Vittorio LussanaNegli anni ’80 del secolo scorso non c’erano gli smartphone. Ma ci si divertiva lo stesso, anche senza farsi il ‘selfie’, il quale in realtà rappresenta un elemento ‘pop’ che mal si accorda con determinate logiche deontologiche e di professionalità. Se ci si fa un ‘selfie’ con un vip, il giornalista decide di occupare parte della scena. In sostanza, entra in ‘campo’, senza mostrare alcun riguardo per il personaggio portatore di notizie. In questi casi, il giornalista è solo un reporter e dovrebbe fare un passo indietro. Nel giornalismo radiotelevisivo, al contrario, si è costretti ad apparire, a causa delle diverse esigenze di conduzione. E si finisce in campo per forza. Ma ciò non significa che l’intervistato diventi un amico di famiglia, facendo perdere qualità al proprio servizio giornalistico. E’ quindi buona cosa mantenere una giusta distanza, anche nei casi di evidente empatia umana. I ruoli devono rimanere distinti, insomma, al fine di non perdere credibilità professionale. Ciò significa che l’infotainment degli anni ’80 è stato all’origine dell’esplosione di tutta questa attuale autoreferenzialità: erano gli anni dell’edonismo, della voglia di affermarsi e apparire. Ed era l’era in cui si diffusero i primi computer, i giochi elettronici materialmente dentro casa, i compact disk e i primi canali televisivi commerciali. Dilagava il consumismo e, fra le tante mode, fece un certo clamore l’avvento delle fotografie istantanee. Non c’era più bisogno che qualcuno sviluppasse le immagini impresse su una pellicola dentro una camera oscura: esse apparivano per conto loro. E le prime Polaroid, che oggi fanno quasi sorridere per la loro tecnologia ‘vintage’, si diffusero capillarmente. Esse vennero definitivamente ‘sdoganate’ da Sidney Lumet, che in una scena del film ‘Il verdetto’, una pellicola che nel 1982 fece incetta di riconoscimenti e premi Oscar, mise tra le mani di Paul Newman proprio una Polaroid, al fine di fotografare la propria assistita in un processo. In quella scena venne posto un tema ben preciso: la funzione della fotografia, che stava cambiando. Il personaggio interpretato da Paul Newman, l’avvocato Frank Galvin, nell'atto di fotografare i danni subiti dalla sua assistita, prende coscienza del proprio ruolo professionale. La Polaroid non serviva a chiedere più soldi durante un contezioso di malasanità, ma faceva apparire chiaramente, secondo per secondo, il danno che una povera partoriente aveva subito per un’evidente negligenza medica. La funzione della fotografia era, dunque, mutata: usciva dal territorio delle culture contrattualiste ed entrava nel campo di quelle umaniste, che ponevano problemi etici molto precisi. Quello era il messaggio che Sidney Lumet cercò di fornire allo spettatore: il progresso tecnologico dev’essere utilizzato nel modo giusto. E le culture umaniste devono poter accompagnare lo sviluppo: è questo il tema che dobbiamo affrontare con urgenza, innanzi all’avvento dell’intelligenza artificiale. Ci dobbiamo far trovare pronti con norme e strumenti di fronte all’avanzamento tecnologico, non negarlo di sana pianta. E’ un atteggiamento puerile e antipolitico, quello di respingere il progresso. Così facendo si rischia solamente di favorire un ‘positivismo piatto’, la mera esaltazione di una modernità priva di regole. Stessa cosa vale per le tematiche ambientali relative al cambiamento climatico, o lo sviluppo di nuove tecniche per curare il cancro e altre gravi patologie. Insomma, demonizzare il progresso non serve a nulla e, anzi, favorisce un dispiegamento distorto dello sviluppo tecnologico, che lo rende funzionale unicamente a se stesso. Ed è per questo motivo che facciamo nostre le parole del collega Enrico Mentana, in merito alle notizie provenienti dalla casa farmaceutica Moderna: “Oltre ad averci permesso di fronteggiare la pandemia di Covid 19, i vaccini a Rna messaggero aprono la strada verso altri vaccini che ci potranno preservare dai tumori e da tante altre malattie. Per i ‘No vax’ è la più rosea delle sconfitte: saranno salvati proprio da quel preparato che tanto hanno combattuto e dalle aziende che lo hanno prodotto. Hanno augurato la morte a chi si vaccinava: auguriamo anche a loro una lunga vita”. A piccole dosi.




Direttore responsabile di www.laici.it

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