Vittorio Lussana
I recenti casi di femminicidio hanno confermato, casomai ve ne fosse bisogno, la profonda crisi d’identità del maschio latino e della subcultura ‘machista’. Un retaggio che, in passato, trovava le sue ‘valvole di sfogo’ nel salutismo o nelle attività sportive in generale, ma che in termini di spiritualità culturale non ha saputo affrontare alcun percorso evolutivo. Qui, ovviamente, non s’intende colpevolizzare qualcuno in particolare: già negli anni ’80 del secolo scorso, sarebbe servita una risposta diversa. Invece, ci ritroviamo ad avere a che fare con una cultura media che trova normale dichiarare che "le donne dovrebbero evitare l’incontro del chiarimento”. Ovvero, l’ennesimo errore di prospettiva, che segnala un disprezzo generalizzato nei confronti dell’universo femminile, ma anche della società e della famiglia stessa. Una cultura statica, che non si muove di un millimetro. Perché anche inasprendo le pene o educando le ragazze a diffidare dei ‘bulli’ o degli uomini che non sono in grado di rispettarle, ci si concentra su quello che dovrebbero fare le donne e si forniscono risposte puramente formali. Ma i campi in cui questo dato d’inculturazione di massa si conferma drammaticamente, sono molto più ampi ed estesi: non c’è solo la questione femminile. C’è anche quella di un Paese ingiusto, che espelle dal mercato le persone, che le marginalizza per i più disparati motivi, facendo leva su un potere basato sui soldi e non sulla norma giuridica. C’è uno scollamento nella società: una forma di superficialità terrificante. Non c’è solo la subcultura maschile da modificare, ma un modo gerarchico d’intendere i rapporti sociali, in cui si offende la gente non appena si apre bocca. Il caso di Bibbiano è un altro esempio di questo ‘iato’ culturale, dell’abisso che si è aperto nel Paese. Non c’è dialogo,comprensione reciproca tra le persone. Né, tantomeno, ragionevolezza. Al contrario, domina un fare di tutta l’erba un fascio, che è normale venga tradotto come fascismo. Perché tale è e tale rimane. Noi siamo un Paese culturalmente arretrato: non c’è solamente l’orgoglio maschile, manipolatorio e calcolatore, da combattere. L’Italia è un Paese che merita di essere abbandonato a se stesso, perché non legge e non si informa; perché considera le professioni intellettuali fondamentalmente inutili o come semplici hobbies; perché continua a mantenere in piedi un modello culturale fondamentalmente arrogante e autoritario, in cui il prossimo viene accusato di possedere quelle stesse lacune che, spesso e volentieri, caratterizzano chi accusa. Una mentalità fondamentalmente calunniatoria, fomentata da un ceto politico che ama soffiare sul fuoco delle polemiche per motivazioni demagogiche e propagandistiche, incapace di aggredire veramente i problemi per provare a risolverli. E non s’interpreti questo punto di vista con la consueta accusa di ‘anti-italianità’: non è questo il vero ‘nocciolo’ della questione e, come al solito, si finisce col liquidare l’intero discorso con una battuta, rendendo inutile la critica. Le giustificazioni del caso, infatti, ci sono tutte. L’errore è stato commesso a monte: dalla scuola, dalla televisione, da una prevalenza dell’apparire anziché dell’essere, da un mancato sviluppo delle scienze sociali. Nessuno ha voluto indagare più di tanto su questi aspetti, che invece sono fortemente limitanti, poiché ci impediscono di stare al passo con gli altri Paesi europei. Si tratta, invece, di un’accusa ben precisa nei confronti della nostra classe politica, che si è dimostrata priva di visione in tutti gli ambiti: dal mondo giovanile a quello delle donne e, persino, negli ambienti giuridici, burocratici, statali. Sono 30 anni che si forniscono le stesse risposte a problemi sempre nuovi e diversi. E nel commettere questo errore non c’entrano nulla né le ideologie di destra, né quelle di sinistra; né il sovranismo,l’europeismo; né le politiche riformiste, né quelle rivoluzionarie. Non si è stati all’altezza, punto e basta.




Direttore responsabile di www.laici.it

Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio