L’Enciclica di Papa Benedetto XVI, ‘Caritas in veritate’, non è affatto malvagia, voglio dirlo subito. Anche se alcuni versanti mi sono apparsi piuttosto ambigui o ‘variamente interpretabili’. Innanzitutto, Joseph Ratzinger ha saputo prendere positivamente spunto dal concetto di carità come principale forza propulsiva di un rilancio dello sviluppo della persona. La carità rimane la via maestra della dottrina sociale della Chiesa e l’attuale processo di ‘degenerazione valoriale’ della società, la quale spesso è percorsa da istinti primordiali di chiusura egoistica, rischia di estrometterla da ogni genere di valutazione analitica. Secondo il pontefice, due debbono essere i criteri di orientamento della nostra azione morale: giustizia e bene comune. In pratica, ogni cristiano è chiamato alla carità anche attraverso una ‘via istituzionale’, in grado di incidere nella vita della ‘polis’, nel vivere sociale appunto. La Chiesa non pretende di possedere soluzioni tecniche particolari. Tuttavia, afferma di avere una missione di verità da compiere in favore della dignità dell’uomo e per una società basata sulla sua ‘vocazione’. Su questo punto, Ratzinger si è richiamato a Paolo VI, il quale a suo tempo aveva affermato l’imprescindibile importanza della costruzione di una società libera e giusta. I forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale, sotto il profilo strettamente filosofico contemplano pienamente tale relazione. Dunque, diviene necessario coniugare lo sviluppo socio - economico nei termini della ‘vocazione’ umana in quanto appello trascendente volto alla promozione stessa dell’uomo: un ragionamento ampiamente condivisibile, quasi liberale. La fede cristiana si occupa dello sviluppo, ma naturalmente non può non interessarsi anche ai problemi del sottosviluppo. Esso ha le proprie cause, secondo il Pontefice, nella “mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli, in una società sempre più globalizzata che ci rende vicini, ma che sembra aver dimenticato la fratellanza. Bisogna perciò mobilitarsi affinché l’economia evolva verso esiti pienamente umani, poiché mantenere come obiettivo esclusivo quello del profitto senza contemperarlo con il bene comune, rischia di distruggere la ricchezza prodotta e creare nuove povertà”. Le principali ‘distorsioni’ dello sviluppo, sempre secondo il Pontefice, sono da ricercarsi in: a) attività finanziarie per lo più speculative; b) flussi migratori spesso provocati e, poi, mal gestiti; c) sfruttamento sregolato delle risorse della Terra. Su questi problemi, il Papa invoca “una nuova sintesi umanistica”, poiché lo sviluppo, oggi, è ‘policentrico’: cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità e le nuove povertà. “La corruzione”, scrive a un certo punto Ratzinger, “è presente sia nei Paesi ricchi, sia in quelli poveri, mentre le grandi imprese transnazionali spesso non rispettano i diritti dei lavoratori e gli aiuti internazionali sono ‘distolti’ dalle previste finalità”. In effetti, già subito dopo la fine dei ‘blocchi contrapposti’, Giovanni Paolo II aveva chiesto una riprogettazione globale dello sviluppo. Ma ciò non è avvenuto, se non in parte. Al contrario, sono emersi fenomeni di delocalizzazione della produzione, a fini di sfruttamento della mano d’opera a basso costo. Simili processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori. Inoltre, si verifica, talvolta, che i governi, anche per ragioni di utilità economica, limitino le libertà sindacali. Sbagliando ‘di grosso’, poiché “il primo ‘capitale’ da salvaguardare e valorizzare è proprio l’uomo”, afferma il Papa, “e la persona nella sua integrità. Sul piano culturale, le possibilità di maggior interazione aprono nuove prospettive di dialogo. Ma vi è un duplice pericolo”, avverte il pontefice: “In primo luogo, un ‘eclettismo culturale’ in cui le culture vengono considerate sostanzialmente tutte equivalenti; in secondo luogo, sorgono molto spesso forme di ‘appiattimento’ culturale con conseguente omologazione degli stili di vita. Manca, inoltre”, spiega ancora Ratzinger, “un assetto di istituzioni economiche in grado di fronteggiare autentiche emergenze quali quelle della fame e della povertà, questioni che debbono essere affrontate attraverso la ricerca di nuove frontiere nelle tecniche di produzione agricola e tramite eque riforme agrarie nei Paesi in via di sviluppo”. Insomma, fin qui tutto bene: abbiamo un Papa liberale ‘carico’ di tendenze ‘terzomondiste’, che si preoccupa, con un certo grado di sincerità, dell’avvenire del mondo, sia di quello ricco, cinico e ‘sprecone’, sia di quello povero, sfruttato e abbandonato. Dopodiché, giungono alcune contraddizioni: Benedetto XVI, innanzitutto, sottolinea che il rispetto per la vita non può in alcun modo essere disgiunto dallo sviluppo dei popoli. “In varie parti del mondo”, avverte, “perdurano pratiche di controllo demografico che giungono ad imporre anche l’aborto. Nei Paesi sviluppati si è diffusa una mentalità ‘antinatalista’ che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come fosse un progresso culturale. Inoltre”, prosegue, “vi è il fondato sospetto che, a volte, gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a politiche sanitarie implicanti, di fatto, l’imposizione del controllo delle nascite. E preoccupanti sono pure le legislazioni che prevedono l’eutanasia”. Attorno a queste righe, naturalmente, mi sono chiesto quale ‘caspita’ di Enciclica abbiano letto i molti ‘cantori’ del Papa di questi ultimi giorni. La questione della natalità nei Paesi in via di sviluppo non è legata esclusivamente a fattori ‘quantitativi’, bensì ‘qualitativi’, strettamente connessi al progetto di società che si intende prefigurare antropologicamente. Non si chiede una pianificazione delle nascite in quanto ‘governance superomistica’, bensì la possibilità di cominciare a prospettare una pianificazione familiare ‘privatistica’ che si distanzi da determinate convenzioni patriarcali o da concezioni ‘tribali’. In Paesi in cui vige la violenza e la povertà più assoluta, non sempre è possibile chiedere alle donne di evitare l’aborto e di rischiare la propria vita al fine di dare alla luce un figlio purchessia, magari dopo aver addirittura subito gravissime violenze, spesso nel loro stesso ambito familiare. Per aiutare l’umanità a sopravvivere in società ‘estreme’, divengono necessarie scelte ‘radicali’, decisioni coraggiose, financo ‘sperimentali’, anche uscendo dal ‘confine’ di ciò che moralmente viene considerato ‘normale’. In questo, il Papa mantiene la propria ‘rigidità’ nei confronti di tutto ciò che, pur non rappresentando certamente un ‘bene’, potrebbe comunque essere considerato riconducibile ad esso. I suoi presupposti teologico - moralistici rigettano ‘in toto’ tali logiche, restando in mezzo al ‘guado’ di questioni che, nella sostanza, finiscono col rimanere quello che sono o esattamente come sono. In un’ottica meramente contemplativa, il semplice ‘non bene’ viene respinto a priori, contribuendo a confusioni culturali gravissime, che ancorano le società, anche quelle più evolute, a concezioni scarsamente lungimiranti. La Chiesa, pur non rappresentando certamente ‘l’istituzione – causa’ dell’egoismo sociale, semplicemente ne rimane ‘impigliata’ per la mancanza di un proprio ‘approccio razionalistico’ e per scarsa ‘esemplarità umanocentrica’. Che è quanto favorisce, nella società attuale, le varie forme di ‘indifferentismo individualistico’. Intorno a questo genere di problemi, la Chiesa dimostra di continuare a perseguire un principio paternalisticamente provvidenzialista: pur non risultando la principale, né l’unica, colpevole di un mondo basato sulla fortuna e sulla casualità – la fortuna di nascere in un Paese ricco o la casualità di poter formare la propria personalità in un nucleo famigliare ‘ideale’ - ne diviene sostanzialmente compartecipe, poiché si rassegna a seguirne il flusso degenerativo. “Quando una società si avvia verso la negazione e la soppressione della vita”, scrive ancora Ratzinger, “finisce per non trovare più motivazioni ed energie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo”. La questione, insomma, risulta poco compresa: quale sarebbe, di grazia, il bene dell’uomo se non quello di aiutare il prossimo amandolo prima ancora di se stessi? Assai più interessante, invece, sembra essere il Ratzinger ‘economista’, che ‘plana’ sul socialismo passando per la critica ai due estremismi del fondamentalismo religioso e dell’ateismo. “Le scelte economiche”, scrive il Papa, “debbono perseguire, quale priorità, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti. Un’economia del breve e talvolta brevissimo termine determina un abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori, per far acquisire ad un Paese maggiore competitività internazionale”. Per questi motivi, Benedetto XVI esorta ad una “correzione delle disfunzioni del modello di sviluppo, come richiede, oggi, anche lo stato di salute ecologica del pianeta”. E sulla globalizzazione conclude: “Lo sviluppo, se vuole essere autenticamente umano, deve fare spazio al principio di gratuità. Ciò vale in particolare per il mercato: senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, esso non può pienamente espletare la propria funzione economica. Il mercato”, ribadisce il Papa, “non può contare solo su se stesso, ma attingere energie morali da altri soggetti, non deve considerare i poveri un ‘fardello’, bensì una risorsa. Il mercato non deve diventare luogo della sopraffazione del forte sul debole. E la logica mercantile va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica”. Il Papa precisa che il mercato non è negativo per natura. Dunque, ad essere chiamato in causa è “l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità. L’attuale crisi mostra che i tradizionali principi dell’etica sociale - trasparenza, onestà e responsabilità - non possono venire trascurati. Al contempo, l’economia non elimina il ruolo degli Stati e ha bisogno di leggi giuste”. Riallacciandosi alla ‘Centesimus Annus’, Benedetto XVI indica dunque la necessità di un sistema a tre soggetti, rilanciando, appunto, il terzo settore, quello solidaristico e cooperativista della più antica tradizione riformista: mercato, Stato e società civile. E incoraggia una “civilizzazione dell’economia, poiché servono forme economiche solidali. Mercato e politica necessitano di persone aperte al dono reciproco. La crisi attuale”, afferma, “richiede dei profondi cambiamenti per l’impresa. La sua gestione non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari, ma deve anche farsi carico della comunità locale”. In questo punto, esplicito è il riferimento ai manager che spesso “rispondono solo alle indicazioni degli azionisti” ed invita ad evitare “un impiego ‘speculativo’ delle risorse finanziarie”. Inoltre, il fenomeno della globalizzazione non è da intendere solo in quanto “processo socio - economico: non dobbiamo essere vittime, ma protagonisti della globalizzazione, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. Alla globalizzazione serve un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, capace di correggerne le disfunzioni. C’è la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza, ma la diffusione del benessere non va frenato con progetti egoistici o protezionistici”. L’Enciclica sviluppa poi il tema dello sviluppo dei popoli, dei diritti e dei doveri, insieme alla questione ambientale. Il tema è quello della “rivendicazione del diritto al superfluo nelle società opulente, mentre mancano cibo e acqua in certe regioni sottosviluppate. Ma i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri”, rileva, “impazziscono. Diritti e doveri rimandano ad un quadro etico. Se invece trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, possono essere cambiati in ogni momento. Governi e organismi internazionali non possono dimenticare l’oggettività e l’indisponibilità dei diritti”. Al riguardo, il pontefice torna a soffermarsi sulle “problematiche connesse alla crescita demografica. E’ scorretto considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo. La sessualità non si può ridurre a mero fatto edonistico e ludico. Né si può regolare la sessualità con politiche materialistiche di forzata pianificazione delle nascite. L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. Gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità della famiglia. L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, ma non di un’etica ‘qualsiasi’, bensì di un’etica amica della persona. La stessa centralità della persona deve essere il ‘principio - guida’ negli interventi per lo sviluppo della cooperazione internazionale, che devono sempre coinvolgere i beneficiari. Gli organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici, spesso troppo costosi. Capita, a volte, che i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche”. Di qui, l’invito ad una “piena trasparenza sui fondi ricevuti”. Per quanto concerne la questione climatica e ambientale, Ratzinger scrive: “Per il credente, la natura è un dono di Dio da usare responsabilmente. L’accaparramento delle risorse da parte di Stati e gruppi di potere costituisce un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri. La comunità internazionale deve perciò trovare strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Le società tecnologicamente avanzate”, aggiunge, “possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico, mentre deve avanzare la ricerca di energie alternative. In fondo, è necessario un effettivo cambiamento di mentalità, che ci induca ad adottare nuovi stili di vita. Uno stile che oggi, in molte parti del mondo è incline all’edonismo e al consumismo. Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Ma se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, la coscienza umana finisce per perdere il concetto di ecologia umana e quello di ecologia ambientale”. Sulla famiglia, Benedetto XVI sottolinea che “lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia. D’altronde, la religione cristiana può contribuire allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica. Con la negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione, la politica assume un volto opprimente e aggressivo”. E avverte: “Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo tra la ragione e la fede. Una rottura che comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità”. Il Papa fa poi un riferimento al ‘principio di sussidiarietà’, che offre un aiuto alla persona “attraverso l’autonomia dei corpi ‘intermedi’. La sussidiarietà”, spiega il Papa, “è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista ed è adatta ad umanizzare la globalizzazione. Gli aiuti internazionali possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza. Per questo motivo, essi vanno erogati coinvolgendo i soggetti della società civile e non solo i governi: troppo spesso, gli aiuti sono valsi a creare soltanto mercati marginali per i prodotti dei Paesi in via di sviluppo”. Ratzinger esorta inoltre gli Stati ricchi a “destinare maggiori quote del Pil per lo sviluppo, rispettando gli impegni presi”, auspicando altresì “un maggiore accesso all’educazione e, ancor più, alla formazione completa della persona: cedendo al relativismo, si diventa più poveri. Un esempio”, scrive ancora Ratzinger, “ci è offerto dal fenomeno perverso del turismo sessuale. E’ doloroso constatare che ciò si svolge spesso con l’avallo dei governi locali, con il silenzio di quelli da cui provengono i turisti e con la complicità di tanti operatori del settore”. Il pontefice affronta anche il “fenomeno epocale” delle migrazioni: “Nessun Paese, da solo, può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori. Ogni migrante è una persona umana che possiede diritti che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione. I lavoratori stranieri non debbono essere considerati come una merce, poiché evidente è il nesso diretto tra povertà e disoccupazione”. Ratzinger, a questo punto dell’Enciclica, invoca “un lavoro decente per tutti” e invita i sindacati “a volgere lo sguardo verso i lavoratori dei Paesi dove i diritti sociali vengono violati. La finanza, dopo un suo cattivo utilizzo, che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato allo sviluppo. Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività”. Il Pontefice richiama anche “l’urgenza di una riforma dell’Onu e dell’architettura economica e finanziaria internazionale. Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale che si attenga in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Un’Autorità che goda di potere effettivo”. Il Papa invoca, in pratica, un grado superiore di ordinamento giuridico internazionale, al fine di governare la globalizzazione: in sostanza, una ‘governance economica’. Indicazione che, francamente, rimane su di un piano palesemente generico, poiché poco chiaro appare il tipo di ‘governance’ che si è inteso tratteggiare, lasciandoci nel campo delle mere interpretazioni. Un processo di autoregolamentazione imprenditoriale che parta dal ‘basso’ dei processi produttivi può infatti risultare perfettamente compatibile con le logiche ‘canoniche’ più classiche del capitalismo, assai meno se si pensa a strutture ‘pachidermiche’ dal vago sapore burocratico. Nell’ultimo capitolo, infine, Benedetto XVI torna sui suoi consueti ‘sentieri’ del pessimismo moralistico, mettendo l’umanità in guardia dalla “pretesa ‘prometeica’ di potersi ricreare avvalendosi dei ‘prodigi’ della tecnologia. La tecnica non può avere una libertà assoluta. E lo stesso processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica. Connessi con lo sviluppo tecnologico sono i mezzi di comunicazione sociale, chiamati a promuovere la dignità della persona e dei popoli. Campo primario della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica”, afferma Benedetto XVI, che aggiunge: “La ragione, senza la fede, è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza. La ricerca sugli embrioni e la clonazione sono promosse dall’attuale cultura, che crede di aver svelato ogni mistero”. In sostanza, il Papa teme “una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite: lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale”. Considerazioni quest’ultime che, naturalmente, ci hanno lasciato un po’ perplessi.