Il terremoto aquilano dello scorso 6 aprile è stato accompagnato da numerose polemiche intorno all’effettiva prevedibilità del sisma verificatosi: tra dichiarazioni e smentite si è creato un caos informativo che rischia di generare fraintendimenti e convinzioni errate. Il professor Luigi Rodolfo Ardanese, geologo dell’ex Servizio geologico nazionale ed ex docente di Geochimica all’Università di Urbino, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Negli anni passati, egli si è anche interessato del gas radon (inodore, insapore e radioattivo) sia sotto l’aspetto della sicurezza antropica (geologico - ambientale), sia come elemento correlabile con i terremoti o le ricerche minerarie, collaborando con eminenti studiosi francesi quali Michel Monin e Jan Luc Seidel delle Università di Clermont - Ferrant e Montpellier, oltre a molti altri docenti delle Università italiane.
Professor Ardanese, l’osservazione di emissioni anomale di radon è stata rilevata in moltissime occasioni: per lo studio degli eventi sismici se ne parla da almeno 30 anni. Aumenti significativi di emissione di questo gas dal sottosuolo sono apparsi chiari segnali prima, durante e dopo alcuni terremoti, al di là delle quantità anomale riscontrate. Come è nata l’idea di una correlazione tra il radon e i terremoti?
“L’idea nasce dal semplice fatto che l’obbligo istituzionale di un geologo sia quello di valutare le fenomenologie naturali, al fine di produrre strumenti indispensabili (carte geologiche) utili per le strategie di intervento sul territorio, per la sicurezza antropica e per la ricerca delle risorse naturali. Le rocce terrestri superficiali contengono percentuali variabili di minerali radioattivi quali uranio, torio e potassio, che indicano la radioattività terrestre. L’uranio e il torio sono emettitori spontanei di nuclidi e, allo stesso tempo, sono i ‘progenitori’ del radon. Molti gas, compreso il radon, a causa della liberazione dell’energia interna tendono a sfuggire dalla terra: l’idrogeno e l’elio sfuggono rapidamente e aiutano il radon sia alla rimozione dal suo punto di origine, sia nel suo trasporto in superficie. Nelle rocce e nei suoli, le variazioni dei flussi di specie gassose registrate consentono perciò di ipotizzare dei meccanismi di trasporto legati alla migrazione in superficie di fluidi, profondi decine di chilometri, che avviene principalmente lungo le fratture (faglie). La fratturazione delle rocce ‘incassanti’ facilita infatti il trasporto del radon, dal punto di origine, per svariati metri. Le rilevazioni di concentrazione del radon in ambienti geologici evidenziano, inoltre, aree ‘anomale’, sulle quali si indaga dettagliatamente con sistemi strumentali semplici e/o complessi, utili a finalità diverse”.
Su cosa si basano le ricerche sulla concentrazione del radon?
“Le conoscenze sperimentali in questo ultimo trentennio hanno permesso di relazionare le abbondanze (concentrazioni) di questo gas tramite: a) le fenomenologie legate alla dilatazione e compressione dei corpi geologici (micro e macrofratture) in aree tettoniche; b) le ricerche minerarie in generale; c) le fenomenologie vulcaniche e tettoniche (meccanismi di risalita magmatica ed interazioni con le rocce incassanti, attività vulcanica quali eruzioni esplosive, cambiamenti di attività, idrotermalismo, sorgenti geotermiche etc. etc.); d) i sistemi idrogeologici; e) l’inquinamento nel suolo e in atmosfera. Le molteplici applicazioni descritte fanno di questo gas un buon indicatore ambientale, o segnalatore di allineamenti strutturali, o tracciante di movimenti di acqua nel sottosuolo (correnti ascendenti e discendenti), come precursore di movimenti strutturali (più difficile) e come indicatore di particolari giacimenti, oltreché come inquinante molto pericoloso. In ogni caso, il radon è l’unico gas radioattivo presente in natura che decade rapidamente tramite emissioni di particelle ‘alfa’ in polonio e bismuto, pure radioattivi, sino a giungere allo stato di piombo stabile. Il radon totale è costituito da tre isotopi radiattivi: il Rn 222, Rn 220 e il Rn 219. In particolare, il Rn 222 è legato a movimenti profondi, mentre il Rn 220 è legato al suolo e alle variazioni stagionali. Si è poi osservato, sia nelle aree sismo – tettoniche, sia in quelle vulcano - tettoniche, che la fratturazione delle rocce e la risalita dei magmi facilitano significativamente il trasporto di radon. In pratica, variazioni di concentrazioni di radon, unitamente a quelle di elio (He), danno utili indicazioni circa la previsione di terremoti ed eruzioni vulcaniche. E’ infatti risaputo che il terreno è in movimento continuo, indipendentemente dalla località. E queste vibrazioni sono esattamente simili alle onde sonore. I siti di campionamento collocati sul territorio devono esser scelti preventivamente nelle unità geologiche e strutturali di effettivo interesse, al fine di rendere i dati delle concentrazioni rilevate riproducibili e correlabili. I valori alti, medi o bassi, trattati in funzione delle intrinseche caratteristiche geologiche e strutturali dell’area presa in esame, possono essere utilizzati per ipotizzare scenari legati a meccanismi tettonici di compressione o dilatazione (dilatanza)”.
Tra il 1983 e il 1993 lei registrò, su una vasta area dell’entroterra del frosinate e della Valle del Liri, ma anche in altre regioni italiane, segnali molto significativi delle variazioni di concentrazione dei due gas He e Rn, correlabili alle attività tettoniche della zona. Quali tecniche ha adottato per il prelievo del radon?
“La collaborazione con ricercatori e docenti stranieri e con il professor Salvatore Lombardo, docente di Geologia presso l’Università degli Studi ‘La Sapienza’ di Roma, ha permesso di utilizzare e confrontare i metodi di campionamento e di analisi dei due gas, radon ed elio. E, il più delle volte, siamo stati costretti, per pura necessità, a lavorare con sistemi che simulassero disposizioni che si trovavano in natura. Il modello utilizzato come strumento teorico viene infatti validato con le misure quantitative e con le attente osservazioni fatte sul sistema naturale. La misura della concentrazione del radon totale è basata sulla determinazione delle particelle ‘alfa’ liberate durante la produzione (a causa del decadimento radioattivo degli isotopi genitori) e sulle particelle ‘alfa’ derivanti dal proprio decadimento per la crescita dei propri ‘figli’. In ogni caso, i sistemi di misura del gas radon sono di tipo ‘integrati’ e ‘non integrati’, a secondo del tempo: i primi impiegano un tempo di molti giorni per la misura, i secondi, invece, pochi minuti (emanomeri). La scelta del sistema è finalizzata a varie esigenze: infatti, per i tempi molto brevi la misura di concentrazione può non essere rappresentativa del luogo, in virtù del fatto che i valori atmosferici possono cambiare rapidamente o, meglio, le misure che si effettuano sui suoli (anche dello stesso tipo) variano enormemente da punto a punto. Viceversa, si utilizzano i tempi lunghi di misura quando si intende indagare su una vasta località, purché si tengano in debita considerazione tutte quelle variazioni dipendenti dal tempo. I dati ricavati sull’intera area, successivamente vengono trattati ‘statisticamente’, per eliminare le variazioni casuali. In effetti, il metodo ‘attivo’ è basato su misure di concentrazione ricavate dall’utilizzo di strumenti portatili, mentre la tecnica sull’utilizzo di rilevatori ‘passivi’ di tracce allo stato solido è basata su strumenti in cui il gas entra per diffusione naturale nel sistema di rilevazione ed è contrapposto a quello attivo perché, in questo caso, il campionamento è ‘forzato’, ovvero si ha bisogno dell’ausilio di pompe per introdurre il gas nello strumento. Il fluido (contenente Rn) viene estratto dal sito di campionamento e inserito rapidamente nello spettrometro per il conteggio degli impulsi (disintegrazione radioattiva). Questo strumento è meglio conosciuto come ‘emanometro’ ed è equipaggiato da una sonda di campionamento, da una pompa a vuoto, da una cella a scintilla (attivata da solfato di zinco o argento) e da un sistema di conteggio (fotomoltiplicatore). Il metodo dei rilevatori ‘passivi’ su vaste aree da noi adoperato ci ha consentito, mediante le tracce lasciate dal radon su pellicole tipo kodak, di risalire ai valori di emissione. Sono state adottate tecniche di misure ‘passive integrate’ per circa due settimane, le quali sono sufficientemente sensibili per piccole variazioni a basse concentrazioni. Saltuariamente, invece, sono state effettuate misure di radon con sistemi non integrati ‘attivi’ con l’emanometro, per eventuali controlli di differenze di flusso. L’elaborazione dei dati analitici in varie località italiane hanno confermato sperimentalmente le nostre ipotesi sul radon come segnale ‘precursore’ degli eventi tettonici”.
Già nel 1953 Z. Hatuda e nel 1956 Ocabe suggerivano e indicavano il radon come precursore. Nel 1980 C. Y. King misurò la concentrazione del radon lungo la faglia di Santa Andreas, in California. E in Giappone, attualmente, si stanno compiendo molti sforzi per monitorarlo: secondo quali prospettive si sta muovendo la ricerca, in questo campo?
“Ho letto i lavori riguardanti la California: sono state studiate circa duecento ‘stazioni’ in maniera adeguata, ma non sono state specificate le stratigrafie geologiche delle singole aree. Non so se la prospezione sia stata fatta in maniera adeguata (rilievi e strutture: tabulari, pieghe, faglie, cristalline) o se i campioni siano stati presi a caso, senza tener conto delle preventive analisi topografiche, strutturali (successione stratigrafica, litologia, tettonica) e morfologiche. I grafici illustrativi sono chiari, ma non evidenziano il dettaglio. Sicuramente, le metodologie utilizzate per la scelta delle stazioni di campionamento non sono uguali, per accuratezza geologica, a quelle da me adottate. Ad ogni modo, Usa, Giappone e Francia sono all’avanguardia per quanto riguarda la ricerca in tale settore. Dal punto di vista scientifico, i pochi casi di successo non suggellano una teoria, poiché il fenomeno deve poter essere riproducibile nel tempo e tenuto sotto controllo”.
Eppure i membri russi dello staff della Iss (Stazione spaziale internazionale) hanno già installato un sistema per ‘captare’ in anticipo gli eventi sismici attraverso l’analisi dei processi geofisici precursori di un terremoto. E’ possibile prevedere con un certo grado di approssimazione i forti sismi grazie alla tecnica di Giampaolo Giuliani su base determinista e non probabilistica?
“Attualmente non esiste un modello deterministico in grado di prevedere questi disastri naturali: per individuare un ‘precursore’ servono anni di accertamenti, da effettuare su un’area campione molto estesa geologicamente, strutturalmente nota. Occorre poi su di essa installare numerosi rilevatori di radon, sia nel suolo, sia in rocce fratturate, effettuando una dettagliata prospezione da monitorare. Non conosco l’operato di Giampiero Giuliani: sicuramente egli è un ottimo ‘tecnico’ che ha rilevato, nell’area in esame, una quantità di radon in eccesso (energia liberata). Ciò indubbiamente ha suscitato spavento, ma le notizie forniteci dagli organi di informazione mi fanno ritenere che, per una previsione attendibile e riproducibile di un evento tellurico, sarebbe servita, a priori, una minuziosa indagine geologico – strutturale, assai dettagliata e su di un’area estesa per almeno 100 - 150 chilometri. Rimane pur vero che, intorno a tali questioni, le ricerche sperimentali dovrebbero essere maggiormente e più adeguatamente finanziate. E penso che, allo stato, esse siano considerate praticamente irrilevanti, benché l’installazione di una stazione completa per la rilevazione continua del gas radon risulti essere poco onerosa”.
Alcuni fenomeni sembrano verificarsi proprio in corrispondenza di un terremoto: tra questi, il fatto che essi dimostrino, talvolta, fenomenologie cicliche ben precise, tipo la corrispondenza con le fasi lunari e con i cambiamenti climatici, le differenze nei livelli dell’acqua nei pozzi e uno strano comportamento degli animali. Non sarebbe ipotizzabile un nuovo metodo di previsione dei sismi incrociando tra loro i dati provenienti dalle varie osservazioni, radon compreso? O solo alcune tecniche possiedono un fondamento scientifico?
“Tutto è possibile. Ma le ricerche sono basate, come si è accennato in precedenza, su una serie di misure confrontabili quantitativamente, in funzione delle osservazioni effettuate sul sistema naturale in un arco di tempo ragionevole. Tanti racconti di eventi sconosciuti, provenienti da ogni parte del mondo, sono giunti fino a noi, ma non per questo possono essere tutti presi in considerazione. Alcuni di essi, come ipotesi, possono essere accettati, ma sempre con estrema ponderazione, a causa degli ‘intoppi’ dovuti sia all’individuazione, sia alla loro registrazione sistematica”.
Michelangelo Ambrosio, dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare di Napoli, di recente ha affermato che “trascurare con superficialità le applicazioni di nuove tecnologie solo perché proposte da ricercatori non appartenenti all’establishment scientifico preposto a tali funzioni, è una negligenza criminale”. I giudizi sferzanti di accademici e scienziati contro Giampaolo Giuliani ‘il ciarlatano privo di respiro scientifico’, denunciato per ‘procurato allarme’, fanno pensare ad una mentalità di mantenimento delle ‘certezze acquisite’, difese senza remora alcuna: lei crede vi sia disinteresse, da parte della comunità scientifica, a studiare e avvalorare certe ricerche?
“Sono in pieno accordo con Michelangelo Ambrosio, anche in virtù del fatto che nel nostro Paese la ricerca è libera. Esistono, purtroppo, personaggi che a tutti i costi desiderano conservare la propria posizione. E qualsiasi cosa suscita in loro forte malessere, che li porta a riversare disdegnose cattiverie accompagnate da giudizi irriguardosi. La ricerca italiana, purtroppo, sta passando un lungo periodo di grave difficoltà. Mi viene in mente la campagna giornalistica del ‘Corriere della Sera’, di ‘la Repubblica’, de ‘il Messaggero’ e del ‘Mattino’ del 1984. E voglio citare, come esempio, il ‘passo’ di un articolo siglato da Lino Zaccaria sul ‘Mattino’ di Napoli: “nell’Italia dei crolli, dei terremoti, del degrado, dell’incuria di quanti sono preposti alla sua salvaguardia e aggredito dalla voracità di speculatori senza scrupoli ecco, impietosa, la barzelletta del Servizio geologico nazionale…”. Rispetto ad allora, cosa è successo a questo ultracentenario servizio dello Stato e alla professionalità dei suoi dipendenti? Ci siamo allineati agli altri Paesi, al Brgm francese, al Bgs inglese, all’ Usgs degli Stati Uniti? Una comparazione obiettiva della nostra situazione non rappresenta un dettaglio di poco conto: un Servizio geologico nazionale con gli stessi poteri del Brgm o dell’Usgs sarebbe stato più idoneo ad operare preventivamente sul nostro territorio nazionale, sia per la sua sicurezza antropica, sia per la ricerca e conservazione delle risorse naturali”.
E perché c’è questo disinteresse?
“Così come si deve osservare che organi istituzionali forti non intendono cambiare strategia o modificare i propri privilegi, allo stesso modo ci sono professioni ‘dominanti’ e professioni ‘serventi’. In Italia, la professione del geologo, essendo sfortunatamente giovane, è ancora una professione ‘servente’…”.
Oggi L’Aquila, ieri l’Irpinia, in passato Reggio Calabria: risolvere il problema della previsione, anche se di poche ore, può ridurre a zero i problemi dei morti per terremoto? Qual è il miglior sistema per difendersi da simili sciagure?
“Il miglior modo per prevenire o attenuare gli effetti di un evento naturale quale un terremoto, un alluvione o le frane, attualmente è quello di munirsi di strumenti geologici, ovvero di cartografie tematiche particolareggiate. Una specifica e dettagliata conoscenza geologica strutturale del territorio è indispensabile per discriminare le aree da destinare a vari usi. Le pianificazioni territoriali dotate degli strumenti geologici ora accennati rassicurano sufficientemente i componenti anteposti ad eventuali progettazioni di qualsiasi tipo. Le tecniche di progettazioni edilizie convalidate per tipologie specifiche e poggianti su luoghi geologicamente garantiti, al momento rappresentano la miglior difesa dalle sciagure naturali e, contestualmente, riducono enormemente il rischio di mortalità. Oggi, al contrario di ieri, anche nei lavori di piccola entità, noto un assalto sproporzionato dei ‘grandi’ nei confronti dei semplici professionisti. E, aggiungo, non vedo un ricambio generazionale, ma solo un forte ‘nepotismo’, nonostante ci siano molti giovani capaci e preparati”.
Un’ultima domanda: cosa ne pensa della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, ovvero in una zona fortemente sismica?
“Ormai di questo ponte se ne parla dal lontano 1956, cioè da quando l’On. Giuseppe Togni, a quei tempi ministro dei Lavori pubblici, propose questa possente costruzione. Opere di tale portata sono state realizzate in varie nazioni. Come nel nostro caso, due ponti sospesi di oltre un chilometro sono stati costruiti sul Bosforo. E Istambul è notoriamente una città sismica come Messina. A mio parere, il problema è rivolto più alle diatribe politiche - economiche del luogo, che non a quelle tecniche”.