Emanuela ColatostiDopo un anno dall’apertura del procedimento che ha visto come imputato un membro del personale non docente di un istituto superiore di Roma, il secondo grado di giudizio ha gelato l'opinione pubblica. Secondo i giudici, il fatto che un uomo abbia messo le mani dentro le mutande di una diciassettenne non costituisce reato, perché l’ha fatto per meno di dieci secondi e senza volontà di molestare la minore. Non è in discussione se il fatto sia avvenuto o meno, ma qualsiasi cosa abbia subito la minorenne non costituisce reato, perché troppo breve. Dieci secondi è tre volte il tempo impiegato per risolvere il cubo di Rubik dall’attuale campione del mondo in carica. In 10 secondi, il batterista più veloce del mondo suona circa 200 colpi. Per i giudici dell’appello è, quindi, accettabile che una diciassettenne subisca, per dieci secondi, le mani di una persona sui suoi glutei, in quanto si è trattato di "una manovra maldestra, ma priva di concupiscenza". Al di là del fatto che la sentenza somiglia alla recensione di una performance erotica, per cui se l’atto è eseguito in modo maldestro e non è riconoscibile come un’interazione connotata sessualmente tra due individui, denota un’interpretazione alquanto anacronistica del concetto di violenza sessuale. Anche nel 2022, per il Tribunale di Busto Arsizio non costituiva reato la molestia fisica di un uomo nei confronti di una collega di lavoro, perché la donna non aveva opposto resistenza "nei trenta secondi" in cui si è consumato l’atto. La Cassazione in quel caso ribaltò la sentenza d’appello, affermando che è l’autore del fatto a doversi assicurare del consenso del soggetto passivo e non il contrario. Sperando siano in pochi ad augurarsi che la Cassazione si pronunci in maniera diversa, se l’accusa decidesse di procedere per il terzo grado di giudizio. La sentenza dello scorso anno recita così: “Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso, anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa”. Un pronunciamento perfettamente coerente con le linee guida della Convenzione di Istanbul, cui peraltro i rappresentanti del Governo Meloni al parlamento europeo si sono astenuti sul voto di ratifica del primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, per la tutela dei diritti delle donne. Nel frattempo, una giovane donna, peraltro minorenne, si è sentita dire che l’esperienza che ha vissuto non è stata “fatta bene” e non è durata abbastanza per essere considerata una violenza sessuale.





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