Dopo
un anno dall’apertura del procedimento che ha visto come imputato un membro del
personale non docente di un istituto superiore di
Roma, il secondo grado di giudizio ha gelato l'opinione pubblica. Secondo i giudici, il fatto che un uomo abbia messo le mani dentro le
mutande di una
diciassettenne non costituisce
reato, perché l’ha fatto per meno di
dieci secondi e senza volontà di
molestare la minore. Non è in discussione se il fatto sia
avvenuto o meno, ma qualsiasi cosa abbia subito la
minorenne non costituisce
reato, perché troppo breve.
Dieci secondi è tre volte il tempo impiegato per risolvere il
cubo di Rubik dall’attuale campione del mondo in carica. In
10 secondi, il batterista più veloce del mondo suona circa
200 colpi. Per i giudici
dell’appello è, quindi, accettabile che una diciassettenne subisca, per
dieci secondi, le mani di una persona sui suoi
glutei, in quanto si è trattato di
"una manovra maldestra, ma priva di concupiscenza". Al di là del fatto che la sentenza somiglia alla
recensione di una
performance erotica, per cui se l’atto è eseguito in modo
maldestro e non è riconoscibile come un’interazione
connotata sessualmente tra due individui, denota un’interpretazione alquanto
anacronistica del concetto di
violenza sessuale. Anche nel
2022, per il
Tribunale di
Busto Arsizio non costituiva
reato la molestia fisica di un uomo nei confronti di una
collega di lavoro, perché la donna non aveva opposto resistenza
"nei trenta secondi" in cui si è consumato l’atto. La
Cassazione in quel caso ribaltò la
sentenza d’appello, affermando che è l’autore del fatto a doversi assicurare del
consenso del
soggetto passivo e non il contrario. Sperando siano in pochi ad augurarsi che la
Cassazione si pronunci in maniera diversa, se l’accusa decidesse di procedere per il
terzo grado di giudizio. La sentenza dello scorso anno recita così:
“Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso, anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa”. Un pronunciamento perfettamente coerente con le linee guida della
Convenzione di Istanbul, cui peraltro i rappresentanti del
Governo Meloni al
parlamento europeo si sono
astenuti sul
voto di ratifica del primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, per la
tutela dei diritti delle donne. Nel frattempo, una
giovane donna, peraltro
minorenne, si è sentita dire che l’esperienza che ha vissuto non è stata
“fatta bene” e non è
durata abbastanza per essere considerata una
violenza sessuale.