“Quando gli uomini uccisero i primi uccelli”, scrive
Giuseppe Fantino nel capitolo
‘La professione di martire’, “ignoravano la bontà della loro carne. Li uccisero perché la possibilità di volo suscitava la loro invidia”. Questa breve riflessione impianta una
lucida base, sulla quale innalzare un monumento alla
stupidità umana, incapace di cogliere la logica che anima i veri intellettuali come
Fantino, i cui scritti non sono
‘determinati’ da un
articolo ‘partitivo’, ma vanno letti in una
chiave universale, che consente di ampliare ulteriormente lo
scenario della
crisi novecentesca non ancora
superata, nonostante
Nietzsche l’avesse già annunciata
nell’Ottocento. Il lavoro di
Fortunato Mannino conforta gli intellettuali e gli studiosi che vogliono aprire la
‘gabbia’ in cui la
Calabria è stata costretta negli ultimi
cinquant’anni, da chi non ha saputo vedere il valore e la portata di certa letteratura e di certa riflessione. La
paranoia di Fantino è una
sindrome europea: un male descritto da
Freud, come frutto di uno
scontro non nichilistico, ma fruttuoso, perché
“le nevrosi scaturiscono, fondamentalmente, da un conflitto tra l’Io e la pulsione sessuale e le forme che esse assumono serbano l’impronta dell’evoluzione seguita e dalla libido e dall’Io”. La prefazione di
Francesco Idotta. Sia come sia,
Fortunato Mannino, curatore del volume, è docente di
Lettere e insegna presso
l’Istituto comprensivo ‘Nosside-Pythagoras’ di
Reggio Calabria. Di formazione
classica, dopo la laurea ha perfezionato la conoscenza dei
beni culturali all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, conseguendo una seconda laurea alla
Scuola speciale per archivisti e bibliotecari. È tra i fondatori dell’associazione culturale
‘Scampoli’ e da anni è impegnato nel lavoro di ricerca per il recupero e la valorizzazione della figura storica e letteraria di
Giuseppe Fantino, del quale ha curato la ristampa di
‘Appunti e Saggi di Critica Letteraria’ (Il Rifugio Edizioni) e, appunto, de
'La biografia di Nessuno' (Città del Sole Edizioni). Si occupa anche di
critica musicale e, attualmente, ha un suo blog all’interno del magazine culturale
'Sdiario'. Ha collaborato con altre riviste e webmagazine tra cui
'SOund36' e
'Leggere tutti' (cliccare QUI). Biografia di Giuseppe Fantino
Giuseppe Fantino è stato novelliere, romanziere, critico letterario, polemista e drammaturgo. I suoi scritti sono stati ignorati o, peggio,
‘snobbati’ dalla
critica, nonostante i numerosi
encomi e
premi letterari ricevuti in vita. Morì a
Melicuccà (Rc) il
20 febbraio 1975. La morte, che per il suo amico e compaesano
Lorenzo Calogero rappresentò l’inizio di una
rivalutazione letteraria, purtroppo segnò per
Fantino l’inizio di un lungo
oblio. Finalmente, la sua
figura umana e
letteraria iniziò a riprendere il suo posto in modo organico nel nostro panorama letterario grazie all’analisi dei suoi
elaborati letterari, dei suoi diari e dei suoi appunti finora trascurati.
Giuseppe Fantino era nato il
20 giugno 1908 a
Melicuccà, piccolo paese della piana di
Gioia Tauro. Una località oggi
graziosa, ma che all’epoca era uno dei più poveri e martoriati comuni dell’intera penisola. La famiglia, onesta e laboriosa, si ritagliò oltre che la stima del paese, uno
status sociale tranquillo e, nonostante l’altissimo tasso di
analfabetismo, la cultura ebbe sempre un ruolo importante. Il percorso scolastico di
Giuseppe Fantino fu spesso tormentato, ma le
capacità intellettive dimostrate e la lungimiranza della famiglia gli consentirono di studiare per un certo periodo presso il liceo classico
‘Terenzio Mamiani’ di
Roma, per poi concludere il ciclo liceale al
‘Tommaso Campanella’ di
Reggio Calabria nel
1928. In questo stesso periodo cominciarono a manifestarsi quei problemi
all’udito che lo porteranno a una quasi totale
sordità. Si laureò presso la facoltà di
Lettere classiche di
Catania nel
1933, dove erano ancora vivi gli insegnamenti di
Attilio Momigliano, illustre esponente
dell’estetica ‘crociana’, che lì insegnò
Letteratura italiana dal
1920 al
1924. Allo studio prettamente accademico si contrapponeva uno
studio personale e una condotta di vita spesso
sregolata. Vita che, peraltro, rischiò d’interrompersi prematuramente a causa della
febbre tifoidea. La famiglia vedeva in
Giuseppe la possibilità di un
riscatto sociale e sperava che il proprio primogenito potesse ricoprire, un giorno, un
posto prestigioso, ma le speranze svanirono presto. Il carattere ribelle spinse dapprima
Giuseppe a tentare la
carriera militare e, successivamente, a intraprendere quella
d’insegnante. Una carriera che lo spingerà fuori da quello che lui stesso definiva il
“sepolcro melicucchese”. Di questo periodo storico si hanno poche notizie, ma sappiamo con certezza che tra il
1938 e il
1940 insegnò in
Libia. Sempre nel
1940 è di nuovo a
Melicuccà e sarebbe stato pronto a partire per
l’Albania se un errore nel compilare la
domanda non avesse pregiudicato il tutto. Proprio in questo periodo cominciarono a manifestarsi anche le prime
crisi di nervi. Iniziò, comunque, a lavorare come insegnante a
Vibo Valentia e, dopo un avvio difficoltoso a causa dei cattivi rapporti con
alunni, colleghi e
preside, riuscì a far emergere le sue
capacità intellettuali e, nel secondo quadrimestre di quell’anno, venne nominato rappresentante della società
‘Dante Alighieri’ all’interno della scuola, con l’incarico di redigere una relazione sulle biblioteche scolastiche. Il suo
udito si aggravò e il suo umore peggiorò dopo che la sua
domanda di volontario per la guerra viene nuovamente
rigettata. Si rifugiò nella lettura e nel silenzio della campagna, ma nel contempo iniziò a interessarsi di
politica. A ottobre del
1941, gli viene offerta la possibilità di una cattedra a
Napoli e, senza pensarci due volte, accetta nonostante i pareri contrari di amici e familiari, che lo invitavano a riflettere sull’opportunità di trasferirsi in una città
costantemente bombardata. Rischiò la vita più volte, ma i problemi veri furono un
fisico minato e in un animo profondamente
problematico. Rimarrà a
Napoli all’incirca
dieci anni. I primi
cinque, li vivrà quasi ininterrottamente da
insegnante, i secondi da
proscritto. È vittima, unico nel paese di
Melicuccà, di una
vendetta politica che non comprende, ma che accetta come
ennesima sfida che la vita gli pone di fronte. Quelli napoletani sono
anni di stenti, che logoreranno ulteriormente il suo fisico e i suoi nervi. Rifiuterà varie volte sia di tornare al paese d'origine, sia gli aiuti della famiglia: unica consolazione, in una vita di privazioni, la
lettura. A
Napoli maturerà anche il suo
pensiero politico e
letterario, che sarà
profondamente critico sia verso la nascente
Repubblica, sia verso il
neorealismo. Quest’indipendenza di pensiero lo isolerà ulteriormente da quel
mondo letterario a cui ambiva. Il
1950 è l’anno del tracollo fisico e mentale e la famiglia, dopo averlo ricondotto a
Melicuccà, è costretta a ricoverarlo al
manicomio di
Reggio Calabria. In quel
girone infernale trascorrerà
altri cinque anni, senza rinunciare alla lettura e alla scrittura: quest’attività intellettuale sarà la
'chiave' che gli permetterà di tornare a casa.
“Quest’uomo non è pazzo e non merita di stare tra i malati”: fu questa la frase che il
direttore del manicomio disse ai parenti. Lentamente, riprenderà la sua vita di insegnante prima nella provincia di
Reggio Calabria, poi nel
nord’Italia, alla ricerca di quella felicità e di quelle opportunità che, purtroppo, non si materializzeranno mai. Tuttavia, questi anni furono
prolifici dal punto di vista
letterario: pubblicherà un commento ai
canti di Leopardi, raccolte di novelle, romanzi, quattro lavori di
critica letteraria, sei drammi e collaborò con
diverse testate giornalistiche. Opere spesso
premiate, ma
mai accettate dalla critica e, per questo, lungamente
dimenticate. Muore a
Melicuccà il
20 febbraio 1975.
L'opera
‘La biografia di Nessuno’ venne pubblicato nel
1970 dalla casa editrice milanese
Gastaldi. In quest’opera, l’autore, ormai stanco e minato nel fisico, ripercorre la sua vita raminga e solitaria. Sullo sfondo,
l’Italia del
'secolo breve': quella
rurale, quella della
Grande Guerra, quella
fascista e quella
repubblicana. Una società italiana
vista dal basso e, per questo, in seguito considerata
più vera. È probabile che
Giuseppe Fantino avesse in mente di raccontare in un altro romanzo le sue
‘avventure’, ma il romanzo
‘Le avventure di Lazzaro’ è rimasto inedito.
‘La biografia di Nessuno’, come tutte le opere di
Fantino, non vendette quasi nulla e le copie rimaste alla casa editrice finirono al macero dopo il fallimento della stessa. Fino al
2022, le uniche copie di cui si aveva conoscenza erano tre:
una di proprietà del nipote e
altre due custodite nelle
Biblioteche nazionali di
Roma e
Firenze. Il curatore, dopo anni di studi e di attenta analisi dei manoscritti e dei diari, ricostruisce per la prima volta una
biografia completa e
accurata della vita di
Giuseppe Fantino. Al
romanzo/biografia viene restituito sia il sommario
‘Noi morti’, sia la
lettera maiuscola di
Nessuno. È scientificamente provato che
'Nessuno' sia la percezione che
Fantino aveva di se stesso. Il testo originario è stato emendato e sono stati aggiunti i capitoli
cassati/inglobati in altre edizioni. È presente, inoltre, un capitolo dedicato all’ormai dispersa
biblioteca dell’autore. Il libro è acquistabile sul sito della casa editrice
(cliccare QUI).