La
materia giurisprudenziale è sempre controversa, poiché si basa
sull'interpretazione delle norme e non semplicemente sulla loro
applicazione. Per esempio, in merito al reato di
“concorso esterno in associazione mafiosa”, il dottor
Piercamillo Davigo ha posto, alcune sere fa, in collegamento con la trasmissione
‘In onda’, trasmessa sulle frequenze de
‘La7’, un'obiezione classica,
“di scuola", come si dice in questi casi, proponendo il paragone con il reato di
“favoreggiamento” che implica anche la partecipazione ad altri reati. Tuttavia, in passato, sono capitate fattispecie non così
'perfette', dal punto di vista giudiziario. Molti politici, infatti, durante le campagne elettorali
cercano voti. E spesso, chi afferma di poterli garantire non dice espressamente che si tratta di elettori che rispondono a un
'capobastone' mafioso. Anzi, molte volte è proprio la
mafia che, al fine di ottenere favori, si maschera da
imprenditoria legale, soprattutto negli ultimi anni. E comunque, il politico, soprattutto quando si ritrova
‘catapultato’ in una realtà o in un territorio molto diverso da quello di provenienza, non è a conoscenza della
pericolosità di certi soggetti e rapporti. Insomma, ci sono stati casi, in passato, in cui a furia di
stringere mani si è finiti anche in quelle sbagliate, senza per forza essere
‘favoreggiatori’ delle mafie o della
criminalità organizzata: si cercano voti e s'incappa in
cattive conoscenze. E questa è la nostra
obiezione pincipale circa il reato di
'conocorso esterno in associazione mafiosa'. Risulta pur vero che anche la
politica dovrebbe
riflettere meglio riguardo a quanto accaduto in passato, poiché un certo tipo di
‘feudalesimo’ le ha sempre impedito, in particolar modo in
Italia, di
intervenire su se stessa. I Partiti coinvolti in
Tangentopoli, per esempio, avrebbero potuto favorire il proprio
rinnovamento. Invece, il più delle volte hanno preferito
scaricare molte colpe su qualcuno in particolare - in genere il proprio leader - per poi
cercare riparo presso altre famiglie e nuovi leader. Se la politica facesse
autocritica, qualche volta, eviterebbe che arrivi il giudice a metterla
sotto processo, perché certe
decisioni di opportunità potrebbero favorire l'imputato che intende difendersi
nel processo e non
dal processo. E forse, oggi avremmo qualche
democristiano in più in circolazione, ma molti
dilettanti allo sbaraglio in meno. Infine, terza e ultima questione, è quella relativa al caso del deputato
Del Mastro, sottoposto a giudizio - eventualità, peraltro, prevista
solamente da noi - tramite la procedura
dell’imputazione coatta. A prescindere dal fatto che non si tratta di una decisione così
estemporanea o
“rara”, come dichiarato anche dal presidente del Consiglio,
Giorgia Meloni, in alcuni casi può capitare che il
giudice dell'udienza preliminare abbia dei dubbi più o meno
fondati rispetto alla
pubblica accusa. Nel caso specifico, il
tipo di riservatezza dell'atto, indebitamente
'passato' dall’onorevole
Delmastro ad altro parlamentare - il deputato
Giovanni Donzelli - il quale ha poi costruito,
nell’aula di Montecitorio, un soggetto cinematografico alquanto
surreale relativo a circuiti
anarco-insurrezionalisti e
ambienti mafiosi in stretti rapporti col
Partito democratico, si tenga presente che ci troviamo innanzi a un documento che non è totalmente
‘secretato’ e che si può persino
richiedere per giustificati motivi. Tuttavia, anche la semplice
riservatezza di un
atto d'ufficio rappresenta un
reato. Minore, ma lo è. Ma l'onorevole
Donzelli, che in apparenza sembrerebbe esser quello che ha combinato la
'frittata', essendo dello
stesso Partito politico dell'onorevole
Delmastro sarebbe comunque venuto a conoscenza di quell’atto, inerente alla visita carceraria di alcuni esponenti del
Pd presso il detenuto
Cospito. Magari più avanti nel tempo, ma la cosa sarebbe
capitata in ogni caso. Dunque, non trattandosi di un documento sottoposto al
massimo grado si segretezza, esso può prevedere
l'archiviazione, come infatti aveva pensato il
pm. In questo caso, il giudice ha voluto procedere a qualche
accertamento in più: non appena saranno da lui ottenuti i
riscontri desiderati, anch'egli dovrebbe indirizzarsi verso
l'archiviazione definitiva. E noi crediamo che andrà a finire così, senza alcun bisogno di
'scannarsi' con la
Magistratura. E senza
‘rinfacci’ piccolo borghesi, che politicamente hanno rappresentato il dato più grave di tutti. Il problema più generale di questa nazione, infatti, non è più quello di sapere
chi ‘diamine’ vi abbia votati e a quale scopo, quanto conoscere, in molti casi,
chi ‘diavolo’ vi abbia laureati, perché è quella la vera
origine dei continui e ripetuti
fallimenti della nostra classe politica. A tutte le
latitudini e
longitudini.
Direttore responsabile di www.laici.it