“Bisogna ‘farsi sotto’, per cogliere la verità. E c’è il rischio di ‘crepare’…”. Questa la frase più significativa dello splendido film di guerra “Salvador” del 1985, magistralmente diretto da Oliver Stone. Quella ‘battuta’, infatti, sottolinea drammaticamente i rischi e le difficoltà del giornalismo più coraggioso e maggiormente esposto: quello degli inviati speciali e dei fotoreporter di guerra, nel loro sforzo di informare il mondo su quanto accade sui più tragici fronti bellici del pianeta. Quei pericoli e quei drammi sono il tema centrale del nuovo bellissimo lavoro del giornalista Salvatore Lordi: “Betlemme assediata – I protagonisti raccontano”, edito dalla R&DT. Il 2 aprile del 2002, intorno alle dieci del mattino, sei giornalisti si ritrovarono prigionieri all’interno della Basilica della Natività a Betlemme. Si trattava di Toni Capuozzo, Marc Innaro, Ferdinando Pellegrini, Luciano Gulli, Mauro Maurizi e Garo Nalbandian, i quali divennero spettatori e testimoni di uno dei più cruenti scontri consumati in Palestina. In quell’area, da mesi l’esercito israeliano teneva sotto scacco alcuni gruppi di miliziani, rei di decine di attentati kamikaze consumati tra centri commerciali e autobus israeliani. I giornalisti volevano continuare a raccontare la guerra ma, arrivati nei pressi della piazza della Mangiatoia sotto il fuoco incrociato di miliziani e soldati israeliani, furono costretti a rifugiarsi nella chiesa più vicina. Così, iniziarono a girare le lancette dell’orologio della Basilica della Natività, quelle lancette che li tennero prigionieri per più di 30 ore prima di arrivare ad un epilogo. All’interno del volume, vi sono anche una serie di splendide fotografie scattate dalla fotoreporter Nili Bassan, che vive e lavora a Gerusalemme, le quali rendono assai realisticamente l’idea delle angosce e del dramma di Betlemme in quei giorni. Se si vuole veramente cercare la pace, bisogna favorire sempre più il dialogo anche tra popolazioni e culture diverse, storicamente nemiche. Ma per fare in modo che l’opinione pubblica mondiale riesca ad avere un’influenza effettiva riguardo ai numerosi ‘teatri di crisi’ internazionale, diviene giuoco forza informarsi, rispettando e comprendendo a fondo un mestiere così difficile e rischioso come quello degli inviati di guerra, poiché sono loro la fonte principale che ci dà modo di sapere veramente che cosa accade. Ed è proprio questo il secondo ‘snodo’ del racconto di Salvatore Lordi: molto spesso, la gente non capisce cosa succede, perché viene fatto in modo che i giornalisti non vedano, perché determinate forze in campo che si combattono aspramente considerano gli inviati di guerra ancor più nemici degli stessi nemici. A quel punto, viene in mente la seconda grande ‘battuta’ di “Salvador”: “Nessuno vuol far sapere nulla di questa guerra, né i guerriglieri del nord, né la Guardia Civile. Dunque, sparano a noi…”. Ed è questo lo speciale ‘messaggio di fondo’ del libro di Salvatore Lordi, che gli fa raggiungere quel livello di narrazione che appartiene solamente ai più autentici capolavori.