La sinistra di lotta e di governo dunque scende in piazza. A far cosa? Non si sa. O, meglio, lo si sa eccome: a mostrare i muscoli, a dirci che la volgarità, i ‘vaffanculo’, le mostruosità ideologiche e dialettiche sono ancora il suo verbo quotidiano. Inutile ricordare loro il Pasolini nostalgico nei confronti di quei contadini dell’alta Italia che combattevano contro i padroni senza pretendere di diventarlo. Il marxismo ‘nichilista’ rimane ancor’oggi la principale leva di controllo di una parte della classe lavoratrice italiana, anche se ormai si tratta di una forma di movimentismo elastico, di gomma, che paradossalmente riesce a trovare spazio in una società ormai di plastica, in cui la stessa informazione proprio non riesce a dimostrarsi analitica e finisce solamente con l’alimentare una situazione paragonabile ad un continuo scontro tra treni in corsa, in cui i nostri intellettuali si limitano a visionare l’orario ferroviario chiedendosi: “Ma quei due convogli non dovevano passare di lì: come mai sono entrati in collisione? O il pilota è un irresponsabile, oppure si tratta di un complotto”. Il complottismo, poi, è ciò che più manda in sollucchero i palati, anche quelli più raffinati, facendo degenerare ogni analisi nel delirio. Eppure, questa è l’Italia del terzo millennio: un coacervo di forze e di malesseri psicopatici che si rincorrono, che litigano e sbraitano senza senso, dove basta un comico per fare a pezzi ogni minimo senso di responsabilità, di autorevolezza, di stabilità, di fermezza, di senso dello Stato. Il precariato, che dovrebbe essere il problema da porre al centro della questione, assieme a quello di un sistema previdenziale in grado di raggiungere un equilibrio finanziario, diventa mero ‘contorno’, mentre al centro della ‘scena’ rimangono i rimasugli di una concezione burocratica e moralista, della vita e della politica, che ha già storicamente dimostrato la sua assoluta contraddittorietà, scientifica e filosofica. Nella scienza politica ci sono contraddizioni e contraddizioni: esistono contraddizioni ‘alte’ e processi rivoluzionari di basso profilo, così come esistono processi riformatori in grado di smuovere le acque stagnanti del più naftalinico corporativismo fascista oppure di generare autentici processi di deterioramento collettivo. Ma “la massa è femmina”, disse qualcuno, dunque condizionabile collettivamente ancor più che individualmente. E il miglior modo per infiammarla rimane quello di indicare la difficile condizione di ogni singolo cittadino ricorrendo a ‘figure di crisi’ tese a spingere la massa stessa verso una continua rincorsa al possedere, all’avere e al distruggere. Del marxismo può essere salvata la sua ingegnosa capacità di analisi, la grande metodologia di una dottrina tesa ad interpretare l’economia come una scienza che possa esprimere forti capacità di progresso sociale. Ma le ricette econometriche, poi, rimangono le stesse: il rimpianto per vecchie formule di indennità integrativa legate al tasso di inflazione, le quali non determinano nient’altro che un aumento pericoloso della circolazione monetaria capace solamente di generare nuova inflazione, spingendo l’offerta di beni e servizi a nuovi aumenti di prezzo che costringono, a loro volta, i salari ad un inseguimento continuo. Si chiama ‘spirale inflattiva’, un rischio oggi ben chiaro persino a molti studentelli di I liceo. La scuola monetarista, erroneamente scambiata per liberismo selvaggio o per una nuova forma di neoclassicismo valutario, insegna che il miglior modo per avere un rialzo dell’equilibrio economico di una collettività è quello di puntare sulla difesa del potere di acquisto della moneta, garantendo la capacità di acquistare domani ciò che si può comprare già oggi. Ma il demagogismo tardo-marxista, protestatario ed inconcludente della nostra sinistra di lotta e di governo, continua a perdersi nei meandri della contestazione muscolare fine a se stessa, accusando governi amici di ‘metterlo in quel posto ai lavoratori’ dimenticando, altresì, come certi colpevoli mancati controlli abbiano permesso ai suoi veri nemici di raddoppiare il livello dei prezzi al momento del cambio valutario tra lira ed euro del 2002. Ma l’irresponsabilità di questa sinistra non è solamente politica, è anche morale. Essa si traduce in una colpevolizzazione continua di chi offre lealmente una serie di vie di uscita imperniate su forme sacrosante di riformismo gradualista, lasciando altresì indisturbate quelle forze economiche dominanti nel loro gioco di determinazione di nuovi equilibri e di nuovi poteri, nel loro decidere se investire in borsa oppure se aprire una fabbrica in Romania, nel loro proseguire una metodologia di sviluppo autoritaria e supponente, che porta i loro figli, viziati e borghesi, a schiantarsi sulle strade dopo essersi strafogati di alcool e di droghe. Se la cosiddetta sinistra antagonista avrà la capacità di rendersi conto del ruolo che essa può svolgere in favore di un miglioramento effettivo, autentico ed integrale della società, ciò sarà un bene per tutti. Ma se essa continuerà a creare barriere ideologiche in tutta l’area progressista italiana, anche contro quella meglio intenzionata, essa finirà col travolgere soprattutto se stessa ed altri arriveranno, un domani, a rappresentare le istanze del lavoro, delle donne, dei giovani e, più in generale, del destino della cultura progressista italiana.