Cristina PerettiAl Teatro Dafne di Ostia (Rm), la compagnia ‘Theatrica’ ha proposto nei giorni scorsi la tragicommedia di Simone Consorti intitolata ‘Il treno delle 8.05’, per la regia di Francesca Frascà, eccellente attrice teatrale italo-greca che, questa volta, si è cimentata alla direzione con buon impegno e risultato. La trama di questo lavoro è la seguente: tre personaggi s'incontrano casualmente su un binario apparentemente ‘morto’, dove però un treno passa tutti i giorni. Quel giorno, in particolare, c'è qualcosa di strano nell'aria: per uno dei tre, un uomo vissuto ma tutt'altro che maturo, è il treno del suicidio; per la seconda, una ragazza che deve salvare la mamma, si tratta dell'unico mezzo per arrivare in tempo a procurarsi un medicinale salvavita. Il treno è in ritardo e c’è uno sciopero. Anzi uno sciopero, più un altro suicidio, avvenuto in una fermata precedente. Quell'atto inconsulto ha salvato la vita dell'aspirante suicida, ma potrebbe condannare la madre della ragazza. Il terzo personaggio, infine, è l'ex fidanzato di lei, che stava iniziando la sua normale giornata ma che, rivedendola, improvvisamente capisce che non può più vivere senza di lei. Inizia così questo atto unico in pieno stile Ionesco, dove i temi del senso della vita, dell'abbandono, della vecchiaia, della casualità e della (mancanza di) volontà vengono declinati in una ‘chiave’ surreale, grottesca, con un ritmo serratissimo e rimandi cinematografici e letterari. Con una scenografia esclusivamente composta dal binario ferroviario, dalle banchine/piedistallo e da un orologio a muro a forma di Luna piena, il risultato complessivo è una sorta di versione comica di ‘Anna Karenina’ parcellizzata in più figure, richiamando a tratti l’edizione short di ‘Dieci piccoli indiani’, benché in questo caso i personaggi in scena fossero solamente tre. Il ritmo che la regia ha saputo comunicare agli attori e, di riflesso, agli spettatori, è stato l’ingrediente segreto di questa messa in scena, che si è dipanata di equivoco in equivoco, benché il contesto di sfondo fosse tutt’altro che leggero. Un teatro dell’assurdo godibile anche per un pubblico ‘medio’, solitamente distante da richiami e decodificazioni intellettuali, tipiche di questo genere, che ha trovato la sua espressione anche in un momento di biomeccanica teatrale grazie al bravo Daniel Plat. Accattivante.





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