Giusto o sbagliato, prima di tutto è il mio Paese. Non è solo uno ‘slogan’: è il principio cardine del popolo britannico. Non a caso questo è il ‘motto’ di chi ha inventato lo Stato costituzionale, che oggi chiamiamo di diritto, e ha dato certezza ai diritti individuali contro il potere assoluto. Ma è difficile che sappia l’inglese chi non sà nemmeno l’italiano. Qui non si tratta di condividere o meno la politica di Di Pietro. E chi legge ‘laici.it’ sa che non solo non la condividiamo, ma la disprezziamo. Né si tratta di condividere o meno la politica di Berlusconi. E chi legge ‘laici.it’ sa che ne vediamo tutti i limiti, le contraddizioni e anche gli errori. Si può essere all’opposizione, ambire a rovesciare legittimamente le sorti e andare al governo. Si può anche tentare di annientare il Pd e prenderne il ‘posto’. Ma non si può, anzi non si deve farlo a spese della comunità, svergognando senza rimedio, inutilmente e falsamente, il proprio Paese. Quello di Di Pietro non è un atto politico: è un atto ignobile. Ed è recidivo. Come non ricordare che, nel 1994, proprio durante lo svolgimento del G8 a Napoli, notificò in mondovisione l’avviso di garanzia al Presidente del Consiglio? Tutti ricordano la vicenda. La notifica fu accompagnata dalla famosa frase, chiaramente illustrativa dello spirito di equilibrio che caratterizzava il Di Pietro magistrato: “Io quello lo sfascio”. La conclusione fu: ‘sputtanamento’ universale per il nostro Paese, assoluzione per l’indagato, carriera politica per Di Pietro. E questo è il centro della questione. Dobbiamo la carriera politica di Di Pietro ai due campioni, eterni rivali del Pci, poi Pds, poi Ds, ora Pd: D’Alema e Veltroni. Fu infatti D’Alema a imporre nel collegio blindato del Mugello un Di Pietro ‘in fuga’ dalla magistratura. Ed è stato Veltroni che, preferendolo negli abbinamenti alla sinistra comunista, ha deciso il successo del primo e la morte della seconda. Ora, quel galantuomo sta ricambiando il favore a modo suo, cercando cioè di annichilire il Pd. E i due campioni di ogni insuccesso sono in seconda fila. Ci sono tre candidati alla leadership del partito: nelle loro mani è il destino della sinistra italiana e, quindi, indirettamente anche dell’intero Paese. Dicano una parola limpida su questa infamità. E facciano una scelta chiara in ordine all’alleanza suicida. Lo faranno per se stessi, ma un po’ anche per noi.