Vittorio LussanaGiorgio Napolitano fu un riformista autentico, a cui dobbiamo riconoscere di aver compreso, assai prima di altri, sia le contraddizioni del modello socialista sovietico, sia quelle dell’italo-marxismo professato dal Pci. Chi in questi giorni ne critica la figura – ci riferiamo soprattutto al populismo dei social network – dimostra solamente una superficialità agghiacciante, incapace di valutare contro quali ‘macigni’ si sia misurato questo esponente politico di lungo corso, i cui meriti sono largamente superiori ai suoi demeriti e alle umanissime titubanze degli ultimi anni. Indecisioni che, probabilmente, non lo inseriscono tra i ‘grandi vertebrati’ della Storia, ma che non ne intaccano la lucidità nell’aver intravisto un approdo europeista e socialdemocratico della sinistra italiana rispetto alla prospettiva determinista del cosiddetto 'socialismo scientifico'. Un uomo che molto ha fatto per riuscire a sradicare larga parte della sinistra italiana da un terreno ideologico, burocratico e statalista, nel tentativo di trapiantarla nell’alveo culturale del socialismo europeo. E chi non lo comprende, dimostra solamente di essere prigioniero, per un curioso ‘contrappasso’ della Storia, di quel medesimo settarismo, fazioso e populista, dal quale molta parte del Partito comunista italiano doveva affrancarsi, per diventare nuova classe dirigente e trasformarsi in una sinistra di governo. L’evoluzione del mondo comunista ha subito molte interruzioni, in tal senso. Ma non sempre per colpe proprie: la drammatica ‘vicenda Moro’ e il fallimento della solidarietà nazionale costrinsero il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, a ripiegare sui battuti sentieri della lotta di classe e dell’alternativa democratica, in nome della "questione morale". La quale, in molta parte era fondata, benché non giustificasse l'isolamento e una ‘snobistica’ autosegregazione all’opposizione. Lo stesso Berlinguer, dopo i fatti di Danzica e la repressione degli operai polacchi del 1981, era stato costretto ad ammettere che il modello sovietico fosse in affanno e che la rivoluzione d’ottobre del 1917 avesse “ormai esaurita la propria forza propulsiva”. Bene. E quindi? Quale doveva essere il nuovo orizzonte ideologico per la sinistra italiana? Certamente, i comportamenti di molta parte della Dc nei confronti della cosa pubblica erano opportunistici e predatori: dei veri e propri ‘topi nel formaggio’; sicuramente, nel Partito socialista italiano erano spuntate alcune ‘male erbe’ in cui alcuni gruppi d’interesse si erano ‘democristianizzati’; indubitabilmente, la borghesia liberale soffriva di una 'sottorappresentazione' storica che non consentiva, se non su qualche singola questione (il divorzio, l’aborto), la formazione di solide maggioranze laiche e riformiste. Tutti problemi che sarebbero esplosi nei primi anni ’90 del secolo scorso, ma che non avrebbero impedito il cammino di approdo verso quella ‘sponda’ socialdemocratica che potesse dar vita a una nuova ‘casa comune’ della sinistra italiana. Tutte cose che Giorgio Napolitano aveva compreso. Qualcuno, in questi giorni, ha dichiarato che Giorgio Napolitano avesse "capito perfettamente la situazione, ma poi certe battaglie non le ha combattute". Come se altri quelle stesse battaglie le avessero, invece, ingaggiate; come se si avesse il coraggio di far comprendere agli italiani quali siano le esigenze reali del Paese (l’Europa, la stabilità dei governi, le riforme costituzionali, il diffondersi di un qualunquismo puramente demagogico); come se qualcuno si fosse seriamente opposto a una deriva egoistica irresponsabile, tendente a delegare ogni forma di partecipazione democratica all’uomo ‘forte’ di turno, per potersene disinteressare. Giorgio Napolitano non era tra i “grandi vertebrati”? Può anche darsi. Di certo, ‘cuor di leone’ non ne abbiamo visti, in un Paese che rifiuta ogni riforma, malato di un conservatorismo ottuso, che considera il danaro, anziché la norma giuridica, come unico valore di riferimento. Un Paese bigotto e senza scrupoli, che continua a imporre forzatamente una morale ‘preconfezionata’ totalmente inattuale; che consente, nella realtà pratica, ogni tipo di comportamento, purché non si approvino nuovi diritti di libertà pubblica; che tradisce i propri figli, costringendoli a cercare fortuna all’estero per poter svolgere la professione per la quale hanno studiato; che appalta il controllo di intere aree del proprio territorio a criminali e mafiosi. Una nazione ossessionata dalle tradizioni, che continua a non apprendere nulla dai propri errori, poiché in grave crisi d’identità, non sapendo neanche lei chi vorrebbe essere veramente: una caserma, una sagrestia, una spiaggia libera o un casino.




Direttore responsabile di www.laici.it

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