Al
Teatro Dafne di
Ostia (Rm), la compagnia
‘Theatrica’ ha proposto nei giorni scorsi la tragicommedia di
Simone Consorti intitolata
‘Il treno delle 8.05’, per la regia di
Francesca Frascà, eccellente attrice teatrale
italo-greca che, questa volta, si è cimentata alla direzione con buon impegno e risultato. La trama di questo lavoro è la seguente:
tre personaggi s'incontrano casualmente su un
binario apparentemente ‘morto’, dove però un treno passa tutti i giorni. Quel giorno, in particolare, c'è qualcosa di strano nell'aria: per uno dei tre, un uomo vissuto ma tutt'altro che maturo, è il
treno del suicidio; per la seconda, una
ragazza che deve salvare la mamma, si tratta dell'unico mezzo per arrivare in tempo a procurarsi un
medicinale salvavita. Il treno è in ritardo e c’è uno sciopero. Anzi uno sciopero, più un altro
suicidio, avvenuto in una fermata precedente. Quell'atto inconsulto ha salvato la vita
dell'aspirante suicida, ma potrebbe condannare la
madre della ragazza. Il terzo personaggio, infine, è
l'ex fidanzato di lei, che stava iniziando la sua normale giornata ma che, rivedendola, improvvisamente capisce che non può più vivere senza di lei. Inizia così questo
atto unico in pieno stile Ionesco, dove i temi del
senso della vita, dell'abbandono, della
vecchiaia, della
casualità e della
(mancanza di) volontà vengono declinati in una
‘chiave’ surreale, grottesca, con un
ritmo serratissimo e rimandi
cinematografici e
letterari. Con una
scenografia esclusivamente composta dal
binario ferroviario, dalle
banchine/piedistallo e da un
orologio a muro a forma di
Luna piena, il risultato complessivo è una sorta di versione comica di
‘Anna Karenina’ parcellizzata in più figure, richiamando a tratti
l’edizione short di
‘Dieci piccoli indiani’, benché in questo caso i personaggi in scena fossero solamente tre. Il
ritmo che la
regia ha saputo comunicare agli attori e, di riflesso, agli spettatori, è stato
l’ingrediente segreto di questa messa in scena, che si è dipanata
di equivoco in equivoco, benché il contesto di sfondo fosse tutt’altro che
leggero. Un
teatro dell’assurdo godibile anche per un
pubblico ‘medio’, solitamente distante da
richiami e
decodificazioni intellettuali, tipiche di questo genere, che ha trovato la sua espressione anche in un momento di
biomeccanica teatrale grazie al bravo
Daniel Plat. Accattivante.