Emanuela ColatostiA 4 anni dalla pubblicazione del suo ultimo libro, Alessandro Mascè torna nelle librerie con il romanzo autobiografico: ‘Le case dai tetti rossi’ (Fandango Libri). Il testo si presenta come un dialogo a più voci, impegnate a ricostruire una narrazione corale di uno spazio pubblico molto particolare: l’ex manicomio di Ancona. La morte dei nonni materni ha riportato l’autore nei luoghi della sua infanzia e costituisce un’occasione per raccontare la città di Ancona a partire da un dettaglio urbanistico. Grazie alla guida illuminata del primario Lazzari, personaggio di invenzione liberamente ispirato al dottor Emilio Mancini, i ‘tetti rossi’ non erano già più un luogo di segregazione già prima del 1978, anno cruciale per la storia della psichiatria. La politica recepisce la lezione di Basaglia, che in qualche modo precede l’entrata in vigore della legge che ha portato alla chiusura dei manicomi in Italia: l’ospedale psichiatrico si stava trasformando in un luogo di inclusione. La struttura era popolata da prostitute, ossessivo-compulsivi, paranoici, sbandati, ma anche da persone leggermente devianti, in qualsiasi modo e forma possibile. In seguito allo studio delle vecchie cartelle cliniche degli ospiti del manicomio, lo scrittore dipinge un panorama umano molto variegato. Entra quasi in punta di piedi nelle vite spezzate di uomini e donne che hanno abitato "le case dai tetti rossi". Descrive il loro mondo psichico con pennellate delicate, sottolineando le luci e accennando appena alle ombre, evocando odori, sapori e consistenze tattili, senza rischiare di essere morboso. Tutto questo senza mai nascondere i rischi che l’approccio di Basaglia avrebbe comportato. Suor Germana è colei che esprime dubbi sul fatto che la società potesse essere pronta all’apertura del manicomio. Nonostante non fosse lontano dal centro del capoluogo delle Marche, l’ospedale psichiatrico era un tabù dalle dimensioni di un piccolo villaggio: un microcosmo autonomo da ignorare. L’abbattimento della barriera fisica tra l’ospedale e la città, tra il malato e il sano, tra il deviante e il normale, sembra non essere stato un problema solo di una società che doveva imparare a convivere con quelle soggettività che, da circa un secolo, vivevano recluse ai margini. Non tutti i degenti hanno considerato l’abbattimento della barriera della detenzione come la fine di una prigionia. 'Le case dai tetti rossi' è un racconto che pone al lettore questioni difficili, senza la pretesa di appianare ogni dubbio. L’unica certezza incrollabile è che si può fare molto con pazienza e dedizione, anche portare bellezza in un luogo di detenzione come un manicomio. Esattamente come fa il custode e giardiniere Arduino.
Insomma, un buon libro su un argomento delicato, che ha il merito di descrivere con sguardo non ideologico, al doloroso 'pozzo' delle malattie mentali.





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