Non siamo del tutto d’accordo con chi legge assai criticamente la mostra sul futurismo, in esposizione alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma. Sotto il profilo culturale, la rassegna organizzata da Renata Cristina Mazzantini rappresenta, pur tra qualche errore cronologico e alcune opere mancanti, un sano tentativo di riannodare i fili di una riflessione dinamica, energetica e, al contempo, laburista e giovanile. Siamo cioè di fronte a un buon tentativo di portare a sintesi dinamismo, progressismo e nazionalismo. Un ritorno alle origini proposto da destra. La qual cosa, non è affatto una cattiva notizia. Ovvio, il fascismo della prima ora, quello repubblicano e socialista, all’epoca rappresentò soprattutto una risposta reazionaria al 'biennio rosso'. Aveva, cioè, il difetto di essere 'mosso dall’alto'. E ancora oggi, certe distanze rimangono, anche se all’interno di una logica 'rossobrunista' imposta dalla polarizzazione di questi tempi. Tuttavia, lo sforzo di rigenerare il pensiero italico, riportandolo in un alveo 'attualista', rimane un tentativo importante, che non impone un riavvicinamento tra destra e sinistra troppo contaminante: la forma, ovviamente, è presente, ma all’interno di essa possono essere ravvisati dei contenuti, come la ricerca di un’etica del lavoro; le speranze di tanti giovani verso un mondo migliore; una solidarietà tra le classi che diviene forza potenziale, riverbero culturale, corporativismo sociale. Certamente, alcune distanze rimangono, da una parte e dall’altra: da un lato, quello progressista, si dovrebbe ammettere che il pensiero di sinistra non può limitarsi alla conflittualità tra le classi e all’anarchia rivoluzionaria: al 'trontismo', per farla breve; dall’altro lato, quello dell’ordine, si dovrebbe comprendere come evitare di trasformarsi in una 'gabbia', accettando il pensiero come antitesi che si rinnova perennemente proprio in quanto dinamismo energetico, che pertanto non può essere mera immagine, puro intrattenimento, semplice evasione o fuga dalla realtà. Quanto espresso dal futurismo può liberarci dalla 'palude' della non responsabilità, della staticità culturale, della rinuncia all’analisi. Il gusto del surreale, della critica nascosta dietro una celia, tipica del teatro 'petroliniano', per esempio, ha fatto sorgere espressioni e modi di dire: non è vero che tutto ciò sia stato spento dai lunghi decenni di soffocamento paternalista e cattolico-borghese. Allo stesso modo, vi è il suggerimento a non contaminare la riflessione delle sinistre laiche e progressiste con le 'pastoie contrattualiste' provenienti delle élites, altrimenti si ripropone l’errore opposto, si perdono energie e capacità di autocritica che sono, esse stesse, forme di rielaborazione del pensiero. Ma deve trattarsi di un pensiero che sappia essere spontaneo e sincero, anche a costo di apparire, a tratti, surreale o irrazionale. Una 'battuta musicale' in cui lasciar spuntare la 'coda del diavolo', al fine di individuarlo, utilizzarlo e contenerlo. Si è capito che il capitalismo va corretto, insomma, da ambo le parti; che si può condizionarne la direzione di marcia; che è possibile anticiparne le mosse, rinunciando al 'nichilismo' di attaccare il sistema negli 'anelli forti' della 'catena'; che certe mistiche rivoluzionarie sono solamente 'cupi brontolìi' sopra il cielo di una globalizzazione fortemente divisiva e ingiusta, che lascia scarse possibilità espressive. Soprattutto ai giovani. C’è del buono in tutto questo: non ne farei una critica da 'grilli parlanti'. C’è la rappresentazione di intere generazioni di giovani che non sapevano, di preciso, come esprimersi e, allo stesso tempo, come aiutarsi tra loro in quanto italiani. Il messaggio di fondo della mostra di Valle Giulia è giusto salvarlo: un dialogo destra/sinistra sul dove si va o si vorrebbe andare; una forma di azionismo repubblicano che ha sempre avuto i suoi amori segreti e i suoi incroci 'carsici'; un richiamo all’amicizia giovanile per chiedersi: “Io vorrei fare, ma non so come farlo. Io vorrei martellare il mondo, lavorarlo incessantemente, plasmarlo a nostra immagine”. Bisogna ribadire che tutto questo lo si può fare coltivando degli interessi, amando il lavoro degli operai, dei tipografi e degli artigiani, poiché non basta immergersi nel semplice orgasmo per l’odore dei libri freschi di stampa o di una rivista patinata scritta da alcuni giovani ragazzi. Un sapere verso dove si vuole andare tutti quanti, a prescindere dalla propria provenienza, progressista o tradizionalista essa sia. Il richiamo futurista non è una semplice riunione dentro una casa di campagna per fare 'casino' e dar fuoco a tutto: la repressione sociale, imposta da un’estetica verticista e a senso unico, è forte. Tuttavia, si possono trovare metodi e linguaggi diversi, per imparare ad aprirsi una strada anche da soli, liberandosi dai tanti macigni che i giovani trovano, ancora oggi e quotidianamente, sul loro cammino. Non siamo, dunque, di fronte al mero intrattenimento, a una festa disordinata per i 100 giorni dagli esami di maturità: siamo cresciuti e maturati, chi più, chi meno. E la nostra vivacità creativa rimane a farci compagnia; a farci sorridere delle nostre sperimentazioni attraverso un coraggio tipicamente di sinistra, che finalmente può ritrovare comprensione e affetto. Con un recupero di sapienza formale, certamente. Ma secondo un metodo, che sappia anche essere un 'non metodo'. E’ questo il messaggio di sintesi della Gnam. Anche perché, qualcuno di noi l’ha vissuta in prima persona, quella sintesi. Soprattutto, quando ha incontrato curiosità e interesse e non la 'sfessata' follia della contrapposizione ideologica.