Sabina Natali è una psicologa e psicoterapeuta torinese, che di recente ha pubblicato un libro dal titolo: ‘Apricale, un paese tra passato e futuro’ (Volturnia edizioni). Si tratta di una lettura dedicata a uno dei tanti borghi d’Italia, un modo diverso per immergersi in un territorio "a passo lento", come afferma quest’autrice. Un altro modo di viaggiare più consapevole e profondo, cercando di trasmettere il fascino di un ‘borgo chiuso’, ma di frontiera, quasi sospeso tra passato e futuro. Un lavoro suddiviso in tre parti: nella prima, l'areale in cui sorge Apricale, la Val Nervia, in provincia di Imperia, con le sue caratteristiche storiche, geografiche e culturali, le vie di accesso attuali e passate, per analizzare la storia di questo piccolo comune ligure, con la sua economia, le coltivazioni, i mestieri degli 'apricalesi', legati a doppia mandata al luogo nel quale si sono trovati a vivere. E anche qualche ‘nota di colore’, con le leggende a esso collegate: la contessa di Apricale, il boia, la bicicletta sul campanile della Chiesa. Nella seconda parte ha messo mano agli archivi del paese, ascoltando le storie che avevano da raccontare sia i nativi, sia gli stranieri immigrati che hanno scelto questo territorio come "secondo tempo della loro vita". Nella terza parte, si risponde alla domanda: "Come sarà questo paese tra vent'anni"? Insomma, un lavoro molto interessante e ben fatto, teso ad analizzare un luogo e un territorio che rappresenta perfettamente le nostre radici culturali. L’abbiamo incontrata nel suo studio torinese, per far conoscere ai lettori una professionista molto seria e per sapere qualcosa di più circa i motivi della sua pubblicazione.
Sabina Natali, innanzitutto come è nata la sua passione per la psicologia?
“Ciascuno di noi ha un sogno nel cassetto, che poi può cambiare, non realizzarsi mai o chissà. Il mio, fin dalla scuola superiore, è stato quello di diventare chi sono ora (ma, come sempre, spazi di miglioramento sono ancora grandemente possibili...). Impresa non facile, perché un conto è la teoria e un conto la realizzazione pratica. Come dice il saggio: ‘La mappa non è il territorio’. Credo, però, che se la motivazione è sufficientemente forte, si riesce ad arrivare. Oggi, sono una psicologa e psicoterapeuta, terapeuta EMDR (stimolazione bilaterale alternata, ndr), oltre a essere una formatrice e un’antropologa della salute nei sistemi complessi. Mi sono laureata nel 2003 e specializzata in psicoterapia sistemico-relazionale nel 2008”.
Di cosa si occupa?
“Prevalentemente, di terapia di coppia, individuale e di ansia da palco, aiutando i musicisti classici e i cantanti a superare l’ansia da palcoscenico”.
Dove e in quale settore ha scelto di specializzarti?
“Ho scelto di specializzarmi presso la scuola di psicoterapia sistemico–relazionale. Noi, infatti, viviamo in un mondo di relazioni che sono la base della vita di ciascun individuo. Se queste si ‘ammalano’, ci ‘ammaliamo’ anche noi. Una delle cose su cui faccio riflettere i miei ‘viandanti’ (con questo nome intendo le persone che vengono nel mio studio, poiché siamo tutti viaggiatori su questa Terra… ) è proprio il fatto che se la coppia non funziona non è ‘colpa di lui’ o ‘colpa di lei’, ma del fatto che la loro relazione sta soffrendo. E loro devono fare un grosso atto di amore nei suoi confronti: se ne stanno occupando. Inoltre, è la stessa relazione terapeutica, in primis, a promuovere il superamento dei naturali momenti di difficoltà, più o meno lunghi e impegnativi, che ciascuno di noi vive aiutando l’altro a scoprire ed utilizzare pienamente i propri punti di forza”.
E’ da poco uscito un suo libro: ce ne vuole parlare?
“Sì. Dopo aver scritto numerose prefazioni, postfazioni, un capitolo di un libro collettivo con dei colleghi e un racconto per un progetto di beneficienza - insomma, dopo un po’ di rodaggio - ho tirato fuori dal cassetto un altro sogno, un libro tutto mio: ‘Apricale, un paese tra passato e futuro’ (Volturnia edizioni). Lo spunto di partenza è stato un ‘dovere’: una tesi per un master di specializzazione in ‘Antropologia della salute nei sistemi complessi’. Ma è immediatamente diventato un ‘piacere’. Nel mio studio, mi occupo di ‘riscrivere storie’: quelle degli avi che ci portiamo dentro (e dietro) di generazione in generazione. Ciò che è scritto non solo nel nostro Dna, ma anche nella Storia, nella cultura, nelle leggende e nei luoghi che abitiamo e che ci caratterizzano così tanto. Per questo motivo sono andata a ‘frugare’ in un borgo ligure che mi appartiene al 50%. É stato un lavoro parallelo: mentre ascoltavo le storie di vita dei suoi abitanti e analizzavo il territorio, gli archivi del paese e il suo aspetto antropologico, andavo a ’lavorare’ anche il mio ‘terreno interno’. L’intreccio che ne è uscito, mi ha permesso di considerare quel sistema complesso che è il borgo medioevale da punti di vista differenti e sicuramente inusuali. Lo consiglierei se: a) vi piacciono i borghi silenziosi e poco abitati; b) se amate viaggiare “a passo lento” per scoprire nuovi territori; c) se siete affascinati/e dalle storie dei luoghi che visitate; d) se vi piace osservare le cose da punti di vista inusuali”.
Progetti futuri?
“Difficile parlarne in poche righe. Sicuramente, un altro libro, ma di genere differente, più vicino al mio lavoro, per dar voce ai pazienti. Ora, sono ai primi capitoli. E in questo senso ben vengano proposte editoriali. Oltre a ciò, ‘fare qualcosa di diverso ogni giorno’, che non è qualcosa che si prescrive solo ai pazienti, ma che serve anche ai terapeuti. Poi, affrontando la vita “a cuore aperto”, chissà cosa l’universo avrà in serbo per me”.
Quali sono le sue passioni ?
“Forse, farei prima a dire quali non sono le mie passioni. La pratica del Taijiquan, del Qi Gong, il rapporto con gli animali e le passeggiate in natura entrano con me nella stanza di terapia e concorrono al mio modo di prendermi cura dell’Altro, con rispetto, attenzione, e curiosità per le storie di vita che si raccontano. E i viaggi, tutte le volte che si può, così come i libri, il teatro e…”.
Qual è l’evento che ricorda più volentieri?
“Più che un evento è una sensazione che provo ogni volta che cammino in un bosco: una profonda connessione con me e ciò che mi circonda. Quando non sono in piena forma, la Natura è l’unica che riesce a riconnettermi. Se non ho l’opportunità di esserci immersa, il richiamare alla mente quelle sensazioni mi aiuta molto. D’altro canto lo shynrioku, la pratica giapponese di immergersi e abbracciare gli alberi, viene anche prescritta a livello medico. Si danno medicine che, però, sono affiancate a seconda della problematica fisica, riportata alla prescrizione di camminare in un certo bosco con determinate caratteristiche”.
A chi sente di dover dire grazie?
“Senza ombra di dubbio al mio albero genealogico, ragioniere implacabile che non perde occasione per farti riflettere su chi sono e su dove sto andando. Come recitava il titolo di un bel libro: ‘Senza radici non si vola’. Se non siamo in grado di partire da esse non possiamo pretendere di evolvere, sia a livello animico, sia personale. E quindi, con i loro pro e i loro contro, è alle mie radici che si rivolge il mio ringraziamento”.