Antonio Di Giovanni

Da molti anni mi domando perché i romani continuino ad aver fiducia nel Sindaco Veltroni, così tanto da averlo riconfermato alla guida della giunta comunale della capitale per la seconda volta e, ora, addirittura consacrarlo come protagonista della futura ‘svolta italiana’. Mi chiedo cosa sia passato loro nella mente all’interno dei seggi elettorali della consultazione amministrativa dell'anno scorso e cosa abbia fatto dimenticare, in quei pochi istanti di permanenza dentro quelle anguste pareti di legno, il cemento selvaggio, il traffico insopportabile, i trasporti pubblici lentissimi, la metro e il treno della Roma - Lido indecenti, l’emergenza casa, le baraccopoli, la microcriminalità e tutto il resto: quale fenomeno ha potuto far dimenticare tutto questo? Il fenomeno si chiama ‘veltronismo’, ma cosa sia di preciso questa filosofia non è dato sapere: una sindrome, un pensiero, un virus: affrontiamolo insieme per poterlo capire meglio. Quando Veltroni appare sulla scena politica, il Pci era già padrone del campo nel mondo della cinematografia. Il giovane dirigente Walter, quindi, eredita un patrimonio di poteri e di rapporti molto importanti. Nonostante i proclami di non essere comunista, bensì filoamericano e antisovietico, entra a far parte del comitato centrale del Pci, diventando a soli 32 anni parlamentare. Per tutti gli anni ‘80 lavora alla sezione incaricata della propaganda del partito, occupandosi un po’ di tutto: dalle feste del l’Unità agli slogan per le campagne elettorali. Ma nel suo cuore, fin da giovane, c’era sempre il cinema, del resto materia dei suoi studi adolescenziali. Infatti, il Sindaco di Roma, dopo due anni difficili col latino e greco al Liceo Tasso, abbandona gli studi classici per iscriversi all’Istituto tecnico Cine Tv, dove consegue il diploma. Non si è mai laureato. Riesce, però, nel tempo, a costruirsi parecchie conoscenze importanti grazie alla frequentazione di ‘salotti per bene’ e prime cinematografiche, anche se sulle sue qualità di esperto di cinematografia circolano, per la verità, parecchi dubbi e qualche cattiveria, una in particolare, quando in un recente articolo apparso su ‘Limes’ sostenne che uno dei film più importanti della sua adolescenza fu “L’uomo dei sogni”. Peccato che questa pellicola sia uscita nel 1989, quando il nostro critico aveva già 34 anni. Del resto, occorre riconoscere che il Sindaco Veltroni ha svolto, in questi anni, un’attività frenetica e ha poco tempo per riflettere sui suoi scritti o per controllare l’esattezza di una data. Di certo, resta assodato che non è quello straordinario esperto di cinematografia che ci vuol far credere. Ma andiamo avanti. Il ‘veltronismo’ entrò in seguito a far parte della pubblica amministrazione dello Stato, allorquando il nostro iniziò a esercitare le funzioni di Ministro dei Beni Culturali. In quel tempo, Walter elaborò una riforma del dicastero e informò gli organi di stampa, che già dedicavano ampio spazio al giovane enfant prodige di Botteghe Oscure, comunicando una revisione di via del Collegio Romano plasmata sul modello francese di Jack Lang, Ministro della Cultura del governo Mitterand. La riforma, in pratica, consisteva nell’agganciare ai Beni Culturali anche cinema, musica, teatro e, crepi l’avarizia, anche lo sport. “Nomina sunt consequentia rerum” dicevano i latini: cambiato il contenuto, bisognava cambiare nome al contenitore, che venne cosi ribattezzato Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Nacque così un superdicastero che concentrava nelle mani di Walter un notevole potere. Ovviamente, se la filosofia è quella di privilegiare alcune attività, specie se redditizie come cinema, sport e spettacolo, è facile prevedere che prima o poi spodesteranno musei e monumenti facendo diventare il patrimonio culturale una fastidiosa ‘palla al piede’ in un Ministero che puo contare su ambiti di competenza ben più appetibili. Nel ‘veltronismo’, infatti, ha un ruolo importante la cultura del pret a porter, ovvero quella, per intenderci, facilmente trangugiabile, vendibile e consumabile. Per questo motivo, l’asse di interesse si sposta dai monumenti al cinema, dal nostro patrimonio paesaggistico ai concerti rock. Il mondo della celluloide, come quello della musica, trovano finalmente una casa e, durante il triennio di Walter, questi settori ricevono una valanga di denaro, rendendoli sempre più dipendenti dal finanziamento pubblico, dato che il fiume di soldi erogato non corrisponde in termini di biglietti staccati: insomma figli e figliastri del finanziamento pubblico che non ‘tirano’ al botteghino. Dunque, il cinema italiano stenta a riprendersi, anzi non si riprende affatto, fintantoché continueremo a non porci la questione in termini realistici: perché il cinema italiano non è più, fatte salve pochissime eccezioni, un prodotto all’altezza della sua storia e delle sfide odierne? Perché non bastano le sfilate di Monica Bellucci al Festival del cinema di Roma a risolvere un problema ormai trentennale e ci vorrebbe un coraggioso bagno di umiltà, la volontà sincera di capire sino in fondo le cause della malattia del nostro cinema, un medico insomma, capace di mettere mano al ‘bisturi’ senza pietà. Ma Veltroni non è affatto l’uomo adatto a far questo, poiché l’intrattenitore ‘buonista’ che è in lui detesta riconoscere le difficoltà o ammettere i fallimenti. L’ideologia ‘veltroniana’ si fonda sul successo sempre e comunque: se i fatti smentiscono i sogni, meglio una fuga nel virtuale che un bagno nel reale. Ma tant’è: il riconoscimento dei propri errori, secondo Walter non è il modo giusto di affrontare un problema, ma semplicemente un volersi ‘fare del male’ a tutti i costi.


Lascia il tuo commento

Antonio Di giovanni - Roma - italia - Mail - venerdi 24 agosto 2007 13.0
Egregio Sig. Terenziano, apprezzo molto il fatto che abbia concordato sulla veridicità della mie parole.
La mia faziosità, se cosi Lei la vuol definire, è alimentata dal profondo amore che nutro per questa meravigliosa Capitale.
Ed è proprio l'amore che nutro per essa, che mi spingerà a dire altre verità, pur sapendo di rischiare sempre di più di essere tacciato per fazioso.
Grazie per il suo commento. ADG
Terenziano - Viterbo - Mail - martedi 7 agosto 2007 14.15
Per scrivere scriverai anche bene caro il mio Antonio Di Giovanni! E non posso certo contestare la veridicità del contenuto dell'articolo ma una cosa si evince su tutte: FAZIOSO...sei stato fin troppo fazioso.


 1