Lunghi capelli lucidi e corvini, occhi di liquirizia liquidi e pensosi, poi un sorriso che esplode improvviso e la voce, che scivola veloce come i pensieri, come i gesti delle mani e il guizzo nello sguardo. Giò Marrazzo ha 30 anni, è talentuosa e incredibilmente bella. Soprattutto, ha una forza di volontà e un’energia contagiose, mentre racconta la sua storia di coraggio e caparbietà per la sua arte dalla secolare tradizione.
Chi era Giò da bambina e come si immaginava da adulta? Come nasce la passione per coralli e cammei e come arrivi all'idea delle tue creazioni?
“Vengo da una piccola cittadina vicino Napoli, Torre del Greco tra il Vesuvio e il mare: un luogo pieno di storia e patria del cammeo e del corallo, frutti del mare che hanno dato e danno lavoro ai suoi abitanti da millenni. Pur non avendo nessun artigiano in famiglia mi sono accostata a quest’ arte, mossa da curiosità e ribellione ai dettami sociali che mi venivano imposti. La Giò bambina era insicura e turbolenta, solo da più adulta, negli anni di liceo, ho vissuto uno scatto di crescita che mi ha reso consapevole: ho iniziato ad affacciarmi nell’agone pubblico come rappresentante d’istituto e come attività del collettivo studentesco”.
Hai fatto fatica a immaginare un futuro?
“Vengo da una famiglia umile e a casa si faceva molta fatica a sognare: occorreva guardare in faccia la realtà, che in molti casi volevo fuggire per plasmare qualcosa di solo mio in cui credere. Ho iniziato, allora, a mettercela rutta: la mattina andavo a scuola, il pomeriggio facevo l’ apprendista in un laboratorio dove imparavo a lavorare i cammei a partire dalla conchiglia, a intagliare i bassorilievi in miniatura, a dar firma al corallo. Il fine settimana facevo i turni in una pizzeria e, con i primi guadagni, ho preso in affitto un garage che resi il mio primo laboratorio: non mi sembrava vero! Il mio sogno prendeva forma: ero affamata di passione per ciò che facevo. Non mi bastava più la tecnica di lavorazione: volevo tirar fuori ciò che mi bruciava dentro. Così, quei 20 metri quadri sono stati il mio rifugio che ho riempito solo di bellezza e gioia, di amici che suonavano, mia sorella che disegnava, io che creavo. Era quella la mia ‘bolla’ dalla realtà, che mi ha permesso di evadere da un presente difficile e di sacrifici, ma che aveva, finalmente, il sapore del futuro. Da lì è iniziato tutto”.
E dopo?
“Trascorsa l’adolescenza, i miei genitori decisero di trasferirsi in Toscana per lavoro, ma io avevo ben chiaro che avrei dovuto trovare il modo di continuare il mio percorso di formazione. Appena maggiorenne, iniziai a seguire un corso di cera in una bottega orafa di Firenze e, dopo un paio d’anni, mi sono trasferita vicino Milano con il mio compagno. Ho iniziato a lavorare per diversi laboratori e, pian piano, con pochi mezzi e scelte non sempre facili, intrapresi una strada artistica e imprenditoriale, nonostante la giovane età”.
Quando hai deciso di diventare madre?
“Quando ho deciso di diventare madre, ogni prospettiva è cambiata: a 22 anni, misi al mondo Gerry e, dopo il parto, ho avuto un problema di salute importante, che mi ha posto di fronte alla vita di mio figlio, da un lato e al timore della mia morte, dall’altro. Fu in quel periodo che mi sono riavvicinata a un’intensa spiritualità, all’antico mondo dei ‘voti’ per ricevere una ‘grazia’ e ricominciare a credere nel mio sogno e a ritrovare la forza di farcela”.
E oggi?
“Oggi ho smesso di cercare a tutti i costi un mio gusto stilistico e ho iniziato a tirar fuori la mia ‘vis narrativa’ attraverso l’ispirazione dei simboli: croci, cuori sacri, alcuni materiali e talismani che esorcizzavano le mie paure, alimentando la mia energia. Oggi, ciò che creo non è più un atto di rivalsa, bensì un’esigenza emotiva: creo una sorta di ‘uscita’ che scrive le note sullo spartito: musica e profumi innescano in me un meccanismo folle, un sortilegio che mi porta lontano”.
Sogni, progetti, ambizioni: dopo la boutique a Monti, nel cuore della capitale, volerai oltreoceano?
“Ho ancora tanta voglia e bisogno di crescere. Vorrei strutturarmi di più come azienda, formando nuove generazioni di artigiane artistiche che credano, come me, in questo settore. Simboli, tradizioni popolari, cultura dal basso e spirito imprenditoriale: vorrei portarli nel mondo, raccontare da dove vengo. E non fermarmi mai più”.