La questione relativa al rapporto
politica-magistratura andrebbe ricondotta in un alveo di confronto ben
diverso. In caso contrario, l’incomprensione reciproca continuerà a dominare un dibattito eccessivamente
polemico. Innanzitutto, ci sono alcuni
presupposti culturali ben distinti tra loro, benché
entrambi fondati. Da una parte, si considerano alcuni reati di
minor gravità. Come
l’evasione fiscale, per esempio, che invece nasconde forme di
classismo e di
ingiustizia reale. Ecco perché, in campo
conservatore, si tende a evitare ogni
analisi sociale e ogni sforzo di addentramento su terreni considerati
ostici. Si dà molta importanza ai temi relativi alla
libertà, ma ben poca a quelli concernenti la
giustizia sociale, mantenendo il Paese impantanato nei vecchi
‘andazzi’ al fine di non vedere le nostre vere
‘tare’ di fondo. Sul fronte
progressista, viceversa, si finge di non vedere
un’impostazione antiquata dell’apparato processuale e, più in generale, del nostro
sistema giudiziario, che rende il principio di
non colpevolezza assolutamente
aleatorio. Basterebbe ammettere che vi è un
problema di fondo, il quale pretende un allontanamento
dall’impostazione autoritaria del
codice Rocco, che seppur modificato in ampie parti, innerva ancora l’insieme delle nostre norme di
procedura penale. Insomma, la riflessione è
giuridicamente delicata e
complessa. Soprattutto in certe fasi, in cui gli
animi s'infiammano sino a
esacerbarsi. E ci vorrebbe una
classe politica diversa, giuridicamente preparata, che sappia come muoversi e dove
mettere le mani, senza snaturare il nostro ordinamento
democratico. Noi, i giuristi migliori li selezioniamo per il ruolo di
capo dello Stato, come nel caso del
presidente Mattarella. Invece, i
Mattarella, ma anche i
Cassese e gli
Zagrebelsky, dovrebbero rappresentare il
‘nerbo’ centrale, la vera
‘spina dorsale’ della nostra
politica, non delle
eccezioni o delle mere
riserve della Repubblica per ricoprire gli incarichi di più alta rappresentanza. E su questo, anche il ceto politico degli
Arnaldo Forlani, che salutiamo con affetto, anche per gli stretti rapporti avuti con la sua segreteria ai tempi del
Caf, non è
esente da colpe. Anche durante
Tangentopoli o immediatamente dopo quella
'valanga', che travolse un intero mondo. Perché quei Partiti che vennero investiti da quell'ondata d'indignazione avrebbero dovuto preparare e predisporre il proprio
rinnovamento politico. Invece, si scelse la
‘scorciatoia’ dell’imprenditore che
"scendeva in campo" per tutelare soprattutto le proprie
aziende, distorcendo molti concetti basilari della
forma-Partito. A cominciare
dall’impostazione 'padronale' di
Forza Italia, che non prevedeva, né ha mai previsto,
avvicendamenti congressuali. Si sceglie sempre la
‘scorciatoia’, in
Italia. Anche quando ai nostri figli si propongono
esempi educativi ben diversi:
princìpi validi, per quanto religiosi, ma totalmente
campati per aria. Scegliere
“la via più difficile” è un caposaldo fondamentale della
pedagogia cattolica. E invece si scopre, in età adulta, che il principale tradimento di quella stessa
filosofia morale viene commesso proprio dagli ambienti cosiddetti
‘moderati’, che alla fine si dimostrano più
materialisti e
opportunisti degli stessi
italo-marxisti. Ecco perché non siamo affatto infastiditi da un
governo di destra e, anzi, siamo spesso disponibili a offrire un nostro
contributo, se considerato
utile: perché il
problema ‘vero’ non risiede nelle
destre. Anche quando queste si dimostrano
distopiche o
immobiliste. Il problema vero è il
fallimento del
centrismo moderato, in
Italia. Un argomento che si tende a
evitare, perché
politicamente sconveniente. Anche perché, i più
furbi hanno capito come questo argomento si sia trasformato in una
‘trappola’ in mezzo alla
foresta, nella quale si rischia di cadere rimanendo a lungo
isolati. Perché
l’Italia è cattolica. E, in quanto tale, è essa stessa
causa di ogni male e
colpevole di tutto il male.
Direttore responsabile di www.laici.it