Vittorio LussanaIn questi giorni, alcuni esponenti politici di maggioranza hanno affermato che la discussione creatasi intorno alle nostre atlete del volley femminile, le quali hanno vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024 dominando completamente tutte le altre rappresentative nazionali, non basti a giustificare una revisione della normativa sulla cittadinanza. Tale affermazione, però, rappresenta una scusa poco lungimirante, tesa a nascondere una sostanziale insensibilità e inazione su un terreno di riformismo sociale che potrebbe risultare assai meno ostico di quanto si pensi. Proprio le Olimpiadi, infatti, hanno delineato quale sarà il vero futuro dell’Italia, a fronte di un popolo che invecchia a vista d’occhio, destinato addirittura a diminuire come popolazione complessiva. Denari per avviare una robusta politica d’inversione di tale tendenza non ve ne sono. E in ogni caso, questo tipo di processi demografici portano frutto assai lentamente. Negli anni ‘60 del secolo scorso, la famosa generazione dei 'baby boom' fu infatti preceduta da almeno un decennio di solida crescita economica avviata dal cosiddetto Piano Marshall, sostenuta da circa 1 miliardo e 500 milioni di dollari di investimenti nei settori dell’industria meccanica e siderurgica. Calcolando l’inflazione, quella robusta iniezione di danaro oggi ammonterebbe a circa 90 miliardi di dollari: una cifra impossibile da recuperare. Oltre a ciò, un simile ammontare di liquidità dovrebbe essere investito massicciamente nel sistema industriale attuale, ormai automatizzato, altamente tecnologico, spesso limitato al mero 'contoterzismo', cioè specializzato in processi industriali di semplice trasformazione dei beni come il 'packaging', o nella produzione di accessori o servizi per altri. Insomma, il processo demografico di ripresa della natalità italiana equivale, ormai, a una vera e propria scalata alpinistica del K2: una 'vetta' invalicabile, persino difficilmente aggirabile, se non attraverso massicce politiche di pianificazione forzata di medio-lungo periodo. Bisogna, perciò, ricorrere all’immigrazione regolare, cioè quella composta da persone che risiedono qui da noi osservando lealmente le nostre leggi o che si stanno comportando molto bene sul terreno della convivenza civile. Lo ribadiamo: non si tratta di utilizzare strumentalmente gli eccellenti risultati sportivi ottenuti alle Olimpiadi di Parigi 2024, bensì di una scelta obbligata, resa inevitabile dal decremento demografico e dall’invecchiamento della popolazione, già in atto nei primissimi anni ‘80 del secolo scorso. Continuare a non voler affrontare il problema, oltre a dimostrare un'arcigna insensibilità, potrebbe causare seri problemi di credibilità dell’intera classe politica italiana. Inoltre, che capiti al centrodestra di approvare una riforma pensata - ma mai messa in pratica - dalle sinistre, darebbe un ottimo segnale politico alla popolazione italiana, poiché evidenzierebbe il vero punto debole del centrosinistra: proporre diagnosi corrette in linea teorica, ma mai applicate fino in fondo, per mancanza di coesione e per scarso decisionismo politico, spesso millantato solamente a parole. Insomma, si ribalterebbe l’intero paradigma del confronto politico preso nel suo complesso, che non vedrebbe più un centrodestra arroccato sulla difensiva, ma altresì impegnato a dimostrare un effettivo pragmatismo politico. Ora, al fine di riuscire a mettere una simile 'pezza a colori' a una problematica gigantesca come la denatalità, ci sarebbero varie soluzioni che ora andremo a elencare, spiegandole sinteticamente.

Lo ius soli propriamente detto
L'attuale norma che regola la cittadinanza italiana, si basa sul principio dello 'ius sanguinis', il quale stabilisce che essa si ottenga per discendenza o filiazione. La legge che regola tale materia è la n. 91 del 1992: una normativa che risale a più di trent'anni fa. Essa prevede che uno straniero nato in Italia possa acquisire la cittadinanza se ha risieduto qui da noi legalmente e senza interruzioni, fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari di voler acquisire la condizione di cittadino italiano entro un anno dal compimento del 18esimo compleanno. Per gli stranieri arrivati in Italia da bambini esiste, invece, il principio della naturalizzazione. Sempre al compimento della maggiore età diviene possibile richiedere la cittadinanza se si è vissuti in Italia tramite una residenza legale continuativa e ininterrotta di almeno dieci anni. Tuttavia, questo processo risulta costoso e può avere molte complicazioni. Tutti aspetti che rendono difficile per molte famiglie completare il procedimento, privando di molte possibilità i ragazzi cresciuti in Italia. In tal senso, inizialmente si era pensato d'inserire per legge il principio dello 'ius soli', ovvero una concessione automatica della cittadinanza a chi nasce sul territorio nazionale. Tra i Paesi che adottano una formula così ampia ci sono gli Stati Uniti e la Francia, dove è richiesto che i genitori del minore abbiano semplicemente un permesso di soggiorno.

Le soluzioni 'temperate' o condizionate: lo ius scholae
Lo ius scholae è un principio che consentirebbe la concessione della cittadinanza italiana ai minori stranieri nati in Italia o arrivati qui da noi entro i 12 anni di età, dopo aver completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni. Questa procedura potrebbe rendere immediatamente italiani centinaia di migliaia di studenti già presenti sul territorio del nostro Paese.

Lo ius culturae

Lo ius culturae, simile allo ius scholae, consentirebbe l’accesso alla cittadinanza italiana dopo il completamento di un ciclo scolastico con successo, basandosi sul principio che il minore straniero debba dimostrare attivamente la propria volontà di integrazione.

Perché è necessario lo ius scholae
Ora, scegliendo una qualsiasi procedura tra quelle elencate, il centrodestra italiano realizzerebbe una riforma del diritto di citadinanza che il centrosinistra non ha mai voluto portare a compimento, a causa di litigiosità interne e opportunismi elettorali. Si darebbe, cioè, all’esterno un primo segnale di autentico pragmatismo rispetto a un mondo progressista spesso parolaio e inconcludente, che si riempie la bocca con i problemi senza riuscire a risolverli. In secondo luogo, la destra italiana, in particolare, uscirebbe da una propria condizione di arroccamento difensivo che la porta a governare soprattutto attraverso la decretazione d’urgenza, limitandosi a 'tamponare' le emergenze. Aprirsi, invece, ad alcune azioni riformiste potrebbe riportare il dibattito con le opposizioni su un terreno maggiormente propositivo e di dialogo, superando il propagandismo leghista e uscendo, in generale, dalle diffidenze reciproche. Ribadiamo: non si tratta di approvare parti o ‘pezzi’ del programma di centrosinistra, ma di dimostrare, in alcuni casi particolari, una potenziale volontà di collaborazione tra le forze politiche, restituendo alcune funzioni al parlamento e al dibattito complessivo, al fine di renderlo assai meno forzato e diffidente. Chi ha posizioni ideologicamente distanti, potrebbe semplicemente astenersi dal voto, senza tuttavia ostruire l’approvazione di alcuni provvedimenti necessari a un’evoluzione sociale del Paese. Al contrario, rimanere arroccati nell’inazione, soprattutto sul fronte dei diritti, equivarrebbe a lasciare totalmente campo libero alle forze di opposizione, esponendo l’esecutivo ad accuse di insensibilità che ne mostrerebbe, semplicemente, il lato più demagogico e radicale, tendente a riportare il Paese ai tempi di una contrapposizione ideologica ormai superata dalla realtà e dalla Storia.




Direttore responsabile di www.laici.it


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