In questi giorni, alcuni esponenti politici di maggioranza hanno affermato che la discussione creatasi intorno alle nostre
atlete del volley femminile, le quali hanno vinto la
medaglia d’oro alle
Olimpiadi di Parigi 2024 dominando completamente tutte le altre rappresentative nazionali, non basti a giustificare una revisione della normativa sulla
cittadinanza. Tale affermazione, però, rappresenta una
scusa poco
lungimirante, tesa a nascondere una
sostanziale insensibilità e
inazione su un terreno di
riformismo sociale che potrebbe risultare assai meno
ostico di quanto si pensi. Proprio le
Olimpiadi, infatti, hanno delineato quale sarà il vero
futuro dell’Italia, a fronte di un popolo che
invecchia a vista d’occhio, destinato addirittura a diminuire come
popolazione complessiva. Denari per avviare una robusta politica
d’inversione di tale tendenza non ve ne sono. E in ogni caso, questo tipo di
processi demografici portano frutto assai lentamente. Negli
anni ‘60 del secolo scorso, la famosa generazione dei
'baby boom' fu infatti preceduta da almeno un decennio di solida
crescita economica avviata dal cosiddetto
Piano Marshall, sostenuta da circa
1 miliardo e 500 milioni di dollari di
investimenti nei settori
dell’industria meccanica e
siderurgica. Calcolando
l’inflazione, quella robusta iniezione di danaro oggi ammonterebbe a circa
90 miliardi di dollari: una cifra
impossibile da recuperare. Oltre a ciò, un simile ammontare di liquidità dovrebbe essere investito massicciamente nel
sistema industriale attuale, ormai
automatizzato, altamente tecnologico, spesso limitato al mero
'contoterzismo', cioè specializzato in processi industriali di semplice
trasformazione dei beni come il
'packaging', o nella produzione di
accessori o
servizi per altri. Insomma, il processo demografico di ripresa della
natalità italiana equivale, ormai, a una vera e propria
scalata alpinistica del K2: una
'vetta' invalicabile, persino difficilmente aggirabile, se non attraverso massicce politiche di
pianificazione forzata di
medio-lungo periodo. Bisogna, perciò, ricorrere
all’immigrazione regolare, cioè quella composta da persone che risiedono qui da noi
osservando lealmente le nostre leggi o che si stanno comportando molto bene sul terreno della
convivenza civile. Lo ribadiamo: non si tratta di
utilizzare strumentalmente gli
eccellenti risultati sportivi ottenuti alle
Olimpiadi di
Parigi 2024, bensì di una
scelta obbligata, resa inevitabile dal
decremento demografico e
dall’invecchiamento della popolazione, già in atto nei primissimi
anni ‘80 del secolo scorso. Continuare a non voler affrontare il problema, oltre a dimostrare
un'arcigna insensibilità, potrebbe causare seri problemi di credibilità
dell’intera classe politica italiana. Inoltre, che capiti al
centrodestra di approvare una riforma pensata - ma mai messa in pratica - dalle
sinistre, darebbe un
ottimo segnale politico alla popolazione italiana, poiché evidenzierebbe il vero punto debole del
centrosinistra: proporre diagnosi
corrette in linea teorica, ma mai
applicate fino in fondo, per
mancanza di coesione e per scarso
decisionismo politico, spesso
millantato solamente a parole. Insomma, si ribalterebbe l’intero
paradigma del confronto politico preso nel suo complesso, che non vedrebbe più
un centrodestra arroccato sulla difensiva, ma altresì impegnato a dimostrare un effettivo
pragmatismo politico. Ora, al fine di riuscire a mettere una simile
'pezza a colori' a una problematica gigantesca come la
denatalità, ci sarebbero
varie soluzioni che ora andremo a elencare, spiegandole sinteticamente.
Lo ius soli propriamente dettoL'attuale norma che regola la
cittadinanza italiana, si basa sul principio dello
'ius sanguinis', il quale stabilisce che essa si ottenga per
discendenza o
filiazione. La legge che regola tale materia è la
n. 91 del
1992: una normativa che risale a più di trent'anni fa. Essa prevede che uno
straniero nato in Italia possa acquisire la
cittadinanza se ha risieduto qui da noi
legalmente e
senza interruzioni, fino al raggiungimento della
maggiore età e dichiari di voler acquisire la condizione di
cittadino italiano entro un anno dal compimento del
18esimo compleanno. Per gli stranieri arrivati in
Italia da
bambini esiste, invece, il principio della
naturalizzazione. Sempre al compimento della
maggiore età diviene possibile richiedere la
cittadinanza se si è vissuti in
Italia tramite una
residenza legale continuativa e
ininterrotta di
almeno dieci anni. Tuttavia, questo processo risulta
costoso e può avere molte complicazioni. Tutti aspetti che rendono
difficile per molte famiglie
completare il procedimento, privando di molte
possibilità i
ragazzi cresciuti in Italia. In tal senso, inizialmente si era pensato d'inserire per legge il principio dello
'ius soli', ovvero una
concessione automatica della
cittadinanza a chi nasce sul
territorio nazionale. Tra i Paesi che adottano una formula così
ampia ci sono gli
Stati Uniti e la
Francia, dove è richiesto che i
genitori del minore abbiano semplicemente un
permesso di soggiorno.
Le soluzioni 'temperate' o condizionate: lo ius scholae
Lo
ius scholae è un principio che consentirebbe la concessione della
cittadinanza italiana ai
minori stranieri nati in Italia o arrivati qui da noi entro i
12 anni di età, dopo aver completato un
ciclo scolastico di almeno
cinque anni. Questa procedura potrebbe rendere immediatamente italiani
centinaia di migliaia di studenti già presenti sul territorio del nostro Paese.
Lo ius culturaeLo
ius culturae, simile allo
ius scholae, consentirebbe l’accesso alla
cittadinanza italiana dopo il completamento di un
ciclo scolastico con successo, basandosi sul principio che il
minore straniero debba
dimostrare attivamente la propria
volontà di integrazione.
Perché è necessario lo ius scholae
Ora, scegliendo una qualsiasi procedura tra quelle elencate, il centrodestra italiano realizzerebbe una riforma del diritto di citadinanza che il centrosinistra non ha mai voluto portare a compimento, a causa di litigiosità interne e opportunismi elettorali. Si darebbe, cioè, all’esterno un primo segnale di autentico pragmatismo rispetto a un mondo progressista spesso parolaio e inconcludente, che si riempie la bocca con i problemi senza riuscire a risolverli. In secondo luogo, la destra italiana, in particolare, uscirebbe da una propria condizione di arroccamento difensivo che la porta a governare soprattutto attraverso la decretazione d’urgenza, limitandosi a 'tamponare' le emergenze. Aprirsi, invece, ad alcune azioni riformiste potrebbe riportare il dibattito con le opposizioni su un terreno maggiormente propositivo e di dialogo, superando il propagandismo leghista e uscendo, in generale, dalle diffidenze reciproche. Ribadiamo: non si tratta di approvare parti o ‘pezzi’ del programma di centrosinistra, ma di dimostrare, in alcuni casi particolari, una potenziale volontà di collaborazione tra le forze politiche, restituendo alcune funzioni al parlamento e al dibattito complessivo, al fine di renderlo assai meno forzato e diffidente. Chi ha posizioni ideologicamente distanti, potrebbe semplicemente astenersi dal voto, senza tuttavia ostruire l’approvazione di alcuni provvedimenti necessari a un’evoluzione sociale del Paese. Al contrario, rimanere arroccati nell’inazione, soprattutto sul fronte dei diritti, equivarrebbe a lasciare totalmente campo libero alle forze di opposizione, esponendo l’esecutivo ad accuse di insensibilità che ne mostrerebbe, semplicemente, il lato più demagogico e radicale, tendente a riportare il Paese ai tempi di una contrapposizione ideologica ormai superata dalla realtà e dalla Storia.
Direttore responsabile di www.laici.it