A
4 anni dalla pubblicazione del suo ultimo libro,
Alessandro Mascè torna nelle librerie con il romanzo autobiografico:
‘Le case dai tetti rossi’ (Fandango Libri). Il testo si presenta come un
dialogo a più voci, impegnate a ricostruire una narrazione corale di uno spazio pubblico molto particolare:
l’ex manicomio di Ancona. La morte dei
nonni materni ha riportato l’autore nei luoghi della sua infanzia e costituisce un’occasione per raccontare la città di
Ancona a partire da un dettaglio urbanistico. Grazie alla guida illuminata del
primario Lazzari, personaggio di invenzione liberamente ispirato al
dottor Emilio Mancini, i
‘tetti rossi’ non erano già più un
luogo di segregazione già prima del
1978, anno cruciale per la storia della
psichiatria. La politica recepisce la lezione di
Basaglia, che in qualche modo precede l’entrata in vigore della legge che ha portato alla
chiusura dei manicomi in Italia: l’ospedale psichiatrico si stava trasformando in un luogo di
inclusione. La struttura era popolata da
prostitute, ossessivo-compulsivi, paranoici, sbandati, ma anche da persone leggermente
devianti, in qualsiasi modo e forma possibile. In seguito allo studio delle vecchie cartelle cliniche degli ospiti del
manicomio, lo scrittore dipinge un
panorama umano molto
variegato. Entra quasi in punta di piedi nelle
vite spezzate di uomini e donne che hanno abitato
"le case dai tetti rossi". Descrive il loro
mondo psichico con
pennellate delicate, sottolineando le luci e accennando appena alle ombre, evocando odori, sapori e consistenze tattili, senza rischiare di essere
morboso. Tutto questo senza mai nascondere i
rischi che
l’approccio di Basaglia avrebbe comportato.
Suor Germana è colei che esprime
dubbi sul fatto che la
società potesse essere
pronta all’apertura del manicomio. Nonostante non fosse lontano dal centro del
capoluogo delle Marche, l’ospedale psichiatrico era un
tabù dalle dimensioni di un piccolo villaggio: un
microcosmo autonomo da ignorare. L’abbattimento della barriera fisica tra
l’ospedale e la
città, tra il
malato e il
sano, tra il
deviante e il
normale, sembra non essere stato un problema solo di una
società che doveva imparare a convivere con quelle
soggettività che, da circa un secolo, vivevano recluse ai
margini. Non tutti i degenti hanno considerato l’abbattimento della
barriera della detenzione come la fine di una prigionia.
'Le case dai tetti rossi' è un racconto che pone al lettore
questioni difficili, senza la pretesa di appianare ogni dubbio. L’unica
certezza incrollabile è che si può fare molto con
pazienza e
dedizione, anche portare
bellezza in un luogo di detenzione come un
manicomio. Esattamente come fa il custode e giardiniere
Arduino. Insomma, un buon libro su un argomento delicato, che ha il merito di descrivere con sguardo non ideologico, al doloroso 'pozzo' delle malattie mentali.