Vittorio Lussana

Ragionando in questi giorni sulla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali tenutesi negli Stati Uniti e alla ridicola (e pericolosa) squadra di governo che costui si appresta a varare, da più parti ci si è domandati come mai il populismo, l’antipolitica e l’autoritarismo in generale continuino a fare breccia negli elettorati e tra i cittadini. In sostanza, ci sono tre fattori dirompenti che si sono imposti negli ambienti politici: 1) il 'personalismo', cioè la convinzione che in politica basti l’uomo forte per risolvere molti problemi, con un sotteso elemento di delega della responsabilità civile che vive e lotta insieme a noi; 2) l’idea che un politico furbo, opportunista e, in qualche caso, persino criminale, risponda meglio alle esigenze di governo delle società in quanto maggiormente pragmatico; 3) il 'maschilismo' nei confronti delle donne, che negli Stati Uniti è addirittura più forte, come pregiudizio, persino del razzismo. Come si può notare, questi 3 preamboli sono palesemente errati e derivano da un invecchiamento anagrafico in pieno stato di avanzamento nelle società occidentali: chi non ha tempo - o ne ha poco - pretende soluzioni facili e immediate e non vede di buon occhio una pratica politica in quanto avvio di processi riformisti di lunga lena. In secondo luogo, la suggestione dell’uomo forte, capace di andare per le 'spicce', oltre a essere storicamente preludio a una marea di guai, dovrebbe essere accompagnato anche da una squadra di governo competente e con un progetto politico coerente di società. Quest’ultima cosa appare evidente, qui da noi, nello stupore che si prova osservando le magnifiche vicende dell’Atalanta bergamasca calcio, che è l’unica squadra in Europa in cui vige una solida serenità aziendale. Un’associazione sportiva che riesce a svolgere, molto semplicemente, quel che dovrebbe esser fatto normalmente nella conduzione di una squadra di calcio. In pratica, se i nostri ambienti sportivi fossero più sani e meglio frequentati, l’Atalanta sarebbe affiancata da molte altre squadre, che la renderebbero una formazione 'normale' e non 'ideale'. Perché il paradosso è esattamente questo: quel che ci appare eccezionale o di massimo livello, non dovrebbe rappresentare un’eccezione, bensì la normalità. Insomma, l’antipolitica sta ponendo in discussione l’immagine del politico classico e del cosiddetto "politicamente corretto", attraverso un insieme di atteggiamenti e comportamenti che esprimono, in forme surrettizie, ma sottilmente dispregiative, l’avversione, il disprezzo e persino l’odio nei confronti della democrazia. Anche quando i populismi non 'sfociano', concretamente, in particolari atti instaurativi. I populisti interrompono sempre i propri interlocutori nei dibattiti politici e nei talk show; impediscono ogni dialogo costruttivo; guardano con sospetto il dissenso; esprimono giudizi sprezzanti, evitando accuratamente ogni forma di autocritica o anche di semplice self analysis su se stessi e sui propri errori. I quali, ricadono regolarmente sull’intera collettività, ma di questo non sembra 'fregare' a nessuno. I Partiti, a loro volta, sono considerati meri luoghi in cui s’intrecciano oscure relazioni o affari poco trasparenti. E le istituzioni di rappresentanza – quelle legislative e giudiziarie in particolare – vengono dipinte come organi totalmente distaccati dalla vita reale, frequentati da persone attente solo al proprio tornaconto personale o che beneficiano di privilegi corporativi. I populisti, detto in altri termini, oltre a essere animati da atteggiamenti ‘anti-intellettuali’ e antistorici, cercano di contrapporre il popolo alle élite attribuendosi un’unità di intenti e di interessi con il popolo medesimo, che risulta, al contrario, utilizzato demagogicamente per riuscire a ottenere privilegi o raggiungere obiettivi politici. Tutto questo deriva dal 'berlusconismo', che ha immesso in circolazione, a livello planetario, un virus mortale per la democrazia: solo un editore può pensare di finanziare un giornale o un canale televisivo per finalità 'altre', rispetto alla vendita in edicola o alla mera raccolta pubblicitaria. Ma anche senza cercare una causa primigenia, dovrebbe apparire evidente che siamo di fronte a un ribaltamento eversivo persino in termini aziendalisti: un’antipolitica che s’instaura dall’alto e non dal basso. Un altro errore che spesso si compie è quello di considerare fenomeni come Donald Trump oggi o Silvio Berlusconi ieri, come passaggi innovativi o di 'conio' recente: i Partiti e i politici classici hanno spesso deluso i cittadini o ampie parti dei propri elettorati, provocando una degenerazione che ha condotto a lunghe fasi in cui gli antipolitici ne hanno potuto approfittare per eliminare gli esponenti più seri e preparati. Una cosa accaduta anche a sinistra, dove la 'rottamazione' di Matteo Renzi ha finito col mettere da parte intelligenze e personalità importanti, come quelle di Massimo D’Alema o Romano Prodi. Insomma, questa nostra analisi non è diretta a parlar male esclusivamente dei Partiti conservatori o delle destre: anche a sinistra, diverse forme di populismo circolano come la Coca-Cola. Ma tutto ciò non crea nuovi equilibri, né fasi di riformismo strutturale, bensì una trasformazione in senso autoritario della società, che si ritrova a segnalare con disprezzo il drastico crollo di autorevolezza e di affidabilità della classe politica presa nel suo complesso. In pratica, l’antipolitica genera un nuovo populismo di cui essa stessa si nutre, creando aspettative illusorie e una sistematica delusione che si tramuta in astensionismo, disaffezione e ostilità. Altre cause dello sfondamento dell’antipolitica riguardano alcune trasformazioni della sfera politica. Prendiamo il principale bersaglio dei populisti: i politici di professione. Indipendentemente dal Partito di appartenenza e dai gruppi sociali che proclamano di voler rappresentare, i politici appaiono sociologicamente sempre più simili tra loro: hanno un’estrazione sociale e livelli di istruzione per lo più medio-alti, oppure provengono da ambiti lavorativi socialmente apprezzati. Negli ultimi 30 anni, i liberi professionisti sono diventati il ceto professionale più rappresentato in parlamento, con una percentuale che ha oscillato tra il 30 e il 40%. Considerati tutti insieme, gli inoccupati, gli studenti e gli operai sono stati a lungo sotto il 5%, nonostante l’ingresso del Movimento 5 Stelle. Solo il 5% dei parlamentari possiede la licenza elementare o media, mentre un altro 20% ha conseguito il diploma di maturità. Tutti gli altri sono laureati. Alcuni con i 'bollini' di Castroni, ma tant’è... Sia ben chiaro: una perfetta rappresentanza sociologica degli elettorati non è mai esistita. Ma ai tempi dei Partiti di massa, questa imperfezione risultava accettabile, perché era diffusa l’idea che spettasse loro il compito di rappresentare e difendere gli interessi di specifiche classi sociali o gruppi d’interesse. Ma nel momento in cui tutte le forze politiche sono diventate interclassiste, ecco che il 'guscio' della rappresentanza è scomparso e i politici sono rimasti nudi innanzi ai propri elettori. Oltre a tutto questo, i Partiti hanno sostituito ogni logica competitiva con quella collusiva, alzando barriere atte a impedire l’ingresso di nuovi attori nel campo politico, dando vita ad accordi finalizzati a mantenere la loro posizione oligopolista all’interno del mercato politico. In pratica, da spazio fisico e simbolico, in cui i cittadini potevano partecipare e organizzarsi per far arrivare la propria voce e le proprie richieste fin dentro le istituzioni, i Partiti sono divenuti un luogo quasi esclusivamente popolato da eletti. Le loro campagne elettorali sono sempre più professionalizzate, affidate ad agenzie specializzate che riservano i loro servizi al miglior offerente, mentre l’impegno degli attivisti sul territorio è divenuto irrilevante. Ecco come si è generato un sentimento di delusione e di ostilità che s’indirizza verso tutti i politici di professione, ritenuti responsabili di questa trasformazione percepita come una degenerazione. Ma le vere cause della diffusione dell’antipolitica non sono né superficiali, né recenti. E adesso, per riuscire a restringere il 'gap' delle aspettative, che genera un cattivo giudizio nei confronti della politica, bisogna lavorare su due fronti: quello della classe politica, certamente, ma anche quello dei cittadini, smettendola di blandirli come se fossero dotati di una saggezza totalmente idealista o 'campata per aria'. Senza dubbio, i politici dovrebbero frenare la loro folle corsa alle promesse più demagogiche e irreali, che alimentano le aspettative più assurde. Ma anche sul versante degli elettori, questi ultimi dovrebbero cominciare ad apprendere una maggior cultura democratica e guridica, evitando di scambiare la politica come una mera tribuna, da cui è possibile modellare a proprio piacimento la realtà. Il tradimento della politica risiede esattamente in questo: proprio nel momento in cui c’era bisogno di governare fenomeni sociali complessi o di portata globale, la sua azione è apparsa debole, animata da esponenti sempre più inventati. La democrazia non è onnipotente, ma nemmeno del tutto imbelle o incapace di incidere sulla realtà. Ma consentire il suo arretramento significa semplicemente aprire la strada a politiche autoritarie, al mercato, alla tecnocrazia o alla teocrazia. Nonostante i suoi difetti, converrebbe tornare alla vera politica, pretendendo che essa svolga meglio i propri compiti. Per tenersi ben stretta la democrazia.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata su www.gaiaitalia.com)

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