Durante un convegno presso
l'Unar, (Unione associazioni rappresentative delle regioni italiane, ndr) relativo alla presentazione di un libro dedicato al terremoto del
Friuli, particolarmente interessante si è rivelato l'intervento dell'architetto
Roberto Dionisi, che ha messo l'accento sulla drammatica situazione in cui versa il borgo marchigiano di
Pescara del Tronto, colpito e distrutto totalmente dal sisma che pochi anni fa interessò
l'Italia centrale. Durante il cataclisma perirono, infatti, ben la metà dei
100 abitanti della frazione, che rientra nel comune di
Arquata del Tronto. Alla tragedia si è purtroppo aggiunta la drastica decisione, presa dalle autorità competenti, che hanno decretato l'impossibilità di ricostruire nel
luogo originario: una decisione motivata dalla sua peculiare
conformazione geologica. Una differenza fondamentale rispetto ad altre località, come
Amatrice o quelle del
friulane, che
pesa come un macigno per i
superstiti, costretti a rinunciare definitivamente alla speranza di ritrovarsi nei luoghi in cui
intere generazioni delle loro famiglie avevano vissuto. Preso atto di questa drammatica realtà, l'architetto
Dionisi ha pensato di farsi promotore della volontà della comunità superstite di
“preservare, quantomeno, una qualche memoria del sito originario”, prendendo in esame, per esempio, il modello
Gibellina, paese che venne completamente distrutto dal devastante terremoto del
Belice e che si è valso di un
polo artistico quale elemento di rinascita e sviluppo locale. Il famoso
'Cretto' di
Burri, la più grande opera di
‘Land Art’ al mondo, ha però avuto come base una
gigantesca colata di cemento, che ha coperto per sempre le macerie di un luogo che avrebbe potuto ricostruirsi nella posizione originaria. L'idea di
Roberto Dionisi, invece, scarta totalmente questa tipologia d'intervento, focalizzandosi su un utilizzo assolutamente originale
dell'arte: il suo
'Parco della Memoria' consiste, infatti, in
un'istallazione artistica che interessi per intero la
superficie coperta dalle macerie, ricreandone la
fisionomia precedente alla distruzione.
Un'istallazione, quindi, che in totale contrapposizione con la
'soluzione' del
Cretto, si avvalga del mezzo più delicato e meno invasivo possibile: la
luce. Una rete di
emissioni luminose, poste ad altezza variabile e intersecantisi tra loro, ricostruirebbero così
l'intero borgo: case, vicoli, piazze, la chiesa, tutto riprenderebbe magicamente
vita, a perenne ricordo di quanto quella tragica notte, in pochi minuti, ha cancellato. Un
'esperimento visuale' che diverrebbe inoltre, per naturale conseguenza, uno straordinario
richiamo per visitatori provenienti da ogni dove, pronti a condividere, con commossa partecipazione, il dramma dei superstiti di quella che era una
fiorente comunità. Immaginate gli occhi sgranati dalla meraviglia fissarsi su quelle
linee, seguirle ritrovandosi all'interno di spazi in cui qualcuno viveva, rivivendone empaticamente le vicende quotidiane, semplici ma allo stesso tempo pregne di emozioni. Una cassa di risonanza mondiale, quella pensata dall'architetto
Dionisi, completata da un
polo museale fortemente attrattivo, in cui ripercorrere storia, tradizioni, usi e costumi, modi di vita, tutti assolutamente degni di
essere tramandati, in tutta la propria ricchezza, ai posteri. Il necessario iter burocratico e istituzionale è già stato avviato da quanti hanno a cuore questa
rivoluzionaria iniziativa: ci auguriamo solo che vi sia la sensibilità necessaria alla sua realizzazione. E, almeno stavolta, che i
tempi per farlo siano
i più brevi possibili.