Alcune sere fa, la professoressa
Donatella Di Cesare, docente di
Filosofia teoretica all’Università ‘La Sapienza’ di
Roma, ospite a
‘Di martedì’, la trasmissione condotta da
Giovanni Floris sulle frequenze de
‘La7’, non ha saputo spiegare la differenza tra
'marxismo' e
nazionalsocialismo: si è confusamente perduta nell’affermare, un po’ vagamente, che si tratta di
"due visioni ben distinte del mondo". Fino a lì, ci arrivavano tutti. Ma da una
docente universitaria ci attendevamo
qualcosa di più. Per esempio, che chiarisse come il
'marxismo' sia una filosofia che discende
dall'hegelismo, mentre il
nazionalsocialismo è un semplice
‘metodo gerarchico’, imperniato attorno al
razzismo e alla
superiorità della razza ariana su tutte le altre.
Adolf Hitler stilò persino una
classifica delle razze, nel suo
'Mein Kampf'. Un testo nel quale noi
italiani non siamo neanche ben posizionati. Il
nazionalsocialismo non era un regime di
Stato di polizia, o una
dittatura militare come il
fascismo, ma un vero e proprio
‘delirio razziale’, in cui
Alfred Rosenberg cercò di mettere ordine perché a
Hitler uscivano frasi tutte
scollegate tra loro e non si riusciva a formare un
corpo unico dottrinario.
Rosenberg allora s'inventò la figura del
"soggetto atomico privato", cioè una forma di
superomismo ariano dove tutti dovevano rispondere a un
capo, trasformato in una sorta di
divinità. Niente a che vedere con il
singolo cittadino che regola i propri comportamenti secondo
diritti e
doveri, al fine di liberarsi dalle proprie
catene, come nel
liberalismo classico: non ci sono
diritti nel
nazismo, ma solo
doveri. Il
'marxismo', a sua volta, si basa sulla
dittatura di una classe, il
proletariato, su tutte le altre. E’ una filosofia modellata intorno a
un’organizzazione collettiva del lavoro, che impone la
dittatura delle
maestranze. Non è una semplice
"visione della Storia", come ha detto la
professoressa Di Cesare: quello è il versante
culturale e
storiografico, che andrebbe anche bene. E' l'impostazione
economica a essere sbagliata, perché il leader non può
azzeccarle tutte. Il
'marxismo' è fondamentalmente un
'hegelismo' ribaltato, che parte dalla
struttura per arrivare alla
sovrastruttura, rinunciando alla
libertà e a ogni forma di autonomia del singolo individuo. Si tratta, in ambedue i casi, di
ideologie aberranti. Il
'marxismo' resta valido come
visione della Storia, poiché fornisce una
'chiave di lettura' del passato:
"Un ottimo paio di occhiali", era solito commentare
Benedetto Croce. Ma la ricetta sul futuro, cioè
l’economia pianificata, va nella direzione sbagliata, poiché tende a creare un altro
'Leviatano' pachidermico e iperburocratizzato
- lo Stato - il quale, alla lunga, non regge il confronto con altri modelli più
'snelli' e maggiormente
agili, in cui la
libertà d’intrapresa possa incidere
correggendo - o addirittura innovando - i vari metodi di produzione e di gestione aziendale. C'è un
esempio classico dei problemi economici prodotti dal
'marxismo': una vicenda realmente accaduta in
Unione sovietica con la produzione in massa di una linea di
motociclette rosse, durante gli anni
dell’industrializzazione forzata. Esse ebbero successo e tutti le acquistarono. Allora
l'Urss decise di
raddoppiare la produzione, tentando di piazzare sul mercato interno anche quelle
nere, a fianco di quelle
rosse. Ma le
motociclette nere rimasero
invendute, producendo una
perdita clamorosa, che non venne riassorbita neanche dalla vendita di quelle
rosse, di cui il mercato era ormai
saturo. Cosa ci spiega questo episodio? Semplicemente, che
Karl Marx era un
economista classico, alla
Ricardo, il quale non aveva fatto altro che riproporre lo schema dei
rendimenti decrescenti: una legge econometrica generalmente applicata alla
produzione agricola, che in campo industriale corrisponde alla
caduta tendenziale del saggio di profitto. In pratica, in economia è meglio avere
concorrenza, anziché un regime di
monopolio dello Stato, il quale può solo ricoprire un ruolo di
regolamentazione della concorrenza stessa, combattendo quella
sleale e
sottocosto, che comprime i diritti dei
lavoratori. Al contrario, produrre in regime di
concorrenza imperfetta (quella perfetta non esiste, ndr), oltre ad abbassare i
prezzi delle merci, rappresenta quell’elemento di
‘svolta’ in grado di dare risposte
diversificate, imperniate anche su criteri di
gusto e di
prestazione del prodotto finito, dunque sulla
qualità. Ed ecco come si arriva al
rapporto qualità/prezzo, inteso nel vero senso matematico della questione. La
quantità materiale, il mero
pragmatismo del
monopolio di Stato, una volta soddisfatti i bisogni primari tende a
ridurre i profitti e non consente di diversificare, anzi di
'differenziare', la produzione. Cosa che, invece, un regime composto da tante
aziende medio-piccole può fare. E' il vero grande limite delle
ideologie totalitarie, di tutte le ideologie totalitarie: la pesantezza dei
modelli statalisti fortemente
centralizzati, che rende la produzione poco
dinamica, lentissima, scarsamente innovativa. Tutto ciò avviene anche nei modelli imperniati attorno
all’oligopolio differenziato, cioè nei nostri
sistemi ‘misti’ mittle-europei. Proprio per questi motivi, le critiche mosse
all’Unione europea sono poco motivate: è la
globalizzazione a essere diventata un
sistema schiacciante, poiché crea
barriere di entrata sui mercati limitando fortemente la
concorrenza, oltre a riproporre la consueta
compressione del
costo del lavoro. Anche la
globalizzazione ha fallito. E adesso c'è la tentazione a
tornare indietro, verso i
modelli nazionalisti e
statalisti tradizionali. Sbagliando ulteriormente, perché l'operazione da fare, soprattutto di fronte ai
cambiamenti climatici, è una
riconversione macroeconomica, non
politico-ideologica. Le
ideologie, ormai, c’entrano ben poco. Anzi, detto brutalmente, esse
non esistono più: sono diventate dei meri
ectoplasmi, fuoriusciti dal
‘corpo’ di ogni
modello industriale possibile o immaginabile. In finale: le
ideologie sono morte, tutte quante. Compreso
l’oligopolio differenziato; compresa la
globalizzazione. Ed è perfettamente inutile sostituire un
fantasma con un altro
fantasma.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale Giustappunto!, pubblicata su www.gaiaitalia.com)