A partire dagli
anni ’90 del secolo scorso, si possono scorgere alcuni
'momenti-soglia' che il nostro Paese è riuscito a superare, seppur disordinatamente. L’entrata
dell’Italia nell’Unione europea ha reso più difficile, per un
Paese 'zavorrato' da una
subcultura cattolica, resistere ad alcune precise forme di
modernizzazione socioeconomica. E l’ingresso nell’area
dell’Euro ha liberalizzato la circolazione di
merci, cittadini e
capitali all’interno di un orizzonte più vasto, rendendo impossibile rifugiarsi in forme di
svalutazione della moneta come unico metodo per abbassare i
prezzi e rendere più convenienti gli
investimenti, finendo con l’alimentare la nostra
condizione debitoria. In seguito, sono arrivati
l’Expo di Milano del
2015, che ha cambiato profondamente il volto della metropoli meneghina, generando uno sviluppo
dell’hinterland milanese in una logica di
equilibrio tra
città e
campagna. Dopodiché, sono arrivate le
Unioni civili e i
social network, che hanno costretto interi
ambienti, tradizionalmente
corporativi, per non dire
feudali, ad
aprirsi alla società che ci circonda e alla
cultura mittle-europea. Infine, è giunta, dopo quasi un secolo, la
pandemia che, bene o male, è stata
gestita assai coraggiosamente dagli
ambienti politici e
intellettuali progressisti, i quali hanno evidenziato la nostra
scarsa cultura scientifica e le manchevolezze del nostro
sistema sanitario. Alla luce di tutte queste
'svolte', affrontate con decisione pur rimanendo all’interno di un
alveo giuridico costituzionale, è emersa una
destra che altro non è che il
luogo del disimpegno e delle
dissimulazioni, dei
giudizi astratti e delle
fake news. Una
destra profondamente
illiberale, convinta che la politica sia solamente
propaganda o la capacità di usare ogni
malizia possibile contro
l’avversario politico, testimoniando come sia stato proprio il
centrosinistra a difendere e a garantire tutte le
culture 'aperte', compreso il
liberalismo. Va da sé, che chi si professa
liberale non dovrebbe stare nel campo del
conservatorismo statico, che non getta via niente, nemmeno il
razzismo. Ma tant’è: ognuno è libero
d’impiccarsi alla
'corda' che vuole... Sia come sia, adesso saremmo di fronte a un nuovo
'momento-soglia': completare la costruzione degli
Stati Uniti d’Europa in quanto obiettivo politico, per frenare
l’ascesa delle destre nazionaliste alle prossime
elezioni europee. Un appuntamento
cruciale per la politica continentale e mondiale di quest’anno. Sarebbe cioè necessario un vero
'salto di qualità' nell’integrazione politica
dell’Europa: un argomento che non può essere relegato a mera
questione tecnica, anche a costo di apparire
impopolari o
controcorrente. Se veramente si vuole
un’Europa che esprima una propria
politica diplomatica e di
difesa, bisogna mettersi nelle condizioni di produrre una
politica estera, costruendo una nuova
architettura federale che si dimostri, al contempo, più
rapida e
incisiva nelle sue
decisioni, da assumere
a maggioranza e senza
veti da parte di un qualsiasi
Stato-membro. In merito a questo punto, ci sarebbe anche il tema della
critica ai nazionalismi, che in parte non condividiamo: il problema del secolo scorso, infatti, fu quello dei
fascismi e dei
totalitarismi, i quali
fagocitarono i nazionalismi, militarizzandoli. Ma la diffusione di alcuni rigenerati
valori di
patriottismo non è un’idea da
rigettare, bensì da
reinterpretare, anche al fine di
togliere benzina al serbatoio delle
subculture demagogiche e
'populiste'. E’ vero: l’attuale
sistema europeo, in realtà, risulta dominato dagli
Stati. E senza il superamento del
diritto di veto, non si andrà da nessuna parte. Ma il rispetto effettivo dello
Stato di diritto e, volendo, un
seggio permanente nel
Consiglio di sicurezza dell’Onu, potrebbero rappresentare dei
passaggi significativi, in grado di rendere più incisiva la
politica estera della
futura entità federale.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata su www.gaiaitalia.com)