Vittorio LussanaLa questione relativa al rapporto politica-magistratura andrebbe ricondotta in un alveo di confronto ben diverso. In caso contrario, l’incomprensione reciproca continuerà a dominare un dibattito eccessivamente polemico. Innanzitutto, ci sono alcuni presupposti culturali ben distinti tra loro, benché entrambi fondati. Da una parte, si considerano alcuni reati di minor gravità. Come l’evasione fiscale, per esempio, che invece nasconde forme di classismo e di ingiustizia reale. Ecco perché, in campo conservatore, si tende a evitare ogni analisi sociale e ogni sforzo di addentramento su terreni considerati ostici. Si dà molta importanza ai temi relativi alla libertà, ma ben poca a quelli concernenti la giustizia sociale, mantenendo il Paese impantanato nei vecchi ‘andazzi’ al fine di non vedere le nostre vere ‘tare’ di fondo. Sul fronte progressista, viceversa, si finge di non vedere un’impostazione antiquata dell’apparato processuale e, più in generale, del nostro sistema giudiziario, che rende il principio di non colpevolezza assolutamente aleatorio. Basterebbe ammettere che vi è un problema di fondo, il quale pretende un allontanamento dall’impostazione autoritaria del codice Rocco, che seppur modificato in ampie parti, innerva ancora l’insieme delle nostre norme di procedura penale. Insomma, la riflessione è giuridicamente delicata e complessa. Soprattutto in certe fasi, in cui gli animi s'infiammano sino a esacerbarsi. E ci vorrebbe una classe politica diversa, giuridicamente preparata, che sappia come muoversi e dove mettere le mani, senza snaturare il nostro ordinamento democratico. Noi, i giuristi migliori li selezioniamo per il ruolo di capo dello Stato, come nel caso del presidente Mattarella. Invece, i Mattarella, ma anche i Cassese e gli Zagrebelsky, dovrebbero rappresentare il ‘nerbo’ centrale, la vera ‘spina dorsale’ della nostra politica, non delle eccezioni o delle mere riserve della Repubblica per ricoprire gli incarichi di più alta rappresentanza. E su questo, anche il ceto politico degli Arnaldo Forlani, che salutiamo con affetto, anche per gli stretti rapporti avuti con la sua segreteria ai tempi del Caf, non è esente da colpe. Anche durante Tangentopoli o immediatamente dopo quella 'valanga', che travolse un intero mondo. Perché quei Partiti che vennero investiti da quell'ondata d'indignazione avrebbero dovuto preparare e predisporre il proprio rinnovamento politico. Invece, si scelse la ‘scorciatoia’ dell’imprenditore che "scendeva in campo" per tutelare soprattutto le proprie aziende, distorcendo molti concetti basilari della forma-Partito. A cominciare dall’impostazione 'padronale' di Forza Italia, che non prevedeva, né ha mai previsto, avvicendamenti congressuali. Si sceglie sempre la ‘scorciatoia’, in Italia. Anche quando ai nostri figli si propongono esempi educativi ben diversi: princìpi validi, per quanto religiosi, ma totalmente campati per aria. Scegliere “la via più difficile” è un caposaldo fondamentale della pedagogia cattolica. E invece si scopre, in età adulta, che il principale tradimento di quella stessa filosofia morale viene commesso proprio dagli ambienti cosiddetti ‘moderati’, che alla fine si dimostrano più materialisti e opportunisti degli stessi italo-marxisti. Ecco perché non siamo affatto infastiditi da un governo di destra e, anzi, siamo spesso disponibili a offrire un nostro contributo, se considerato utile: perché il problema ‘vero’ non risiede nelle destre. Anche quando queste si dimostrano distopiche o immobiliste. Il problema vero è il fallimento del centrismo moderato, in Italia. Un argomento che si tende a evitare, perché politicamente sconveniente. Anche perché, i più furbi hanno capito come questo argomento si sia trasformato in una ‘trappola’ in mezzo alla foresta, nella quale si rischia di cadere rimanendo a lungo isolati. Perché l’Italia è cattolica. E, in quanto tale, è essa stessa causa di ogni male e colpevole di tutto il male.




Direttore responsabile di www.laici.it


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