Chiara Scattone

Le recenti manifestazioni studentesche non hanno nulla a che vedere con gli scioperi e il periodo di contestazione del ‘68, come invece qualcuno afferma ogni volta come se quel momento storico fosse un modello applicabile a tutte le proteste, di qualsivoglia colore o inclinazione. Ritengo, infatti, assai superficiale etichettare ogni protesta come “la protesta”, come se ogni periodo di ribellione e di scioperi che puntualmente arriva ogni anno si potesse accusare di colpe o di privilegi che di certo non possiede. Le manifestazioni degli studenti dei giorni scorsi sono legate unicamente a questo periodo storico e a questa riforma proposta dalla nuova ‘ministra’. E, probabilmente, come gli scioperi che ogni anno si susseguono, questi ultimi rappresentano non solo il desiderio degli adolescenti e degli universitari di gridare la propria rabbia quando qualcosa non va, ma forse anche di approfittare di una buona scusa per prepararsi alle vacanze natalizie. Non vorrei assolutamente far credere che ritengo le manifestazioni di piazza e gli scioperi eventi inutili, organizzati solo per saltare la lezione. Tuttavia, appare del tutto bizzarro - e non sono la prima a notarlo - che i periodi di protesta si presentino immancabilmente nel periodo autunnale - fase durante la quale vengono generalmente emanate le riforme - e mai durante le vacanze di Pasqua o in estate, quando certi provvedimenti sono già stati approvati e la protesta dovrebbe continuare. Inoltre, io credo che prima di pensare ai nostri diritti, che sono sacrosanti, ci si dovrebbe concentrare molto più sui nostri doveri, concetto quest’ultimo che troppo spesso viene dimenticato da chi ritiene che tutto sia loro dovuto, dimenticandosi che in un Paese i cittadini hanno anche svariati doveri, fondamentali che non debbono essere sottovalutati. Le manifestazioni dei professori, sacrosante, dovrebbero vertere non solo sulla possibilità della riduzione del personale docente, ma soprattutto sulla qualità di questo, sulle capacità che i nostri professori, i nostri insegnanti hanno nell’educare i nostri figli. Educare è probabilmente il mestiere più difficile del mondo, e nel nostro Paese non viene riconosciuto ancora abbastanza, ma ci si è mai posti la domanda: “come insegnante sono veramente convinto di essere preparato per il compito che devo svolgere?”. Io non credo che tutti si siano posti il dubbio sul “dovere” di essere insegnante, ma probabilmente solamente sul “diritto” di esserlo. Stesso discorso vale per gli studenti: l’insegnamento è un diritto, ma è anche dovere del discente fare proprio il discente. È incredibile sentire di studenti e genitori che protestano contro un professore per aver compiuto il proprio dovere, magari sequestrando un telefonino, utilizzando durante la lezione, o segnando una nota di demerito per aver compiuto atti irripetibili e ingiustificabili sotto tutti i profili, sia della buona educazione (cui i genitori dovrebbero contribuire), sia del rispetto dell’autorità. Mi viene da ridere al pensiero che questi stessi studenti e questi stessi genitori possano oggi scendere in piazza a urlare per i propri diritti, quando poi sono i primi che non rispettano gli insegnanti e il loro compito di studente e genitore. E ancora, gli studenti universitari si dovrebbero ricordare, prima ancora di pensare ad uno sciopero e alle contestazioni, che l’università è certamente un diritto, ma questo diritto non deve voler dire “18 politico” o “superamento degli esami per tutti”. Perché non tutti siamo uguali e non tutti coloro che sono iscritti ai corsi di Laurea hanno realmente intenzione di imparare qualcosa da quello che dovrebbero studiare. Sì, ancora, sono fortemente favorevole all’introduzione di un esame di accesso all’università. Non certo per discriminare qualcuno, ma semplicemente per verificare le competenze e le conoscenze dei futuri studenti e dei futuri laureati. Esami di verifica tesi ad accertare, ad esempio, la conoscenza della lingua italiana e della cultura generale, perché chi non è in grado di scrivere una breve tesina, come potrebbe mai affrontare addirittura una tesi? E con che coraggio la nostra società potrebbe mai accettare ancora persone con in mano un ‘pezzo di carta’ che girano per il mondo pretendendo di parlare correttamente l’inglese e che, paradossalmente, non conoscono le regole fondamentali della grammatica della propria lingua madre? A parte tutto questo, le manifestazioni di piazza sono giuste e sane, ma le contestazioni dovrebbero partire anche dai nostri deputati, che hanno il dovere, in quanto nostri rappresentanti, di spendersi affinché i diritti della collettività intera - e dei loro elettori in particolar modo - vengano tutelati e non schiacciati dai desideri di arroganti figuri.


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