Chiara ScattoneL’emissione di obbligazioni da parte dell’Eni sembra stia riscuotendo un grande successo. La pubblicità, grandiosa, è stata probabilmente una mossa vincente. Lo stesso protagonista del telefilm su Enrico Mattei ha ricordato agli italiani la grinta e la passione dell’uomo che costituì l’Eni e diede avvio alla grande opera di costruzione di gasdotti per il metano, impiantando addirittura le basi per l’introduzione del nucleare in Italia. L’operazione di emissione di obbligazioni da parte dell’Enel , pari ad 1 miliardo di euro, è, insieme a quella dell’Eni, una delle ultime operazioni di indebitamento compiute ultimamente da molteplici aziende in tutto il mondo. Aumenti di capitale, emissioni di obbligazioni, un bisogno disperato di liquidità non più concessa dalle banche oramai – ma Draghi nelle sue Considerazioni finali all’Assemblea dei Partecipanti del 29 maggio scorso, non aveva auspicato al contrario un ripristino dei prestiti alle imprese e alle famiglie nel breve periodo? –, sono sicuramente due degli aspetti interessanti nel sistema economico e finanziario mondiale. Nei primi cinque mesi del 2009 è stato registrato un fenomeno piuttosto inquietante e al tempo stesso ottimista: l’emissione di bond da parte delle imprese è stata pari ad € 172,63 mln (Société Générale parla di € 168,6 mln): un dato record, che ha superato il già incredibile dato registrato nel 2001. La situazione finanziaria può essere semplicemente schematizzata più o meno così: le aziende hanno bisogno di liquidità, le banche sono restie a concedere prestiti e così gli investitori (privati) sono lieti di finanziare imprese nazionali e internazionali. Ma tutte queste emissioni di obbligazioni rappresentano un bene per la società economica o possono invece indicare l’avvio di un percorso malato che le aziende stanno intraprendendo? Le obbligazioni costituiscono sempre un vantaggio per gli investitori? E l’eccesso di emissioni devono segnalarci un campanello di allarme che l’economia non gira tanto bene così come si vorrebbe far credere? Le obbligazioni, o bond che dir si voglia, rappresentano uno strumento di autofinanziamento per le imprese, che in questa maniera riescono a recuperare liquidità immediata dal pubblico risparmio, con tempi di restituzione del debito a lungo termine, e garantiscono inoltre all’investitore una percentuale di guadagno che generalmente aumenta al protrarsi della scadenza dell’obbligazione. Pertanto le obbligazioni diventano uno strumento di finanziamento immediato per le imprese e, al tempo stesso, di guadagno per l’investitore che così facendo diviene creditore dell’azienda. Come in tutte le cose, gli eccessi e l’uso talvolta sconsiderato di un qualsivoglia oggetto, pensiero o atteggiamento non crea limpide prospettive. E così l’eccessiva emissione di obbligazioni che finora è stata registrata comincia a far impensierire gli addetti ai lavori e non solo. Il ritrovato entusiasmo economico di questi ultimi tempi non sembra trovare giustificazioni particolarmente stabili, anche perché la situazione economico-finanziaria non appare ancora così definita tale da far dormire sonni tranquilli a tutti gli investitori. Inoltre un ulteriore elemento di preoccupazione e che di certo non fa ben sperare per il prossimo futuro è che questa innaturale eccessiva liquidità si sta rovesciando sulle banche centrali e sugli Stati. E, un simile fenomeno, può certamente essere foriero di effetti perversi per la nostra economia, controproducenti per un’effettiva e duratura ripresa. Le imprese emettono obbligazioni, le banche emettono obbligazioni, gli Stati emettono obbligazioni, le Borse registrano un incremento delle operazioni: l’ottimismo diffuso e questo disperato tentativo di recuperare denaro sonante tra i risparmiatori non sono il sintomo di una ripresa dell’economia. Anzi, un ulteriore fenomeno su cui riflettere è che tutto questo fermento ha comportato un elevato incremento dei prezzi pari a circa il 64%, anche per quelle obbligazioni che hanno un alto tasso di rischio di default e che sono indicate con il rating “CCC”. Segno quest’ultimo che gli investitori non dimostrano di avere più paura della crisi e dei fallimenti registrati fino a qualche mese fa e sono ora nuovamente disposti ad accollarsi gli altissimi rischi di crack. Un ulteriore dato da non sottovalutare è che un simile livello di innalzamento dei prezzi, dovuto certamente dall’incremento della domanda, non si vedeva da prima del crack della Lehman Brothers. Gli investitori non hanno imparato nulla dai recenti fallimenti e dimostrano di avere la memoria corta? O, al contrario, le imprese (le banche e gli Stati) cavalcano l’onda di questo apparente recupero di ottimismo e se ne approfittano, anche perché non riescono ad accedere più ai finanziamenti istituzionali dal momento che le banche hanno chiuso i loro rubinetti? L’Italia non si trova in una situazione migliore degli altri Paesi europei, anche se il nostro governo cerca di mettere la testa sotto la sabbia e sta cercando di convincere tutti noi che la ripresa è imminente e sarà grandiosa. I dati parlano chiaro: la disoccupazione è a livelli mai visti prima d’ora da molti anni (tant’è che lo Stato ha varato proprio in questi giorni l’idea di concedere un bonus a chi non licenzia), la cassa integrazione sembra essere uno degli strumenti “finanziari” privilegiati dalle aziende in crisi e la situazione economica di chi il lavoro ce l’ha ancora è piuttosto precaria (lo stipendio non basta mai e la rata del mutuo pesa come un macigno nelle tasche delle famiglie) e lontana dall’ottimismo dimostrato in Borsa e dagli investitori. Sono convinta che se certamente da un lato questo fermento ad ‘alti livelli’ dell’economia è un buon segno, dall’altro non bisogna lasciarsi incantare dal troppo ottimismo e da questo disperato desiderio di liquidità delle aziende, e il piccolo investitore dovrebbe cercare di non farsi illudere con gli alti guadagni e le belle speranze dei promotori, ricordandosi sempre la regola aurea della finanza: alte percentuali di guadagni equivale ad un alto rischio di perdita.


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