Nella cornice bolognese della XX edizione del 'Biografilm Festival', tenutosi dal 7 al 17 giugno 2024 in diverse sale e location del capoluogo emiliano-romagnolo, una 'perla baltica' ci ha abbagliati. Non si tratta del solito film ecologista sul mondo all’orlo dell’autoannientamento a causa degli uomini e l’avvento dell’antropocene. L'opera 'As the tide comes in', titolo originale 'Før stormen', è una 'finestra' di 89 minuti che permette di osservare la vita di alcuni dei 27 abitanti dell’isola di Mandø. Un’area che si estende per 8 chilometri quadrati, affacciata sul Mare dei Wadden, in Danimarca. Pieno di contraddizioni, come il nostro mondo attuale, il luogo è un macrocosmo dove la tradizione, la tecnologia, i cicli della natura e degli uomini s’incontrano in una sottile e solitaria lingua di terra. Peculiare. Come oramai solo un luogo isolato dalla globalizzazione sa esserlo. Oggi, tutto si omogenizza e diventa banale. Spesso, una mera copia di qualcos’altro, che abbiamo già visto altrove. Tutto, tranne ciò che vive la propria verità. Isolata tra maree e condizioni estreme, questa pellicola cinematografica ci mostra una quotidianità senza tempo, in un luogo nel quale mai avremmo pensato di posare i nostri occhi con tanto interesse. Juan Palacios, abile regista Vasco, ci sa trasportare nella vita di Gregers, Mia e Miels. Il primo è un agricoltore, accompagnato dal suo fedele cane Sif, alla ricerca di una moglie. Programmi televisivi locali e Tinder sono i canali di una indagine amorosa anaffettiva. Nonostante questo, Gregers ci mostra un animo dolce, bambinesco, riflesso dalle carezze che dedica ai cuccioli di cane. Per contrasto però, vediamo anche la sua 'rozzagine', dove la ricerca di una compagna traspare più come una necessità culturale, oggettificata e meramente fisiologica. Come le oche di plastica che usa per cacciare e trarre in inganno i volatili. Spera di attirare una donna che non sia come la precedente: "Una buona a nulla”. Al contempo, Gregers pesca a mani nude le sogliole, risvegliando in noi un rapporto atavico con la natura, quasi perduto per molti di noi. In questo contesto, si viene rapiti dalle immagini di una natura grezza, ma splendida. La seconda storia, più breve, è quella di Mia: una signora quasi centenaria che ci sorprende con la sua allegra innocenza. Traspare il senso della comunità nella sua storia. Una cornice elettronica ci mostra, foto dopo foto, una vita semplice, eppur felice. E infine c’è Miels. Un signore tranquillo che censisce gli uccelli e ne registra le melodie, facendo affascinare lo spettatore a questo aspetto ornitologico. Le fasi della Luna, fonte di folclori locali, ci accompagnano dall’inizio alla fine del film. Tra laser, droni, stazioni meteorologiche, smartphone, app e antiche radio. Passato, presente e futuro si fondono. La tempesta, le maree, gli uccelli migratori e la storia raccontata dalle guide turistiche ci fanno riflettere sullo stato naturale della Terra. Ci riporta in un'epoca dove ancora non c’era il “global warming” o, come lo chiamano i politici odierni, “climate change”, nel 1634. Anno in cui quasi tutta la popolazione dell’isola di Mandø fu spazzata via da un’alta marea. Uno spunto per interminabili riflessioni. Dobbiamo curare il nostro rapporto con la natura, capirne l’immensità, sentirci vicini a essa, coltivare una conversazione e comprenderne il valore materico e, in un certo senso, divino. Ricordandoci, tuttavia, di non cadere nella propaganda del momento, nella strumentalizzazione del clima da parte di una concezione dello Stato senza forma, immaginario, che tende a limitare la nostra autenticità. Non dobbiamo farci sviare: la vera questione è interiore, dentro di noi. E' lì che dobbiamo guardare, per trovare le risposte alla crisi che stiamo vivendo. Come dice uno dei contadini di questo splendido documentario: “La situazione è sempre cambiata”.