Per le prossime
elezioni europee, si consiglia vivamente di votare per i
Partiti europeisti. Più che un consiglio, tale indicazione dovrebbe diventare una
parola d’ordine, categorica e tassativa per tutti, perché i danni che stanno producendo i
'populisti' non sono valutabili solamente in termini di svalutazione delle forme e delle istituzioni democratiche, ma sono anche e soprattutto
economici. Il quotidiano tedesco
'Frankfurter Allgemeine Zeitung' di recente ha pubblicato un ottimo approfondimento degli economisti
Manuel Funke, Moritz Schularick e
Christoph Trebesch, i quali hanno analizzato i dati legati a
51 presidenti e
primi ministri 'populisti' che hanno guidato i loro rispettivi Paesi dal
1900 al
2020, evidenziando come il
'populismo' abbia prodotto costi elevatissimi.
“In genere”, riassumono i 3 studiosi,
“dopo quindici anni, il Pil pro capite risulta inferiore del 10 per cento, a confronto di un Paese governato da un leader non populista”. Tutto questo avviene per un
approccio autodistruttivo e
antimeritocratico, che genera un forte peggioramento della
stabilità interna. Un
disegno che si basa su una sorta di
'presa della Bastiglia' alla rovescia, in cui
l’abbassamento qualitativo e la più totale
assenza di aspettative (che in economia contano molto) in ogni settore o comparto di produzione - compreso quello dell’informazione - risulta pressocché
evidente. I dati elencati dimostrano che non peggiorano soltanto la
crescita e i
consumi, ma anche le
disuguaglianze sociali. E le
disparità tra
ricchi e
poveri aumentano, in particolare quando governano i
'populisti' di
destra. Le
politiche nazionaliste e
razziste disincentivano le
assunzioni del personale proveniente
dall’estero, in una sorta di
ripiegamento nichilista assai poco comprensibile. Ma questa
chiusura dei singoli Paesi agli
apporti esterni, impedisce alle aziende di
crescere, soprattutto in tempi di
globalizzazione. Si tratta di un
errore macroeconomico marchiano, di un vero e proprio tentativo di
fermare il mondo tramite una serie di
ideologie schematiche o
reazionarie. Questo fenomeno di
declino comprende anche
l’Italia: dai tempi della
“discesa in campo” di
Silvio Berlusconi fino a oggi, nei nostri
governi si sono succedute varie
formazioni 'populiste': dalla
Lega di
Matteo Salvini al
Movimento cinque stelle, fino a
Fratelli d’Italia di
Giorgia Meloni. E i
danni economici sono sotto gli occhi di tutti: siamo di fronte a una
degenerazione che, dagli
anni ‘90 del secolo scorso in qua, ha solamente avuto qualche fase di
rallentamento o periodo di
arresto. La stessa analisi vale anche per la
Francia, la
Germania e la
Svizzera. Per non parlare del
Regno Unito, dove il
'populismo' è stato il principale motore propulsivo della
'Brexit', cioè l’uscita del Paese britannico
dall’Unione europea. E gli
Stati Uniti di
Donald Trump o il
Brasile di
Jair Bolsonaro non fanno eccezione: tutti gli indicatori delle loro amministrazioni presentano
dati negativi. A tutto questo bisognerebbe dare una
risposta politica in tutta
Europa, poiché è proprio la
politica, più che la
Ue, a risultare in
prognosi riservata. Rispondere sostenendo
l’antipolitica è sempre
sbagliato: lo abbiamo detto e scritto in tutti i modi e in svariate forme. Eppure,
si continua a sbagliare, tentando d’imporre
soluzioni obsolete o
inattuali, totalmente
al di fuori della realtà: perché? Perché non vogliamo
guardare in faccia la realtà: il
mondo cambia, molto spesso
per conto proprio. E il
declino delle
istituzioni scolastiche e la mancanza di una vera
cultura scientifica hanno solamente prodotto
un’unica soluzione: la
rimozione di tutto ciò che non riusciamo a
comprendere o che
non ci piace. Come tanti
bambini viziati.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata su www.gaiaitalia.com)