Antonio Di Giovanni

L’Alitalia vola di nuovo, a quanto pare. Finalmente, si è conclusa una vicenda che ha tenuto in seria preoccupazione soprattutto quelle migliaia di operai e di precari che lavorano nell’indotto e di cui nessuno in questi giorni è parso accorgersi. Indignarsi davanti alla foto pubblicata su tutti i quotidiani per l’esultanza della hostess sul mancato accordo o prodigarsi tutti ad aiutare l’azienda per l’interesse nazionale? Questo è in effetti il quesito che si sono posti milioni di italiani che tutti i giorni si recano al lavoro schiacciati sui mezzi pubblici, per portare a casa meno della metà di quello che guadagna quella signorina cosi esultante, la quale, per chi non lo sapesse, viene presa dal pulmino dell’azienda e riportata a casa tutte le volte che deve recarsi all’aeroporto, sul posto di lavoro o torna dal servizio. Ma la vicenda Alitalia ha messo in evidenza una situazione di per sé abbastanza intricata, che ha fatto affiorare l’imprudente complicità del rapporto tra una certa componente politica e una parte del sindacato Cgil ponendo in luce, in modo chiaro ed evidente, come questo pericoloso legame ‘ombelicale’ possa continuare a minare le sorti del nostro ‘sistema – Paese’. Infatti, lo stretto rapporto che il Pd, in particolare Veltroni, ha con la Cgil lo si è avvertito proprio in questa triste vicenda: dopo aver spalleggiato i compagni del sindacato attestatisi sul fronte del ‘No’ al rilancio della nostra compagnia di bandiera, definendo la linea del Governo “irresponsabile”, il buon Veltroni ha spedito una missiva al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nella quale è tornato sui suoi passi, dimostrandosi disponibile a fare uscire la trattativa dalle ‘sabbie mobili’ in cui era sprofondata proprio per le pretese che lui stesso aveva precedentemente sostenuto. Il comportamento del Partito democratico sulla vertenza Alitalia ha dimostrato, ancora una volta, non solo la sua incapacità di incarnare una cultura di Governo, ma anche quella di opposizione, su un tavolo in cui non era in gioco solamente la questione Alitalia, ma dove nei prossimi mesi si proporranno questioni fondamentali per la rinascita del nostro Paese. In ogni caso, tornando alla ‘nostra’ compagnia di bandiera, io amo definirla ‘nostra’ perché ogni qualvolta è stata in serie difficoltà economiche siamo sempre intervenuti noi, contribuenti italiani, con i nostri soldi, per salvare, guarda un po’, quella 'casta dei cieli' che, chissà per quale motivo, nessun giornalista di sinistra tipo Floris o Travaglio si è affrettato a scriverci sopra un ‘libro/scandalo’. Eppure, appare evidente, leggendo i loro contratti, che non si tratta di certo di comuni lavoratori, bensì di un vero e proprio 'capolavoro sindacale', che si preoccupa di ogni aspetto della loro vita coccolandoli come bambini. Il riposo dei piloti, ad esempio, è studiato nei minimi dettagli, poiché per contratto chi vola 'fuori sede' deve riposare tassativamente il doppio delle ore volate, incrementando tale misura di un ora di riposo in più per ogni fuso orario geografico attraversato durante il viaggio. Il che equivale, per un volo tipo Milano – New York composto da 9 ore e 6 fusi orari diversi, praticamente a 24 ore di sosta lavorativa. A ciò va aggiunto quanto previsto al punto 2.A1 del contratto nazionale, che stabilisce un minimo programmabile di 33 giorni di riposo a trimestre, ovvero 10 giorni al mese. Per non parlare delle retribuzioni: per un pilota anziano, i suoi 172 mila euro lordi annui diventano, al netto, 127 mila, un trattamento fiscale che tutti gli altri lavoratori in Italia nemmeno se lo sognano. Ma proseguiamo il nostro, per cosi dire, 'viaggio' all’interno della 'casta dei cieli'. Piloti, hostess e steward tengono ben saldi i propri privilegi sulle cosiddette facilitazioni di viaggio, un numero illimitato di biglietti scontati del 90%, 75% e 50% a seconda dei casi, sia sui voli nazionali che su quelli internazionali per familiari stretti, figli, fratelli, sorelle, mariti, mogli, genitori e conviventi. Il tutto, naturalmente, a spese nostre. Ma non basta: anche gli hotel sono scelti con cura per non farsi mancare nulla con i soldi pubblici. A Milano, gli equipaggi si sistemano all’Hotel Executive, un 4 stelle nelle parti del centro; a Londra al The White House, nei pressi di Regent Park; a Dakar dormono al Club Mèd Les Almadies; a Dheli passano la notte al Crowne Plaza; e, per finire, nei vari Sheraton sparsi nelle altre capitali del mondo. Ovviamente, per chi non lo avesse ancora capito, tutto sempre a spese degli italiani. Penso sia meglio fermarsi qui: non vorrei che qualche precario operatore di call center da 400 euro al mese o qualche impiegato statale che fatica a difendere i suoi mille euro al mese leggendo questo articolo pensasse seriamente ad infuriarsi. Aveva dunque ragione Berlusconi quando chiedeva “ragionevolezza”, rivolgendosi a quel fronte del ‘No’ sobillato da una sinistra che, invece di difendere i lavoratori, continua a proteggere le proprie corporazioni. Insomma, parafrasando Elio e le Storie tese: “Alitalia sì, Alitalia no: se famo dù spaghi”?


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Magghy - Roma - Mail Web Site - mercoledi 1 ottobre 2008 21.21
Purtroppo Alitalia si è salvata. E pensare che se ne poteva andare placidamente al macero, lei, i piloti superaccessoriati e le mitologiche signorine alate, oh pardon hostess, con i loro 'sudatissimi' stipendi..bleah.


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