Giorgio Napolitano fu un
riformista autentico, a cui dobbiamo riconoscere di aver compreso, assai prima di altri, sia le contraddizioni del
modello socialista sovietico, sia quelle
dell’italo-marxismo professato dal
Pci. Chi in questi giorni
ne critica la figura – ci riferiamo soprattutto al populismo dei social network – dimostra solamente una
superficialità agghiacciante, incapace di valutare contro quali
‘macigni’ si sia misurato questo esponente politico di lungo corso, i cui
meriti sono largamente superiori ai suoi
demeriti e alle
umanissime titubanze degli ultimi anni. Indecisioni che, probabilmente, non lo inseriscono tra i
‘grandi vertebrati’ della Storia, ma che non ne intaccano la
lucidità nell’aver intravisto un
approdo europeista e
socialdemocratico della
sinistra italiana rispetto alla
prospettiva determinista del cosiddetto
'socialismo scientifico'. Un uomo che molto ha fatto per riuscire a sradicare larga parte della
sinistra italiana da un terreno
ideologico, burocratico e
statalista, nel tentativo di trapiantarla nell’alveo culturale del
socialismo europeo. E chi non lo comprende, dimostra solamente di essere
prigioniero, per un
curioso ‘contrappasso’ della Storia, di quel medesimo
settarismo, fazioso e
populista, dal quale molta parte del
Partito comunista italiano doveva affrancarsi, per diventare
nuova classe dirigente e trasformarsi in una
sinistra di governo. L’evoluzione del
mondo comunista ha subito molte
interruzioni, in tal senso. Ma non sempre per
colpe proprie: la drammatica
‘vicenda Moro’ e il fallimento della
solidarietà nazionale costrinsero il segretario del Pci,
Enrico Berlinguer, a ripiegare sui battuti sentieri della
lotta di classe e
dell’alternativa democratica, in nome della
"questione morale". La quale, in molta parte era
fondata, benché non giustificasse
l'isolamento e una
‘snobistica’ autosegregazione all’opposizione. Lo stesso
Berlinguer, dopo i fatti di
Danzica e la repressione degli
operai polacchi del
1981, era stato costretto ad ammettere che il
modello sovietico fosse in affanno e che la
rivoluzione d’ottobre del
1917 avesse
“ormai esaurita la propria forza propulsiva”. Bene. E quindi? Quale doveva essere il nuovo
orizzonte ideologico per la
sinistra italiana? Certamente, i comportamenti di molta parte della
Dc nei confronti della cosa pubblica erano
opportunistici e
predatori: dei veri e propri
‘topi nel formaggio’; sicuramente, nel
Partito socialista italiano erano spuntate alcune
‘male erbe’ in cui alcuni gruppi d’interesse si erano
‘democristianizzati’; indubitabilmente, la
borghesia liberale soffriva di una
'sottorappresentazione' storica
che non consentiva, se non su qualche
singola questione (il divorzio, l’aborto), la formazione di solide
maggioranze laiche e
riformiste. Tutti problemi che sarebbero esplosi nei primi
anni ’90 del secolo scorso, ma che non avrebbero impedito il
cammino di approdo verso quella
‘sponda’ socialdemocratica che potesse dar vita a una nuova
‘casa comune’ della
sinistra italiana. Tutte cose che
Giorgio Napolitano aveva
compreso. Qualcuno, in questi giorni, ha dichiarato che
Giorgio Napolitano avesse
"capito perfettamente la situazione, ma poi certe battaglie non le ha combattute". Come se altri quelle stesse battaglie le avessero, invece,
ingaggiate; come se si avesse il
coraggio di far comprendere agli italiani quali siano le
esigenze reali del Paese (l’Europa, la stabilità dei governi, le riforme costituzionali, il diffondersi di un qualunquismo puramente demagogico); come se qualcuno si fosse seriamente
opposto a una
deriva egoistica irresponsabile, tendente a delegare ogni forma di partecipazione democratica
all’uomo ‘forte’ di turno, per potersene disinteressare.
Giorgio Napolitano non era tra i
“grandi vertebrati”? Può anche darsi. Di certo,
‘cuor di leone’ non ne abbiamo visti, in un Paese che
rifiuta ogni riforma, malato di un
conservatorismo ottuso, che considera il
danaro, anziché la
norma giuridica, come
unico valore di riferimento. Un Paese
bigotto e
senza scrupoli, che continua a imporre forzatamente una
morale ‘preconfezionata’ totalmente
inattuale; che consente, nella realtà pratica, ogni tipo di comportamento, purché non si approvino
nuovi diritti di libertà pubblica; che
tradisce i propri figli, costringendoli a cercare fortuna
all’estero per poter svolgere la
professione per la quale hanno studiato; che appalta il controllo di
intere aree del proprio territorio a
criminali e
mafiosi. Una nazione ossessionata dalle
tradizioni, che continua a
non apprendere nulla dai propri errori, poiché in grave
crisi d’identità, non sapendo neanche lei chi vorrebbe essere veramente: una
caserma, una
sagrestia, una
spiaggia libera o un
casino.
Direttore responsabile di www.laici.it