Nella vicenda di
Terno d’Isola (Bg), ciò che colpisce non è
l’efferatezza del delitto in sé o le violente modalità del
'femminicidio' di
Sharon Verzeni, ma il fatto che si tratti di un atto compiuto
senza motivazioni plausibili. Si è cioè materializzato un
fantasma terrificante: il
delitto senza movente, in grado di colpire anche chi si tiene ben lontano dalle cosiddette
'cattive frequentazioni'. Ma il
delitto privo di movente, in realtà,
non esiste: l’assassino di
Sharon Verzeni, il 31enne
Moussa Sagare, un
italiano 'naturalizzato' (sarebbe questa la dicitura giuridica corretta,
ndr), era
incensurato. Anche se il lato occidentale della
provincia bergamasca risulta molto vicina a quella
milanese, tanto da esser diventata un
continuum urbanistico con essa, appare alquano insolito che una persona incontri qualcuno per la strada e voglia ucciderla perché
"aveva voglia di farlo”. Un fattore scatenante ci dev’essere, a prescindere dall’assunzione di
droghe o dall’essere affetti da una
patologia psichiatrica. A quanto pare, pochi minuti prima del delitto,
l’omicida stava
discutendo animosamente con due minorenni che, infatti, la
procuratrice aggiunta di Bergamo, dottoressa
Maria Cristina Rota, ha invitato a presentarsi innanzi ai
Carabinieri, al fine di confermare o meno le
ipotesi su cui si sta ragionando. In pratica, si sta ipotizzando un
tentativo di
pacificazione tra i
tre ragazzi, effettuato della
Verzeni per porre fine a una
lite minacciosa. Un
intervento che le è
costato la vita. In questi casi, in genere, scatta un
meccanismo di rivalsa: una sorta di
punizione, da parte dell’assassino, contro chiunque
s’intrometta in una
questione privata. Ma il
contesto concreto era quello di una
via pubblica. Pertanto, è
questo tipo di etica che è
venuta a mancare. Come se lo
Stato, con le sue norme, regole e leggi,
non esistesse e si reclamasse di
sospendere il diritto di fronte a ogni
vicenda privata. Ma lo
Stato non si ferma
sull'uscio di casa: la
libertà del singolo individuo non è assoluta e non si può pretendere una sorta di
indipendenza. Questo
assolutismo del privato, rispetto ai nostri
doveri pubblici, è un
'miasma' totalmente
'campato per aria'. Esso discende da quel
“soggetto atomico privato” teorizzato da
Alfred Rosenberg, l’ideologo del
Partito nazionalsocialista tedesco, per giustificare gli
abusi, totalmente arbitrari, delle
SS. Siamo, dunque, all’interno di un concetto
'chiuso' di società, che silenziosamente sta prendendo il sopravvento, provocando una
'guerra tra poveri'. La quale, a sua volta, alimenta nuove paure.
Terno d’Isola non è
Caracas. Il
'buono' di luoghi come la
provincia bergamasca, mai assunta alle cronache fino al
misterioso omicidio di
Yara Gambirasio di qualche anno fa, è sempre stato quello di una
popolazione socialmente serena, pacifica, laboriosa. Si tratta di luoghi in cui, quando s’incontra
uno sconosciuto per la strada, è considerato normale
salutarlo. E’ questo
l’aspetto più sano della
vita di provincia: una forma generalizzata e diffusa di
buona educazione, socialmente utile a
distendere i rapporti e a diffondere comportamenti improntati alla
razionalità e alla
ragionevolezza. Dobbiamo prestare
maggior attenzione a questa mentalità tesa a
'privatizzare' i
rapporti sociali e i
comportamenti, perché si finisce col
giustificare ogni arbitrio, generando un
'gap', una specie di
'iato', tra
popolo e
ordinamento giuridico. La
'china' che sta prendendo la nostra
società non è la mancanza di
un’etica. Quando ci si pone alla ricerca
un’etica - spiace ribadirlo - significa che essa è già
venuta meno, decontestualizzando i comportamenti. E la prima cosa che ci viene in mente di fare, soprattutto di fronte a qualcuno che non si fa i
“fatti suoi”, si materializza come una
reazione considerata
perfettamente normale. Ma la mancanza di
un’etica, l’imposizione di una
libertà totalmente
sganciata dai propri
doveri di responsabilità sociale, espone il Paese al
disordine, ai
comportamenti forzati, all’esplosione incontrollata del
disagio, all’applicazione rigida di
moralismi preconfezionati. I quali, in nome di una
reclamata semplicità o in base a una serie di
verità considerate
automatiche, ci relega verso una condizione di
'non responsabilità' individuale totalmente
illogica, assurda, priva di senso. Si faccia, dunque, molta
attenzione: si sta
tornando indietro. Si sta
regredendo verso una
cattiva applicazione, totalmente
di 'pancia', del
pensiero critico, corrompendo i
rapporti civili e
sociali. Siamo ormai di fronte a una
tendenza all’imposizione e alla
sopraffazione: una sorta
d’involuzione verso i
comportamenti istintivi, irrazionali, quasi
meccanici. E, come al solito, assai religiosamente, stiamo
facendo finta di
non vedere tutto questo, preferendo voltare il nostro sguardo
da un’altra parte. Sta vincendo la
paura, signori. Una
deriva che, di solito, serve a giustificare ogni genere di
forzatura e qualsiasi tipo
d’ingiustizia sociale.
Direttore responsabile di www.laici.it