In
Italia, solo
l’11% dei
bambini non italiani riescono ad accedere alla
scuola prima dell’età dell’obbligo (dato della fondazione sociale
'Con i Bambini', ndr). Ostacoli di diversa natura impediscono loro di accedere alla
scuola dell’infanzia. Il primo è di
natura linguistica: i
siti web istituzionali sono tradotti almeno in lingua
inglese, ma la
modulistica resta in
lingua italiana, cosa che impedisce alle famiglie di accedere in modo chiaro e veloce alla
burocrazia necessaria per
iscrivere i figli a scuola. Il secondo ostacolo è di natura
documentale: la
digitalizzazione delle procedure esclude dall’accesso alla
burocrazia chiunque non abbia la
carta d’identità elettronica. Per richiedere la gratuità della
mensa o del
trasporto scolastico, per esempio, in quasi la totalità dei
comuni d’Italia serve lo
Spid. Sopravvivono ancora
procedure cartacee che riescono ad andare a buon fine se, insieme all’impegno del personale della
pubblica amministrazione, che inserisce ogni anno manualmente nei
database le
domande per
l’attivazione dei servizi, si somma anche il lavoro di
Caf e di
associazioni di volontari, che compilano una
modulistica altrimenti
incomprensibile per l’utenza. E poi ci sono i
bambini con
bisogni educativi speciali. Un minore di età inferiore a sei anni,
extracomunitario con condizioni di
fragilità, ha enormi difficoltà ad accedere alla
scuola dell’infanzia se i genitori non hanno la carta d’identità o il titolo di viaggio. Con il
permesso di soggiorno e la
tessera sanitaria si può entrare nelle
Asl e richiedere una
valutazione clinica, ma senza la
certificazione 104/92 rilasciata
dall’Inps, l'azienda sanitaria locale non può rilasciare il
Cis (Certificato d’inclusione scolastica,
ndr) e le scuole non possono richiedere al
ministero competente tutto il
personale specializzato di cui ci sarebbe bisogno. Ecco come
minori con disabilità si vedono spesso chiudere le
'porte in faccia' da numerosi
istituti scolastici, perché
non sono tenuti ad accoglierli. Se il minore fosse stato grande abbastanza per frequentare la
scuola dell’obbligo, avrebbe avuto dalla sua la
sentenza del Tar della
Regione Lazio, che nel
2018 ha sentenziato quanto sia
ingiusto lasciare fuori dalla scuola bambini con la
104, anche qualora il numero di studenti con
bisogni educativi speciali sia stato raggiunto.
Dirigenti scolastici e
vicepresidi di
'buon cuore' hanno diverse
'maglie' in cui rischiano di rimanere incastrati. Per quanto riguarda la
scuola primaria, non possono esserci più di
4 bambini con
bisogni educativi speciali in una
classe di 20. Se i minori in questione sono titolari di
104/92, ce ne può essere al massimo
uno. Esistono
progetti, cofinanziati dalla
comunità europea, che hanno il potere di
‘forzare’ l’inserimento di
minori all’interno di
istituti comprensivi, previa valutazione del quadro clinico. Ma resta
l’intoppo burocratico, che non garantisce la documentazione necessaria al
ministero dell’Istruzione e del
merito per inviare il
personale docente specializzato per
bambini con disabilità. Studi di
psicologi e
pedagogisti denotano da anni una correlazione importante tra
successi accademici e
frequenza scolastica in età
precoce. Difficilmente potremo scoprire quali sono le possibilità che la scuola potrebbe fornire a bambini con
genitori invisibili, se fino alla scuola dell’obbligo dovrà stare chiuso in casa.
L’articolo 30 della
'Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie', che
l’Italia ha sottoscritto, non solo ribadisce che
"i figli di lavoratori migranti debbano godere dell’accesso all’istruzione primaria esattamente come tutti i cittadini dello Stato in questione", ma che l’accesso alla
scuola dell’infanzia "non dovrebbe essere mai rifiutato o negato". Non è dato sapere cosa aspettino i
ministeri competenti a immaginare un
corridoio burocratico dedicato o
deroghe a quello già esistente per includere questi
minori nel
sistema educativo.