Le
festività pasquali sono d’ispirazione per delle riflessioni non tanto religiose, quanto esistenziali. Duemila anni fa, il
Figlio dell’Uomo è stato torturato e ucciso in modo atroce, da coloro che egli era venuto a salvare. Il
“sacrificio per salvare l’umanità dal peccato” è una frase ricorrente nelle omelie religiose. Peccato che questo sacrificio si sia rivelato
vano. A venti secoli dalla morte di
Gesù di Nazareth, l’umanità è allo sbando più totale e per salvarci non basterà il
Figlio di Dio, questa volta, ma
Dio in persona. Oggi si riconosce il
Cristo nel
diverso, l’emarginato, il
diseredato. Ogni volta che un bambino muore di stenti, di fame o viene abusato,
Gesù muore ancora e ancora. E in tutto il tempo che è passato da quella
Pasqua ebraica, gli uomini non hanno ancora compreso che solo l’amore può salvare l’umanità.
Gesù venne condannato a morte perché la
paura di cambiare è qualcosa che impedisce di essere lucidi nel
giudicare. Un uomo come il
Nazareno parlava di amore e di uguaglianza. E si era
autoproclamato monarca di un regno che non era
terreno: questo è bastato per essere
denunciato e
condannato a morte. In realtà, nessuno temeva che egli fosse il
Figlio di Dio. Allora come oggi, la figura di
Dio è assente, presenzia solo alle
messe dei vespri quando gli anziani, timorosi del loro possibile
trapasso, recitano il rosario sperando nella
salvezza della loro anima. Era il
potere terreno che veniva
associato a un uomo a fare paura, perché
agitava le masse e le spostava lungo la
Galilea. Ma il potere che aveva
Gesù era quello di condurre gli uomini
all’amore. Egli non si interessò mai di
politica, ma per capire la sua morte è dal contesto storico che bisogna partire.
I farisei sono ancora tra noiLa
casta sacerdotale, ai tempi di
Gesù, pensava più ai
denari che alle anime da salvare. E la posizione di
Gesù, che tentava con le sue parole di sovvertire le regole, faceva temere loro di
perdere il potere e le posizioni strategiche nei rapporti con i dominatori romani.
“I Farisei”, ossia gli
ipocriti, come lui stesso definiva apertamente i sacerdoti del
Tempio di Gerusalemme, sono una
casta che non si è mai
estinta, sempre pronti a tradire e colpire chiunque alle spalle. E purtroppo, sono sempre i più
deboli a cadere sotto i loro inganni. Lo vediamo ogni giorno, sui barconi di
disperati che attraversano il
Mediterraneo con la speranza di salvarsi da una
vita tragica, che finiscono col
perderla del tutto; nella condizione delle
donne in
Iran e in
Afghanistan, che muoiono perché vogliono essere più
libere; nei
bambini in
Africa costretti a imbracciare i fucili per fare delle guerre che non dovrebbero neanche esistere. Il
Figlio dell’Uomo è morto per salvarci da tutto questo. Eppure, noi non siamo salvi. O forse, non ci sappiamo salvare, nonostante i suoi insegnamenti.
La resurrezione: simbolo dell’uomo nuovo Con la parabola del chicco di grano, Gesù ci ha insegnato che la morte terrena è solo un passaggio verso la vita eterna. Ma la sofferenza che ancora tante vite umane devono sopportare ogni giorno è un qualcosa che ci fa perdere la speranza in un mondo migliore. E quella resurrezione, che è il simbolo della Pasqua cristiana, stenta a farsi strada negli animi di quanti non hanno più nulla da far germogliare nel loro cuore. Quell’uomo nuovo che il Nazareno voleva forgiare, deve prendere coscienza che questo mondo è mera apparenza, mentre il regno dei cieli potrebbe manifestarsi se solo aprissimo il nostro cuore.