L’On. Donatella Poretti è parlamentare del gruppo della Rosa nel Pugno alla Camera dei Deputati, nonché prima firmataria di un disegno di legge di modifica costituzionale assai interessante.
On. Poretti, lei di recente ha presentato un disegno di legge costituzionale che vorrebbe modificare l’art. 1 della nostra fonte superprimaria di ordinamento giuridico dello Stato: ci spiega perché una simile riforma sarebbe tanto importante e quali effetti giuridici determinerebbe?
“Il primo comma dell'articolo 1 della Costituzione della Repubblica italiana recita: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Nella nostra proposta di revisione costituzionale dovrebbe divenire: "La Repubblica democratica italiana è uno Stato di diritto fondato sulla libertà e sul rispetto della persona". Sono numerosi e vari gli assetti istituzionali delle varie Repubbliche democratiche oggi esistenti. Vi è, tuttavia, un elemento caratterizzante ed essenziale, affinché una democrazia possa definirsi di tipo occidentale: ciò che nel diritto costituzionale comparato anglosassone si chiama "liberal democracy" (democrazia liberale), contrapposta alla "popular democracy" (democrazia del popolo), ovvero i Paesi a regime comunista dispotico. Questo elemento fondamentale non può essere il "lavoro", nozione generica, indeterminata ed indeterminabile, che contraddistingue qualsiasi società, sia essa repubblicana o monarchica, democratica o dittatoriale, primitiva o moderna, tribale o nazionale. L'elemento fondante che, invece, distingue la nostra democrazia è il grado di libertà garantito a coloro che, nel medesimo sistema democratico, risultano "perdenti": le minoranze, il cui comune denominatore è la persona, l'individuo. Per questo motivo, l'Italia dovrebbe essere, prima di tutto, una Repubblica democratica fondata sulla libertà intesa quale totalità dei diritti della persona, senza i quali verrebbe meno la distinzione con quelle "Repubbliche democratiche" che ieri, come oggi, opprimono intere genti nel nome della volontà popolare. La libertà trova la sua principale e massima protezione nello Stato di diritto: supremazia e rispetto della legge, in primis rispetto della Costituzione, Legge fondamentale di tutti i cittadini. Senza legalità, senza certezza del diritto, perdono valore anche i più alti e nobili principi enunciati nella Costituzione, in quanto difficilmente se ne potrebbe esigere ed ottenere il rispetto e l'applicazione. Il cittadino, posto dinnanzi all'incertezza del diritto, alla rassegnata accettazione di una diffusa illegalità, si allontana dalle istituzioni e perde fiducia nella legge, percependola come astratta, relativa e soprattutto non vincolante. Soprattutto, sono sottoposti ai limiti di legge le massime cariche dello Stato, proprio in virtù del grande potere loro conferito. E' il principio dello Stato di diritto che dà forza e vita non già al primo articolo della Costituzione, ma all'intero dettato costituzionale e a tutte quelle norme da essa derivanti a tutela di diritti fondamentali”.
Lei intende inserire il suo ddl costituzionale tra le modifiche istituzionali che il nostro sistema politico sembra intenzionato a voler affrontare? E in quale modo?
“Tecnicamente il modo è già avviato avendo depositato la proposta di legge, la quale, una volta assegnata alla Commissione competente, potrebbe venir ‘calendarizzata’, discussa e messa ai voti prima in commissione e, quindi, in aula. Questa la teoria dell'iter legislativo, la pratica necessità di volontà politica dei gruppi presenti in Parlamento, perché una proposta di legge piuttosto che un'altra venga messa in discussione. Politicamente, credo occorra una campagna di informazione e di dibattito pubblico per far scattare la volontà di riparlare del primo articolo della nostra Costituzione, fino ad oggi visto come un tabù intoccabile. Una volontà che proprio l'occasione dei sessant'anni della nostra Costituzione può, tuttavia, offrirci”.
Cosa si intendeva, all'epoca, con il termine ‘lavoro’ e cosa significa oggi?
“Rileggendo il dibattito dei costituenti, ci accorgiamo che si trattò di un compromesso che nei nostri giorni ha perso molto del suo significato. Vennero ‘scartate’ le formule: “Repubblica dei lavoratori”, come proponeva Palmiro Togliatti, e "Repubblica fondata sui diritti della libertà e i diritti del lavoro" come proposero Ugo La Malfa e Gaetano Martino. Alla fine, fu scelta la frase: “fondata sul lavoro” dopo la mediazione di Amintore Fanfani. Quindi, fu una soluzione primariamente politica e, ovviamente, compromissoria tra i due schieramenti che si fronteggiavano dopo il 25 aprile del 1945, una formula che rispecchiava un nuovo assetto internazionale che vedeva i Paesi vincitori avviarsi ad nuova guerra, detta ‘fredda’. D'altra parte, il "lavoro", quale principale elemento fondante della nuova Repubblica democratica d'Italia, costituiva nondimeno una priorità per un Paese distrutto dalla guerra. Solo attraverso il contributo di ogni cittadino al "progresso materiale e spirituale della società", come recita l'articolo 4 della Costituzione, l'Italia avrebbe infatti potuto avviarsi verso la ricostruzione e la prosperità. Oggi, sessant'anni dopo, i frutti di quella straordinaria e miracolosa rinascita, già manifesti pochi anni dopo la fine del conflitto mondiale, sono davanti agli occhi di tutti. Inoltre, la ‘guerra fredda’ si è conclusa da oltre un decennio e, dopo di essa, si sono presentate e continuano a presentarsi nuove sfide per la nostra democrazia. La prosperità dei cittadini non passa più, dunque, attraverso una ricostruzione, ma attraverso la capacità di stare al passo e competere in una nuova economia globale”.
C’è possibilità di coinvolgere trasversalmente sia i partiti di maggioranza che quelli di opposizione, intorno a questo progetto?
“Credo di sì. E i primi firmatari di una campagna ancora non partita mi fanno ben sperare: da Franco Grillini a Enrico Costa, da Dario Rivolta a Iole Santelli e Lucio Barani, oltre ai deputati radicali, danno il senso di parlamentari non facilmente etichettabili. Ad utilizzare il termine libertà, in politica, sembra essere in corso una gara. Ma oltre alla ripetizione stanca di una parola, io credo sia necessario darle sostanza e inserirla come riferimento fondante della nostra Costituzione: potrebbe essere un passo importante. La proposizione con cui solitamente si apre una Costituzione ha un altissimo significato simbolico. E’ in essa che viene affermato un modello istituzionale ed è con essa che si esprimono i valori fondanti, la base stessa del vivere civile. Tramite il primo articolo di una Costituzione si identifica un intero popolo, la sua forma di Stato, la sua Storia - quella dei diritti fino ad allora negati - ed anche le sue aspirazioni. Ma la Costituzione sarà efficace nell'affermare e proteggere i suoi valori fintanto che il "popolo" in essa identificato possa, a sua volta, identificare se stesso in quella dichiarazione d'apertura. Il primo articolo è quello che intere generazioni dovrebbero imparare a memoria, tramandare o citare ogniqualvolta vi sia una sua patente o potenziale violazione. Con esso si dovrebbe misurare ogni giorno l'operato dei governanti, la sua eco riverberare nelle opere letterarie, nella cinematografia, nelle aule di tribunale. Tutte manifestazioni, queste, di una Costituzione viva, diffusamente sentita e, quindi, rispettata”.
Perché cambiare l’art. 1? Non crede che fare affidamento sul lavoro, in termini valoriali, sia molto più programmatico e assai più vicino alle esigenze di molti cittadini, che un lavoro dignitoso non riescono proprio a trovarlo, soprattutto nel Mezzogiorno?
“Il concetto di "lavoro" è principale elemento fondante delle "democrazie popolari", ossia di quei Paesi che non sono risultati esemplari nel garantire non solo il diritto ad un lavoro dignitoso, ma neppure ad una vita dignitosa, non delle democrazie cosiddette occidentali. Nel redigere la relazione alla proposta di legge, abbiamo fatto una panoramica delle Costituzioni che mettevano la parola lavoro nei primi articoli ed è emerso un quadro preoccupante. Il primo articolo della Costituzione della Repubblica di Cuba, ad esempio, recita: "Cuba è uno Stato socialista di lavoratori". Il concetto di lavoro era presente anche nel primo articolo della Costituzione dell’ex Unione Sovietica: "L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno stato socialista degli operai e dei contadini". Così, anche la Repubblica Popolare Cinese: "La Repubblica popolare cinese è uno stato socialista di dittatura democratica popolare, guidata dalla classe operaia e basata sull'alleanza tra operai e contadini". Il secondo articolo della Costituzione della Repubblica democratica popolare del Laos riconosce quali suoi componenti fondamentali "lavoratori, contadini ed intellettuali". Anche la Costituzione della Repubblica socialista del Vietnam "si fonda sull'alleanza fra la classe di lavoratori, di contadini e gli intellettuali". Insomma, il nostro primo articolo della Costituzione allontana l'Italia dalle democrazie cosiddette occidentali - le ‘liberal democracies’ - e l'accomuna ai Paesi comunisti dispotici”.
Molti italiani, tuttavia, potrebbero condividere la sua idea di riformare l’art. 1 solamente in astratto, poiché la libertà viene ritenuto un ideale condivisibile in linea generale, ma realizzabile nel concreto solo possedendo i mezzi economici per farlo: lei cosa pensa di fronte ad una simile obiezione?
“Io credo che la libertà sia un concetto indivisibile: non esiste libertà economica senza quella individuale. La libertà di stampa, di espressione, di religione, di voto, di circolazione, la libertà terapeutica, il pluralismo politico, la libertà di non essere discriminati in base a sesso, razza o preferenze sessuali, la libertà di riunirsi pacificamente, l'inviolabilità del domicilio, il diritto alla riservatezza, la libertà economica e quella di perseguire la propria felicità e realizzazione: difficilmente un cittadino, privato di questi diritti, potrà partecipare ed aspirare a governare la cosa pubblica al pari degli altri. Per difendere e proteggere queste libertà è indispensabile la supremazia della legge. Senza certezza del diritto, senza lo Stato di diritto, perdono valore anche i più alti e nobili principi enunciati nella Costituzione, in quanto difficilmente se ne potrebbe esigere ed ottenere il rispetto e l'applicazione. Il cittadino, perciò, posto dinanzi all'incertezza del diritto, alla rassegnata accettazione di una diffusa illegalità, si allontana dalle istituzioni e perde fiducia nella legge percependola come astratta, relativa e, soprattutto, non vincolante. Egli cessa, quindi, di riconoscersi quale membro di una comunità. La nostra proposta di modifica costituzionale intende invece evitare che perduri l’allontanamento del cittadino dalle istituzioni, al fine di invertire questa rotta”.