La linea difensiva del
generale Roberto Vannacci è tutta una
contraddizione. A prescindere dai
reati che egli ha commesso nella sua pubblicazione distribuita da
Amazon, egli ha esposto in pubblico tutta una serie di
'sentimenti' - chiamiamoli così - che il nostro
ordinamento giuridico tende a contenere, per evitare che questi ledano
l’onorabilità, la
rispettabilità e la
reputazione altrui. La nostra
Costituzione, fonte di diritto
‘superprimaria’ che non può certo essere
sospesa o
inapplicata, mantiene ben distinti il piano
privato da quello
pubblico. Per questo motivo, molte cose che il
generale Vannacci ha scritto incontrano numerosi
limiti giuridici. Per fortuna, perché se così non fosse ci ritroveremmo in un sistema
totalitario, cioè nel vero
"pensiero unico" vigente da
millenni, nella più
abominevole delle
banalità. Considerare
l'odio, per esempio, un
sentimento lecito non significa che una
società moderna possa basarsi su di esso.
L'odio può avere una
funzione psicologica di razionalizzazione e di forza d'animo, ma ci si deve
fermare in tempo nell’esprimerlo, altrimenti si passa il confine
dell’istigazione. E di fronte alla
sprovvedutezza dei tanti, persino quella di un
generale, non possiamo considerarlo un
valore razionalmente valido. E' un
sentimento privato, una
mera sensazione che potrebbe farci degenerare nell’eccesso opposto: quello
dell’anarchia. Anche innanzi al bivio della
"giusta vendetta" bisogna
rinunciare all'odio e cercare
vie legali per farsi valere. E se anche si è spesa molta fatica nell’individuare la
causa reale di un
fenomeno criminale qualsiasi, la
giustizia personale non è consentita. Certamente, vi sono le
eccezioni del
diritto di resistenza, mantenuto
implicito nella nostra
Costituzione, insieme a quello della
legittima difesa. Tuttavia, ambedue devono essere
proporzionali all’offesa ricevuta. Insomma,
l'odio corrisponde al possedere un
buon 'destro': sta al
singolo individuo decidere se
picchiare la gente per strada o
utilizzarlo diversamente, magari diventando
campione del mondo di pugilato, riscattando se stesso e la propria immagine. Un percorso che noi
italiani, peraltro, conosciamo benissimo, avendo avuto
numerosi esempi di questo tipo e che in
sociologia viene definito:
"Il sentiero del riscatto". In ogni caso, tutto questo significa che dietro alle
norme, tutte le norme, in genere c’è una
filosofia o una
cultura - che può anche essere
religiosa o
morale, anche se non necessariamente
- che l'ha ispirata in
sede dottrinaria. Ma
l'odio in sé non serve a niente. Anzi, spesso entra in
antinomia, cioè in
conflitto, con la
norma pubblica. La vera
bussola di orientamento rimane la distinzione tra
pubblico e
privato, che se viene fatta
‘saltare’ trasforma ogni fattispecie giuridica in un
atto illiberale di
distorsione ideologica. Si tornerebbe, in pratica, allo
Stato assoluto o allo
Stato di Polizia. Insomma,
all’ancien régime: una vecchia
fissazione di
Joseph de Maistre, che infatti basava il proprio pensiero muovendo da considerazioni di carattere
psicologico. Ma attenzione:
de Maistre non era affatto un
controrivoluzionario, bensì
l’esatto opposto. Egli era
contrario a ogni tipo di
rivoluzione: un
restauratore, praticamente. Ci spiegate poi cosa ne facciamo, nel
XXI secolo, di un nuovo
'Re sole'? La
birra? E ci toccherà pure
toglierlo di mezzo al più presto, quando ci renderemo conto delle
tasse che
impone. Come si può comprendere, si tratta di
questioni delicate, che non possiamo lasciare all'interpretazione di un
militare che crede di potersi
'rigirare' le norme come gli pare e piace. Il
‘capolavoro’ letterario del
generale Vannacci (si fa per dire...) vìola il
codice penale allorquando non riconosce - dunque discrimina - la pallavolista
Paola Enogu come
cittadina italiana. Ma anche qui: la
cittadinanza è un
criterio giuridico, non
somatico, materialistico o strettamente
fisico. Non si possono discriminare i
cittadini in quanto
‘biondi’ o perché hanno gli
occhi marroni, per indicarli come
‘bersagli’ delle nostre critiche. I
criteri di discriminazione non consentiti - e anzi puniti - dal nostro
codice penale sono
4: razza, religione, nazionalità ed
etnia. Nel caso del
generale Vannacci, noi crediamo di ravvisare solamente il
primo e, forse, il
quarto criterio. Ma ciò basta a
qualificarlo per quello che è: un
estremista eversivo che vorrebbe vivere in un
mondo immobile, poiché incapace di percepire la
'staticità' culturale del proprio pensiero, che per essere considerato tale, ovvero
‘pensante’, necessiterebbe di una
rielaborazione almeno
periodica. La
società è cambiata, signori. E molti processi si sono
velocizzati, rendendo il passaggio di un semplice
decennio paragonabile a quello di un
secolo. E fra questi processi vi è anche una vecchia
idea di italianità univoca e immodificabile, storicamente
'campata per aria'. Perché se c'è un
popolo che si è mescolato con tutti, dai
Normanni agli
Arabi, quello è proprio il
nostro.
Direttore responsabile di www.laici.it