I recenti fatti di
Casal Palocco, quartiere situato nella periferia sud della capitale, dove un
suv Lamborghini, noleggiato da un gruppo di
‘Yuotobers’ per produrre una
‘challenge’ – cioè una prova di
resistenza estrema finalizzata alla pubblicazione di un video - ha provocato un grave incidente automobilistico in cui è morto un
bambino di 5 anni, sono a dir poco
incommentabili. Sorge, infatti, il problema della produzione di contenuti sulle
piattaforme social, che necessiterebbero un intervento legislativo al fine di obbligare i vari
canali a una
registrazione presso un
Tribunale civile e a dotarsi di un
responsabile legale per quanto viene pubblicato. Ecco per quali motivi rimaniamo ostinatamente contrari
all'abolizione dell'Ordine dei giornalisti: basterebbe una
riforma che lo indirizzi meglio verso le
nuove funzioni che potrebbe svolgere e fornirlo di qualche potere in più, non in meno. Resta il fatto che
600 mila persone seguano certe cose, mentre
poche migliaia s'interessano ai
contenuti più formativi. Non lo scriviamo per
pedagogismo esasperato, ma purtroppo anche la produzione di
contenuti 'altri' pretende un
controllo più efficace, a cui sottoporre piattaforme planetarie come
Yuotube, Instagram o
Tik Tok. Forse, oggi, si comprenderà meglio la lotta che si è deciso di combattere contro
fake news e
contenuti distorti, al fine di evitare, innanzitutto, una
deriva classista e
un'ostentazione di 'status' lesive del
principio di eguaglianza tra i cittadini. L'uso delle automobili deve rientrare nella normale necessità di
spostarsi per le nostre attività di tutti i giorni e non per alimentare una
cultura piccolo borghese da
'cafoni' arricchiti o da
'pidocchi' rifatti. E' un punto di principio che può essere
declinato in vari modi, a
destra come a
sinistra, ma su cui vale la pena
soffermarsi a riflettere. Perché non c'è nulla di
totalmente privato, quando ci si
espone; perché quando si producono
contenuti, di qualsivoglia genere e tipo, si svolge una funzione di
servizio pubblico, anche se si tratta di
semplice intrattenimento; perché ci si rivolge a dei
lettori o a dei
potenziali ascoltatori, tanti o pochi essi siano. Non si scrive un
articolo per far vedere quanto sia
lineare il nostro italiano, ma per
informare i lettori. E non ci si filma per
mettersi in ‘vetrina’, cioè al fine di dimostrare quanto siamo
belli, ‘matti’ o
simpatici, bensì rivolgendosi a un
pubblico. Il quale, non dev'essere
truffato o
affabulato dalla
mera immagine o dalle semplici
apparenze autoreferenziali. La
deriva narcisista è tipica delle società
post industriali, tendenti a fornire nuove forme di
comunicazione, informazione e anche di
evasione ai cittadini: noi questo non lo neghiamo. Ma dei
'paletti' normativi andrebbero messi, per evitare che coloro che risultano sottoposti a un controllo siano esclusivamente quelli che certi contenuti li
producono per mestiere, mentre ci si dimostra totalmente
anarchici verso chi, invece, approccia il mondo della comunicazione senza alcuna
esperienza o
principio deontologico che lo metta nelle condizioni di
autolimitarsi. E’ un
paradosso antico questo, che appartiene pienamente al vero
pensiero critico verso le
attitudini mortifere della modernità. Era questa la lezione, o una delle lezioni, che dovevamo apprendere dalla
pandemia: una
libertà responsabile è assai migliore di una
libertà qualunquista, totalmente sganciata da ogni
etica, cultura o
emergenza collettiva. Se comprenderemo questo punto, poi si potrà anche decidere di essere
più o meno elastici nell'applicazione concreta e nell'interpretazione giuridica delle norme. Ma la questione più importante rimane quella di riuscire a comprendere
i limiti dello sviluppo tecnologico in atto, che non può e non dev’essere
funzionale unicamente a se stesso.
Direttore responsabile di www.laici.it