, grazie a questo fattore psicoterapeutico, si ottenga la guarigione delle malattie mentali. Se invece realisticamente accettassimo che in ogni forma di psicoterapia agiscano molteplici fattori terapeutici (a cominciare dalla soddisfazione di alcuni bisogni) e che i risultati che possiamo ottenere sono diversi, l‘evoluzionismo assume un’importante funzione psicoterapeutica. Con la psicoterapia che utilizza i concetti della psicologia evoluzionista possiamo dunque aiutare i soggetti a conoscere meglio se stessi e gli altri, a migliorare le proprie capacità affettive e di ragionamento, ad affrontare meglio le difficoltà della vita (fra queste le malattie psichiatriche) e i rapporti interpersonali. Io penso che Grinde, quando ha pubblicato, nel 2002, il libro “Felicità Darwiniana”, abbia esagerato. Ma, di sicuro, possiamo tutti imparare a vivere meglio”.

E per il futuro?
“Sono in fase di studio dei nuovi seminari annuali di psicoanalisi evoluzionista presso il Centro fiorentino di studio dell’evoluzionismo che, senza scopo di lucro, chiederà il riconoscimento di una Scuola omonima. Trattandosi di scegliere fra scienza e ‘pseudoscienza’, il Ministero per la Ricerca scientifica non dovrebbe aver dubbi. Ma siamo in Italia… In ogni caso, potrete trovare ulteriori informazioni sul sito web: www.psicoanalisi-evoluzionista.com”.



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massimo - roma - Mail - giovedi 1 settembre 2011 14.12
L'intervista del Prof Fossi non è affatto nuova dal punto di vista del giusto sforzo che l'epistemologia della ricerca scientifica deve continuamente operare pena la stasi stessa della scienza. Tuttavia le parole, le definizioni e le indicazioni risuonano come un nuovo manifesto della psicoterapia, questa volta in pace con la neurobiologia e con l'evoluzionismo moderno ( di cui nessuno ne spiega bene i contenuti). Insomma se pensiamo che nell'ultimo intervento di silvio Garattini, autorità nel campo farmacologico ufficiale, sostiene che la ricerca farmacologica è fortemente arretrata nel campo della psichiatria, non sono più stati sintetizzate nuove molecole, davvero nuove dagli anni 50, non si capisce bene a cosa si riferisce il prof Fossi quando auspica una sinergia scientifica tra psicoterapia e neurobiologia. E a che cosa serva la neurobiologia se non a definire meccanismi chimici che realizzano finalmente il sogno di rappresentare figurativamente l'inconscio come fosse una cartina geografica. Che, come tutte le csartine geografiche, rappresentano sommariamente il profilo fisico, ma non concentaono di fermare, ad esempio i terremoti, oppure possono rappresentare una salita, ma non definirne le difficoltà effettive di chi la affronta davvero in base alle proprie possibilità atletiche. e potremmo continuare all'infinito a stilare incongruenze della statistica e della geografia. Il problema di fondo è che in italia sono in aumento gli interventi sanitari obbligatori, e la psichiatria istituzionalizzata sprofonda sempre più nella'approccio farmacologico di contenimento, mentre la psicoterapia rimane un isola costosa e settaria. Probabilmente invece di occuparsi delle disquisizioni tra inconscio a se e cervello, ci si dovrebbe occupare di un altro tipo di inconscio: quello collettivo. Visto che, a meno che la neurobiologia affermerà non esista nemmeno questo a livello di pensiero a se, dall'89 in poi la marcia verso la medicalizzazione dell'accademia corporativa degli albi ha determinato per forza di cose questo sposalizio tra psicologia e medicina, davvero pervasivo e costrittivo per coloro i quali sono liberi di immaginarsi il loro inconscio dove, come e quando vogliono.
Lucia - Roma - Mail - giovedi 23 luglio 2009 20.5
Intervista molto interessante, soprattutto per il modo in cui è stata scritta, poiché espone sinteticamente la questione senza fronzoli attraverso un dialogo sereno ma serrato. Insomma, un'intervista da manuale del giornalismo, niente da dire.
LuciaP

Riccardo - Firenze - Mail - giovedi 23 luglio 2009 9.10
Sì, l'articolo è sicuramente interessante perché enuclea chiaramente e in modo asciutto ciò di cui vuole parlare e come ne parla.
Per la mia esperienza personale, desidero aggiungere che a volte ci si rivolge alla psicoanalisi non tanto per trovare il perché (o un possibile perché) al proprio disagio psichico ed esistenziale, quanto semmai per poter descrivere quello che veramente proviamo e quel che, in ultima analisi, siamo veramente. In altre parole, la nostra malattia interiore spesso ha bisogno di essere prima di tutto descritta nel modo corretto, e solo dopo, semmai, interpretata. Da nominalista, potrei dire che si tratta sempre di trovare la parola giusta che in un determinato momento descrive veramente ciò che proviamo e che siamo. Non è così semplice come sembra; se disponessimo sempre delle parole giuste (interiori o espresse ad altri) con cui riferirci a noi stessi, saremmo sempre in pace.
E anche questa ricerca può far parte di quella relazione umana sempre in essere, tutta particolare, che è la psicoanalisi come prassi.
Francesca - Cagliari - Mail - mercoledi 22 luglio 2009 17.59
Ottima intervista. l'interlocutore espone una tesi che ritengo valida, poiché da anni sostengo che la visione freudiana vada per lo meno rielaborata, se non del tutto superata. non tutti imperniano le proprie emozioni, le proprie impressioni e decisioni sulla base di pulsioni di tipo sessuale. o non sempre. e non credo che ciò relativizzi la questione.
FRANCESCA
Roberto - Roma - Mail - mercoledi 22 luglio 2009 17.45
Sulle interviste, Vittorio, sei sempre il migliore. Un salutone amico carissimo.
Arianna - Roma - Mail - mercoledi 22 luglio 2009 16.56
Finalmente un'intervista in cui le domande sono secche,sintetiche e puntuali.
Complimenti al giornalista.
Arianna
Krizia - Genova - Mail - martedi 21 luglio 2009 9.47
Dimenticavo il gli esami del sangue, emocromo completo, glicemie etc.
Somatizzazioni
e poi bla bla bla ( passato e presente)

Krizia
Krizia - Genova - Mail - martedi 21 luglio 2009 9.38

Per me si parte dalle somatizzazioni per avere un piano clinico della persona

Krizia
David - Lucca - Mail - lunedi 20 luglio 2009 18.24
La gente si rivolge ai cartomanti per una questione di mentalità atavica, ancorata al tradizionalismo italico più arretrato. Io continuo ad apprezzare la lezione freudiana, se interpretata letteralmente e non in maniera forzosa.

Virginia - venezia - Mail - lunedi 20 luglio 2009 18.12
Articolo su un tema particolare ed interessante.
Non le solite cose noiose che si trovano per i giornali.
Grazie Vittorio


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