Il
Governo Meloni - nello specifico, il ministro dell’Agricoltura,
Francesco Lollobrigida e quello della Salute,
Orazio Schillaci - intende vietare, tramite un disegno di legge, la produzione e la vendita in
Italia di
carne sintetica, cioè prodotta in laboratorio da cellule animali. La norma, in particolare, parla di un
divieto alla produzione e
all’immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici, ovvero prodotti da
colture cellulari o da tessuti derivanti da animali. Una decisione che giudichiamo
velleitaria, poiché si tratta di una ricerca ancora in
fase sperimentale, rispetto alla
farina di grilli e alle altre novità recentemente approvate dal
parlamento europeo. Insomma, si tratta di una normativa la cui
‘ratio’ è rappresentata da una sorta di
principio precauzionale molto
in anticipo sui tempi, che prende le mosse da un
provincialismo culturale evidente. In secondo luogo, essa rischia di lasciare indietro
l’Italia sul fronte della
ricerca, introducendo una
barriera d’entrata che potrebbe violare il
principio di concorrenza, tanto caro a
Bruxelles. Infine, questo tipo di prodotti non sono pensati, né indirizzati, principalmente,
verso i nostri mercati. Gli esperimenti in tali tecnologie hanno la finalità di combattere gli
allevamenti intensivi, che producono
inquinamento e favoriscono
l’incubazione di nuove pandemie. Infatti, le
cattive condizioni igieniche, il
sovraffollamento eccessivo e
ravvicinato dei
capi animali e il loro posizionamento strutturale in zone sempre più vicine ai centri abitati, oppure in
aree incontaminate, dunque popolate da animali portatori di
virus sconosciuti, favoriscono la diffusione di
patologie caratterizzate da forme di
contagio rapidissime, che rendono relativamente facile lo
‘spillover’ nell’uomo, come già accaduto
almeno 4 volte dai tempi della prima
Sars a oggi. La
carne ‘coltivata’ rappresenta
un’alternativa concreta alla sovrapproduzione, soprattutto
asiatica, di
carne vera e propria, la quale comporta anni di
allevamento e si conclude con
l’uccisione di animali. Invece, un’innovazione del genere potrebbe
variare la produzione, consentendo un
robusto risparmio di risorse e di
acqua. Inoltre, essa risulta già
autorizzata in varie parti del mondo, senza alcun problema per la
salute umana. E nel suo settore di produzione operano già
25 Paesi. Vietarla per principio, potrebbe tradursi in una
scelta miope, oltreché
illiberale. Anche perché, qui da noi, difficilmente avrebbe conquistato
ampie fette di mercato, se non dopo
decenni. Quella del
ministro Lollobrigida, insomma, è una scelta dettata da questioni di
visibilità politica: un
ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare deve far vedere che anche lui sta
‘combinando’ qualcosa. Ma si tratta di una
crociata inutile, perché la competenza ad autorizzarne il consumo spetta
all’Agenzia europea per la Sicurezza alimentare - che ha sede a
Parma - e alla
Commissione europea. Insomma, la domanda sorge spontanea: ma chi ve l’ha chiesto di legiferare su tali settori?
Che urgenza c’era? E quali rischi comportava per il
consumo interno dell’Italia? Ovviamente,
nessuno.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale Giustappunto! pubblicata sul sito web www.gaiaitalia.com)