Si è svolto a Roma, nelle scorse settimane, il 1° congresso del PdL, che ne ha sancito la nascita a tutti gli effetti. Un congresso senza mozioni, ma con molte emozioni, che ha approvato i propri organismi con il semplice applauso dei seimila delegati. Ma ripercorriamo le tappe fondamentali, per capire quella “lucida follia”, come l’ha definita Gianfranco Fini, che ha portato Berlusconi a far nascere il Popolo delle Libertà. Nel 1994, nacque Forza Italia in un periodo di crisi del sistema dei partiti della Prima Repubblica, ponendosi come movimento ‘spartiacque’ nella storia politica italiana. Oggi, far nascere il PdL a distanza di 15 anni significa dar vita ad un soggetto politico in un altro momento delicato per il sistema politico italiano, che, sebbene completamente differente rispetto al 1994, dovrà trasformarsi in un’opportunità per il nostro Paese. Le premesse al tal fine ci sono tutte: la forza e la qualità del nostro popolo, la capacità di risparmio degli italiani e la solidità del sistema economico delle nostre banche, infatti, ci aiuteranno a risollevarsi dal questo periodo buio meglio degli altri. E, affinché ciò accada, serve proprio una guida solida, un partito ‘unico’ in un governo forte, con un ampio consenso. In effetti, fu proprio nelle piazze che Berlusconi raccolse i consensi, un po’ come faceva la sinistra di molti anni fa, quella della politica tra la gente anziché quella dei ‘salottini’ di oggi. Quindi, il popolo di Forza Italia, Alleanza Nazionale e di quella parte dell’Udc che non si riconosceva più in Casini, si è sentito protagonista di una ‘svolta’, un tutt’uno con il suo leader e la sua volontà di cambiare un’Italia decadente. Tutto ciò può avere un significato profondo nella storia politica italiana, perché le pulsioni della piazza sono state raccolte in un progetto politico vero e proprio, fino a farlo diventare il Popolo della Libertà. La gente acquisì una vera è propria personalità politica, trasformandola, con le elezioni dell’aprile 2008, in maggioranza di governo. La forza della democrazia all’improvviso ha uno ‘sbocco’ reale: la ‘piazza’ prima e il popolo votante dopo hanno dato un imprimatur all’alleanza tra due movimenti postideologici come Forza Italia e An. A questo punto si può tranquillamente affermare che il PdL si pone direttamente come braccio operativo di un popolo che, in questo momento, ha come priorità quella di ricostruire un Paese in difficoltà e che ha un assoluto bisogno di decisionismo, della politica del ‘fare’ piuttosto che di quella del ‘dire’. Questo ‘braccio’ che esegue le volontà del popolo, sino ad ora ha dimostrato di essere forte, vincendo la sfida della spazzatura di Napoli e del termovalorizzatore di Acerra, risolvendo il nodo Alitalia, lavorando duramente per ristabilire la sicurezza civile nelle nostre città, allargando le maglie della tutela della sicurezza sociale per chi sta perdendo il posto di lavoro e per le famiglie in difficoltà, predisponendo insomma una serie di misure volute proprio dalla gente comune, dalla gente delle piazze. Inoltre, sta affrontando con misure impopolari scelte per snellire la Pubblica Amministrazione, instaurando sistemi di valutazione del personale fondati finalmente sul merito, punendo gli assenteisti e i ‘lavativi’, ha dato il via alle ‘grandi opere’ e sta sostenendo economicamente le piccole e le medie imprese. Questi, in ultimo, sono i fatti che confermano come nel PdL il linguaggio politico si traduca immediatamente in azione, sotto la spinta del decisionismo e del riformismo dell’intera formazione di governo. Ecco perché mi sento di dire che il PdL, oltre ad essere un partito fondato su una cultura che affonda le sue radici nell’identità storica e sociale del nostro Paese, sarà un partito imperniato anche sulla “cultura dei bisogni”. A questo punto, ad una sinistra che si è fermata ad una perpetua rielaborazione culturale, che si è avvolta su se stessa in quanto non in grado di cogliere i cambiamenti del mondo, non rimane altro che rielaborare il proprio piano strategico uscendo finalmente dall’antiberlusconismo, dalla cultura del sogno irrealizzabile e dalle utopie di modelli societari inapplicabili, ricominciando ad avere un rapporto molto più vicino alle reali esigenze del Paese.