Come accaduto in altre epoche, i socialisti sentono il peso e la responsabilità di contribuire con la loro lungimiranza, la loro esperienza e le loro idee, a ricostruire un clima di fiducia e di speranza, in un Paese che sembra avere smarrito da tempo queste legittime ambizioni. Abbiamo tutti osservato, in questi mesi, la totale indifferenza ed irrilevanza con le quali vengono valutate ed occultate le nostre iniziative politiche: la verità è che i socialisti potrebbero rappresentare la coscienza critica non solo della sinistra, ma dell’intera ‘seconda Repubblica’, che ha liquidato con cinica consapevolezza la nostra esperienza di un tempo e pensa di cancellare ogni nostra presenza. E’ un calcolo mal fatto, perché la crisi della Repubblica, delle sue istituzioni, del rapporto degli italiani con la politica e i politici ha svelato la tragica fragilità ed impotenza di un sistema e dei suoi partiti, inadatti ad affrontare i problemi sempre più complessi di una società fluida, ‘liquida’, come la descrive un filosofo tedesco, problemi che appaiono, a questa politica, irrisolvibili. In Italia, è entrato in crisi il processo di legittimazione delle classi dirigenti. Ma se viene meno il rispetto dei legislatori, presto o tardi sarà assai difficile che vi possa essere il rispetto delle leggi: sono venuti meno gli uomini, la loro capacità di soffrire e capire. E’ venuta meno la politica la sua capacità di decidere, di rappresentare interessi generali, di esprimere la sua forza, la sua tensione morale e determinazione nel comprendere ed anticipare i problemi del nuovo mondo. E’ entrato in crisi un sistema e la sua capacità di essere governato. La politica è in crisi, nel mondo, perché sente che la vita le sfugge. Ha perso i grandi punti di riferimento ideali dei secoli che sono alle spalle e non pensa sia il caso di ricostruirli. Ed arranca dietro alla nuova tecnica, quella industriale, quella economica, quella della scienza. Non riesce a partecipare ad un evoluzione sempre più rapida, che non riesce a guidare determinandone il ritmo. Ed il disincanto, se non quando il disdoro collettivo, la spegne e la cancella in una ripetizione stanca , sempre più uguale a sé stessa: senz’anima. Tuttavia, non può che essere la politica il punto d’equilibrio fra tecnologia e mercato, anche se tanti sono indotti a accentuare l’integrazione fra la tecnica e la vita stessa degli individui, senza mediazione alcuna. Nel caso italiano, è necessario – e proprio noi socialisti dobbiamo essere consapevoli - che la politica, la quale non ha corretto le sue distorsioni, sappia accettare un suo ridimensionamento, purché ciò avvenga con equilibrio, nella piena applicazione di una democrazia come elemento regolatore dell’informazione diffusa, della fulmineità del tempo reale e della connettività complessiva. Non un dominio incontrastato della tecnologia sull’uomo e sulla politica, ma una compatibile ‘tecnodemocrazia’, che regoli e governi i processi e gli eventi di una società matura, sempre più interdipendente. L’utopia di un Governo mondiale riemerge, quindi, come necessità e come opportunità. Se ci guardiamo attorno, nel mondo in cui viviamo, osserviamo ed anticipiamo come nel futuro rischiamo nuovi conflitti planetari non solo in ragione della crescente preoccupazione che destano alcuni regimi teocratici, che iniziano lunghe rincorse al riarmo, ma anche perché siamo sempre più in presenza di una scarsità di risorse primarie a fronte di nuove superpotenze dell’economia e della tecnologia che avanzano producendo a ritmi impressionanti. All’emergenza determinata dall’esaurimento delle materie prime si aggiunge il primo vero e serio allarme determinato dalla nostra deresponsabilizzazione circa l’inquinamento dell’ecosfera, che ha già determinato, come è ormai acclarato ed evidente, un cambiamento climatico planetario. Esso non solo sta già determinando nuovi ed imprevisti eventi catastrofici modificando intere aree del pianeta da noi lontane, ma rischia, in particolar modo con i processi di desertificazione del continente africano, di mettere il mondo dinnanzi a milioni di suoi profughi a causa del clima. Deve crescere la nostra responsabilità verso il genere umano non solo in termini di cooperazione economica, ma anche nei termini delle decisioni politiche. Aver scelto il perimetro del ‘multilateralismo’ incarnato nell’azione delle Nazioni Unite, abbandonando la pratica e la teoria dell’unilateralismo, è stato, per l’Italia, un fatto utile e positivo. E’ evidente che alla fiducia riposta nell’Onu devono corrispondere interventi efficaci, politici ed anche militari, per il mantenimento della pace e per la risoluzione definitiva dei conflitti in corso. Le campagne affinché s’impongano, nel mondo, società sempre più democratiche e libere hanno bisogno di diffondersi ed estendersi in modo contagioso, poiché le libertà politiche e democratiche sono la condizione essenziale per determinare sviluppo e benessere, per liberare milioni di esseri umani dal bisogno. Troppi diritti umani, nel mondo, sono negati, regimi che mantengono il potere per mezzo delle esecuzioni e della tortura, che applicano un rigido ed asfissiante controllo sociale negando e censurando le libertà politiche e le espressioni religiose, stati occupanti che non riconoscono le proprie minoranze e che negano il diritto al ritorno in patria dei profughi autoctoni, potenze industriali che calpestano i diritti del lavoro più elementari. La rincorsa al riarmo come deterrente difensivo, da parte di regimi teocratici come l’Iran, non deve passare in secondo piano. Noi dobbiamo confidare nel lavoro ispettivo dell’Agenzia nucleare, ma dobbiamo anche sapere che, di fronte a possibili futuri dinieghi, sarà necessario – se non inevitabile - assumere decisioni radicali, che potranno persino ostacolare i nostri interessi economici. Lo dobbiamo fare non discostandoci dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite, bensì impegnandosi affinché non venga ancora una volta opposto un diritto di veto che suonerebbe come una smentita clamorosa. Saremo tanto più credibili nelle nostre campagne democratiche se non faremo sconti a nessuno, se sapremo mantenere una posizione equilibrata e giusta innanzi a coloro che infrangono e disattendono le regole della Comunità internazionale. Ciò vale per l’Iran, come per le superpotenze o per coloro che pensano di prosperare e dilagare di fronte alla debolezza o all’indeterminazione della Comunità internazionale. Io penso che, intorno alla questione internazionale, l’Italia abbia ripreso un cammino di credibilità, nonostante i capricci irresponsabili della sinistra comunista. Ma saremo tanto più convincenti se sapremo adeguare i nostri impegni internazionali aumentando la nostra presenza in quei ‘teatri di crisi’ in cui la Comunità internazionale richiede la capacità, l’esperienza e la grande umanità che hanno saputo dimostrare i militari italiani in armi o con i caschi blu. Non possiamo non esprimere il nostro cordoglio per la morte del giovane servitore dello Stato in Afghanistan, confermando il nostro impegno a perseguire nella missione militare ‘Endureeng freedom’ senza indugio alcuno, mantenendo fede ai nostri impegni internazionali. Prendere sul serio questo bisogno di politiche forti, autorevoli, capaci di anticipare gli eventi e non di inseguirli, è il compito di movimenti e forze mature, che hanno costruito nel mondo le società moderne e ne sono ancora oggi protagoniste sul piano civile e politico. Una socialdemocrazia ‘rivitalizzata’ continua ad essere una risposta, possibile se non essenziale, di fronte allo smarrimento generale di una politica che ha fatto del ‘pragmatismo senza principi ideali’ la propria condotta abituale. La socialdemocrazia non è affatto un ‘cane morto’: è l’orizzonte politico e ideale a cui guardano con rispetto milioni di cittadini del continente in cui viviamo. Il partito socialista che vogliamo ricostruire non è un ‘party’ a cui intendiamo invitare cittadini di ogni genere e grado, purché garantiscano una dose di glamour e di finanziamento. E non sarà una monade che vive nel proprio splendido isolamento e nel crogiuolo dei suoi ricordi, ma non sarà - e non potrà essere – così ‘nuova’ da recidere i propri legami con la Storia, dalla quale non avremmo che trarre insegnamento. Lasciamo ad altri il compito di cancellare le proprie storie, avvertendo come, nella rimozione totale, si omettono sempre gli errori e si esaltano, quando ci sono, i meriti. Io credo che i socialisti questo non lo debbano fare. E non lo faremo. A differenza di quanto sostengono alcuni, il partito democratico non è affatto guardato con interesse dal resto della famiglia politica del socialismo europeo e mondiale. Anzi, semmai è osservato con preoccupazione, timore e sospetto, come un elemento estraneo alla cultura della sinistra continentale: un insieme di tendenze e spinte diverse che finiranno per autoelidersi e che determineranno, come del resto hanno già determinato, un aumento di fibrillazioni neri confronti di un Governo che rischia l’infarto ogni giorno. Le cosiddette ‘primarie’ del Partito Democratico, si sono trasformate in una gara ‘strapaesana’ e in un’imbarazzante ‘fiera delle vanità’, condita con una buona dose di comicità volontarie, purtroppo, in una situazione del Paese e della coalizione in generale su cui non ci sarebbe proprio nulla da ridere. Accantonata la strategia di fungere da ‘premier ombra’ della coalizione, Veltroni si è diretto in molteplici direzioni a caccia di consensi, arrivando alla paradossale ed intrepida perversione, degna di una ‘gag petroliniana’, di chiedere la ‘mano politica’ alla consorte del leader del centro-destra. Di fronte a questo stato di cose, la serietà politica rischia di diventare una merce rara ed ogni forma di lealtà nei confronti di Romano Prodi ancor di più. Certo, non ci potrà e non ci dovrà essere lealtà infinita se avanzeranno, come stanno avanzando, proposte politiche mirate a ridurre o ad eliminare le minoranza politiche e se non verranno prese sul serio quelle ‘questioni laiche’ che, tante volte, sono state sollevate con coraggio e con coerenza politica proprio dai socialisti in Parlamento. Non si pensi di approfittare della ‘sceneggiata del Grillo’ per cambiare le leggi elettorali o per introdurre ulteriori ‘sbarramenti capestro’ al fine di completare un’opera di azzeramento del pluralismo politico di questo Paese: una legge proporzionale con adeguato sbarramento resta una soluzione condivisa e condivisibile, in materia elettorale, una posizione ragionevole, che risponde ad una esigenza di governabilità e di pluralismo di una democrazia liberale. La protesta ‘antipolitica’, in realtà, è una richiesta di ‘più’ politica: non si commetta l’errore di coloro che, mortificati, ‘accarezzano il pelo’ dei nuovi girotondi - come è stato fatto alternativamente, a sinistra come a destra, o ritrovandosi in un abbraccio nostalgico Fini e Di Pietro – ergendosi a censori di un sistema di cui si fa parte dalla testa ai piedi. Al tempo stesso, non si può voltare lo sguardo da un’altra parte, noncuranti del fatto che quest’antipolitica non sia certo la medicina, ma l’accertamento di un male del quale devono sentirsi responsabili, innanzitutto, i maestri ed i teorici della Seconda Repubblica. Certamente loro - e non noi - devono rispondere del ‘fallimento per impotenza’ dell’Italia bipolare, della moltiplicazione delle forze politiche, dei costi elevati delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali, dei vizi privati e delle pubbliche virtù che investono un ceto, una classe, che non può essere soltanto quella politica. Voglio dire esplicitamente a chi ha nuovamente tirato in ballo in questa storia Bettino Craxi, senza polemica alcuna, ma con l’orgoglio che si deve riconoscere ad un figlio e ad un militante socialista quale io sono, che Egli ebbe almeno il coraggio di mettere a nudo, in Parlamento, questo stato di cose, quei difetti che, oggi è acclarato, riguardavano e riguardano tutti, mancanze a cui la Prima Repubblica non seppe porre sufficiente rimedio. Le sue parole furono inascoltate e derise. Eppure, oggi, il sistema non appare capace di assumere decisioni efficaci e convincenti circa i rapporti di ‘commistione’ fra la politica ed il potere dell’economia e della finanza. Sono stati diversi gli sforzi per costruire un soggetto che fosse realmente una novità politica nel panorama italiano: le nostre differenze, recentissime o passate, devono e possono essere considerate una ricchezza, perché ispirate ad ideali e obiettivi comuni, rinnovati, che prendono origine da percorsi antichi. Il riformismo o è socialista o non è. E le vicende positive degli anni ‘80 stanno lì a dimostrare che quella del socialismo democratico non fu una parentesi casuale o negativa nella Storia italiana: bisogna saper cogliere il meglio ed il giusto di quella tradizione e delle tradizioni e delle esperienze che, oggi, riunendosi, possono rendere non solo il nostro percorso, ma quello dell’intera democrazia italiana, più ricca di quanto non appaia. Il partito che dobbiamo costruire non può che avere, dentro di sé, una tradizione centenaria coniugata ad una esperienza europea e mondiale. Deve essere un ‘cantiere aperto’ e non un ‘percorso chiuso’, elitario: dobbiamo saper proporre un’esperienza in cui ci sia posto per tutti, per tutte le esperienze del nostro percorso socialista. Dev’essere un percorso in cui ciascuno di noi sappia cogliere e comprendere il fine che ci siamo dati: restituire agli italiani un partito socialista adatto ai nostri tempi, offrendo alle nuove generazioni una base politica per le sfide impegnative dell’era in cui viviamo. Penso che queste due giornate rappresenteranno un momento importante per ciascuno di noi, una speranza che rinasce non solo nei nostri cuori, ma anche nella mente e nel cuore di tante italiane e tanti italiani. Questo è il senso della nostra sfida e del nostro impegno politico e programmatico: vincere la battaglia delle idee nella sinistra italiana per portare al Governo del Paese una guida riformista: la cultura politica del socialismo democratico, italiano ed europeo.