Insieme ad Oskar Schindler e al romanzo e film 'Schindler list' è doveroso ricordare anche Karel Weirich, lo Schindler di Pio XII, il giornalista che aiutò centinaia di cecoslovacchi ebrei internati in Italia. Ne parla Alberto Tronchin nel libro: “Un giusto ritrovato”, edito da Istresco. Weirich, morto nel 1981 a settantacinque anni, aiutò centinaia di ebrei procurando loro denaro, abiti, medicine e persino documenti falsi. C’è analogia con l’impegno di Oskar Schindler, che salvò un migliaio di ebrei. Una curiosità: di cognome la madre di Weirich faceva Schindler. Karel Weirich, figlio di un artista ceco, nacque a Roma nel 1906. Nel 1925, appena diplomato, entrò nella Direzione nazionale della Pontificia Opera di San Paolo Apostolo come segretario. Nel 1935 divenne corrispondente da Roma dell’agenzia di stampa ceca Ctk, pur restando come impiegato in Vaticano. Dopo l'invasione nazista del suo Paese rifiutò di giurare fedeltà a Hitler e fu licenziato dall'agenzia Ctk. Seguì l'ordine di arresto degli ebrei (giugno 1940). Allora Weirich fondò l'Opera di San Venceslao, dal nome del re e santo patrono ceco. L’Opera aiutò i profughi cecoslovacchi internati nei campi di concentramento e quelli che vivevano nella clandestinità, molti dei quali nascosti nei conventi e monasteri “aperti” (a Roma) per volontà del Papa. Durante l'occupazione tedesca, Weirich fu il principale riferimento della resistenza cecoslovacca in Italia, facendo da tramite tra il Comitato nazionale di liberazione (Cnl) e i suoi connazionali partigiani. Per questo venne arrestato il 1° aprile 1944 dalla Gestapo e condannato a morte dai tedeschi. Grazie all'intervento della Santa Sede, la pena capitale venne commutata in diciotto mesi di lavori forzati da scontare nel lager di Kolbermoor. Vi rimase fino al 2 maggio 1945, giorno della liberazione da parte delle truppe statunitensi. Significativi furono i rapporti di Weirich con la Segreteria di Stato, in particolare con l'allora Sostituto monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI. Montini sostenne ed aiutò l'Opera di San Venceslao attraverso la Pontificia Opera Soccorsi, guidata da monsignor Antonio Riberi. Una volta libero, Weirich tornò a Praga. Venne assunto di nuovo dalla Ctk come corrispondente da Roma. Nel febbraio del 1948, dopo la presa del potere da parte dei comunisti in Cecoslovacchia, la direzione dell'agenzia lo invitò a tornare a Praga. Weirich rifiutò di vivere in patria e decise di rimanere in Italia. La Ctk lo licenziò. Come molti altri eroi che salvarono la vita a centinaia di persone, anche Weirich non diede mai molta importanza a quanto aveva compiuto, limitandosi a dire che aveva agito così perché andava fatto. Ricevendo una medaglia disse: “L'accetto, ma devono darla anche a tutti quei frati e a tutte quelle monache che hanno nascosto le persone”. “Ora che l'archivio personale ha rivelato la vera portata dell'opera di soccorso svolta da Weirich – scrive “L'Osservatore Romano” del 28 gennaio – si può davvero parlare di un 'giusto' ritrovato e consegnato alla storia”. Quanti lutti hanno causato, nel XX secolo, nazismo e comunismo? Complessivamente intorno a 150.000.000. Concentrati soprattutto in 30 anni (1918 – 1948). Molti i militari morti. Ma anche civili. Moltissime le famiglie distrutte. Molte le etnie ed i popoli perseguitati. Parlando di individui e famiglie, cito due libri: il famosissimo “Diario di Anna Frank” e “Una bambina contro Stalin” - L’italiana che lottò per la libertà di suo padre, di Gabriele Nissim. “Una bambina contro Stalin” racconta la storia, tragica e triste, della tredicenne Luciana De Marchi che lottò per la verità su suo padre, Gino, militante comunista italiano di Fossano emigrato in Russia nel 1922. Morì nel gulag di Butovo il 3 giugno 1938. Ufficialmente di peritonite. In realtà venne fucilato. Al tempo di Nikita Khruščёv giunse la riabilitazione. Postuma, purtroppo. Ho citato le tragedie di due ragazzine, Anna e Luciana. Tragedie analoghe di regimi avversi, ma uguali. Circa il parallelismo tra nazismo e comunismo, interessante la commovente scena finale del film “Schindler list”. I superstiti del campo sono liberati da un ‘ufficialetto’ sovietico che li consiglia: “Non andate a est perché lì vi detestano£. L’ufficiale si riferiva all’URSS: la storia gli darà ragione. Purtroppo. I superstiti chiedono all’ufficiale russo: “Ma dove dobbiamo andare? Abbiamo fame”! L’ufficiale risponde: “Non c’è una città laggiù”? Qui finisce la storia e subentra il mito. I superstiti si incamminano verso una mitica città e, sorreggendosi a vicenda, depositano un sasso sulla tomba del loro salvatore. Poetico anche il finale de “La vita è bella” di Roberto Benigni, assai criticato dalla sinistra italiana. A liberare i prigionieri nel lager giunge un carro armato, dalla cui torretta un soldato – USA – dice, sorridente, a Giosuè “Hello, boy”! E lo issa a bordo per poi consegnarlo alla madre liberata. “Schindler list” e “La vita è bella”: un misto di tragedia, storia e poesia tutto da ricordare in modo struggente. Certo, l’occidente, prevalentemente cristiano e liberale, ha i suoi problemi. Ma almeno non è tragico come nazismo e comunismo.