Vittorio LussanaLa materia giurisprudenziale è sempre controversa, poiché si basa sull'interpretazione delle norme e non semplicemente sulla loro applicazione. Per esempio, in merito al reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”, il dottor Piercamillo Davigo ha posto, alcune sere fa, in collegamento con la trasmissione ‘In onda’, trasmessa sulle frequenze de ‘La7’, un'obiezione classica, “di scuola", come si dice in questi casi, proponendo il paragone con il reato di “favoreggiamento” che implica anche la partecipazione ad altri reati. Tuttavia, in passato, sono capitate fattispecie non così 'perfette', dal punto di vista giudiziario. Molti politici, infatti, durante le campagne elettorali cercano voti. E spesso, chi afferma di poterli garantire non dice espressamente che si tratta di elettori che rispondono a un 'capobastone' mafioso. Anzi, molte volte è proprio la mafia che, al fine di ottenere favori, si maschera da imprenditoria legale, soprattutto negli ultimi anni. E comunque, il politico, soprattutto quando si ritrova ‘catapultato’ in una realtà o in un territorio molto diverso da quello di provenienza, non è a conoscenza della pericolosità di certi soggetti e rapporti. Insomma, ci sono stati casi, in passato, in cui a furia di stringere mani si è finiti anche in quelle sbagliate, senza per forza essere ‘favoreggiatori’ delle mafie o della criminalità organizzata: si cercano voti e s'incappa in cattive conoscenze. E questa è la nostra obiezione pincipale circa il reato di 'conocorso esterno in associazione mafiosa'. Risulta pur vero che anche la politica dovrebbe riflettere meglio riguardo a quanto accaduto in passato, poiché un certo tipo di ‘feudalesimo’ le ha sempre impedito, in particolar modo in Italia, di intervenire su se stessa. I Partiti coinvolti in Tangentopoli, per esempio, avrebbero potuto favorire il proprio rinnovamento. Invece, il più delle volte hanno preferito scaricare molte colpe su qualcuno in particolare - in genere il proprio leader - per poi cercare riparo presso altre famiglie e nuovi leader. Se la politica facesse autocritica, qualche volta, eviterebbe che arrivi il giudice a metterla sotto processo, perché certe decisioni di opportunità potrebbero favorire l'imputato che intende difendersi nel processo e non dal processo. E forse, oggi avremmo qualche democristiano in più in circolazione, ma molti dilettanti allo sbaraglio in meno. Infine, terza e ultima questione, è quella relativa al caso del deputato Del Mastro, sottoposto a giudizio - eventualità, peraltro, prevista solamente da noi - tramite la procedura dell’imputazione coatta. A prescindere dal fatto che non si tratta di una decisione così estemporanea o “rara”, come dichiarato anche dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in alcuni casi può capitare che il giudice dell'udienza preliminare abbia dei dubbi più o meno fondati rispetto alla pubblica accusa. Nel caso specifico, il tipo di riservatezza dell'atto, indebitamente 'passato' dall’onorevole Delmastro ad altro parlamentare - il deputato Giovanni Donzelli - il quale ha poi costruito, nell’aula di Montecitorio, un soggetto cinematografico alquanto surreale relativo a circuiti anarco-insurrezionalisti e ambienti mafiosi in stretti rapporti col Partito democratico, si tenga presente che ci troviamo innanzi a un documento che non è totalmente ‘secretato’ e che si può persino richiedere per giustificati motivi. Tuttavia, anche la semplice riservatezza di un atto d'ufficio rappresenta un reato. Minore, ma lo è. Ma l'onorevole Donzelli, che in apparenza sembrerebbe esser quello che ha combinato la 'frittata', essendo dello stesso Partito politico dell'onorevole Delmastro sarebbe comunque venuto a conoscenza di quell’atto, inerente alla visita carceraria di alcuni esponenti del Pd presso il detenuto Cospito. Magari più avanti nel tempo, ma la cosa sarebbe capitata in ogni caso. Dunque, non trattandosi di un documento sottoposto al massimo grado si segretezza, esso può prevedere l'archiviazione, come infatti aveva pensato il pm. In questo caso, il giudice ha voluto procedere a qualche accertamento in più: non appena saranno da lui ottenuti i riscontri desiderati, anch'egli dovrebbe indirizzarsi verso l'archiviazione definitiva. E noi crediamo che andrà a finire così, senza alcun bisogno di 'scannarsi' con la Magistratura. E senza ‘rinfacci’ piccolo borghesi, che politicamente hanno rappresentato il dato più grave di tutti. Il problema più generale di questa nazione, infatti, non è più quello di sapere chi ‘diamine’ vi abbia votati e a quale scopo, quanto conoscere, in molti casi, chi ‘diavolo’ vi abbia laureati, perché è quella la vera origine dei continui e ripetuti fallimenti della nostra classe politica. A tutte le latitudini e longitudini.




Direttore responsabile di www.laici.it
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