Riportiamo fedelmente il testo di un articolo recentemenete apparso sul Corriere della Sera e firmato da Piero Ostellino sentitamente critico nei riguardi di un certo pacifismo a senso unico.

Mi piacerebbe sapere se i «pacifisti», che sono andati a Ramallah per fare scudo del proprio corpo a Arafat, siano anche saliti, o saliranno, sugli autobus, siano entrati, o entreranno, in un supermercato, abbiano cenato, o ceneranno, in un ristorante di Israele per condividere con gli israeliani l’incubo di un attentato.
Mi piacerebbe sapere se quei «pacifisti», che si indignavano ogniqualvolta un missile americano colpiva un’abitazione civile in Afghanistan, abbiano manifestato ad Arafat la stessa indignazione per i 150 uccisi e gli oltre 800 feriti dal terrorismo palestinese fra la popolazione civile di Israele solo nell’ultimo mese.
Mi piacerebbe sapere se quei «pacifisti» abbiano detto ai dirigenti palestinesi che mandare i propri giovani a farsi saltare in aria in Israele è un crimine prima di tutto contro il loro stesso popolo, oltre che contro quello israeliano. Solo se quei «pacifisti» risponderanno affermativamente a queste domande li chiamerò pacifisti senza virgolette.
Mi piacerebbe anche sapere perché la sinistra italiana, giustamente sensibile al diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato, non ne abbia reclamato la nascita prima del 1967, quando i territori ad esso destinati dalla risoluzione 181 dell’Onu del 1947 erano in mano araba, e abbia incominciato a invocarla dopo l’occupazione israeliana.
Mi piacerebbe sapere perché la sinistra italiana non abbia nulla da obiettare a che i libri scolastici palestinesi, finanziati anche da noi, incitino esplicitamente all’odio antiebraico, o perché non si scandalizzi che nelle cartine geografiche pubblicate dai Paesi arabi Israele .
Mi piacerebbe sapere perché la sinistra italiana condanni Israele, che aveva offerto ad Arafat di restituire oltre il 90 per cento dei territori occupati e persino di riconoscere una parte di Gerusalemme capitale del futuro Stato palestinese, e assolva Arafat che l’ha rifiutata, scatenando la seconda Intifada, quella terroristica. Mi piacerebbe sapere perché, per la sinistra italiana, la «reazione» militare israeliana, volta a scovare chi addestra i terroristi, sia moralmente più riprovevole degli attentati terroristici palestinesi che l’hanno provocata; perché un carro armato con la stella di Davide sia un criminale e il terrorista palestinese una vittima; in definitiva, perché la sinistra abbia sempre guardato con più simpatia agli Stati arabi, totalitari e titolari del record di violazioni dei diritti umani, che al democratico Israele.
Solo se la sinistra italiana, in particolare quella che sposa senza riserve la posizione palestinese, avrà risposto esaurientemente a queste domande non dirò che il suo pacifismo di maniera è stato in realtà, e ancora è in parte, antisionismo, negazione della storica e politica aspirazione del popolo ebraico a essere Nazione.
Se fossi israeliano voterei laburista perché la formula «pace e sicurezza in cambio di territori» mi sembra la più realistica e giusta per arrivare a un soluzione del conflitto con i palestinesi. Non condivido, perciò, la politica degli insediamenti nei territori occupati, né la convinzione di Sharon che Israele vivrà in pace quando si sarà liberato di Arafat, mi preoccupa l’assedio di Betlemme, che giustamente addolora il Vaticano.
Ma mi chiedo, dopo l’ondata terroristica, se i palestinesi vogliano un loro Stato o non piuttosto la distruzione di Israele. Dire al governo di Gerusalemme di negoziare mentre è in corso un’offensiva terroristica di quella entità e il Paese è in preda alla disperazione è un nonsenso, anche se negoziare è doveroso oltre che necessario. Ma per negoziare bisogna essere in due. «Pacifisti» e sinistra credono davvero di favorire il processo di pace schierandosi dalla parte di chi concepisce se stesso come negazione dell’altro?
Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio