Vorremmo far cortesemente presente al ministro della Pubblica Istruzione e del Merito,
Giuseppe Valditara, che una
preside di Liceo è
un'impiegata di concetto, non una
bidella. E che quando si parla della
cultura di un popolo non si fa riferimento esclusivo alla sua
‘intellighenzia’, né al patrimonio di
tradizioni popolari di operai e contadini, né tantomeno al
nazionalismo di
Gioacchino Volpe, Gabriele D’Annunzio o
Giovanni Gentile. La
cultura di una
nazione corrisponde a una
media ponderata tra queste nostre ricchezze. Se il
ministro della Pubblica Istruzione non dice nulla
sull’assalto squadrista avvenuto a
Firenze, una
preside diviene competente eccome, per lo meno
per la sua scuola. La sua
circolare è
formalmente legittima. E laddove ha citato
Antonio Gramsci, lo ha fatto per sottolineare
l’indifferenza dei tanti rispetto a un fenomeno storico, il
fascismo, che s'impose con la
violenza e la
sopraffazione. Anche per non avere
disordini e
faide dentro la sua scuola, in una situazione che rischia di creare una
guerra per bande e
vendette varie. Insomma, se
l’egregio signor ministro desiderava un
intervento neutro, avrebbe dovuto farlo
lui stesso, in prima persona. Una
preside ha tutto il diritto ad avere le sue idee, poiché il suo ruolo non è quello di
un’esecutivista. Il suo incarico non è
puramente tecnico: ha un contratto da
funzionario di prima fascia, da
dirigente scolastico. Dunque, lasciamogliela dirigere questa scuola, per piacere. Non c’è niente da fare:
a destra stanno in
‘fissa’ con le
gerarchie. La
pedagogia 'gentiliana', per esempio, si basa
sull'autoeducazione e sul
nutrimento culturale, ponendo al centro del processo educativo
l’apprendimento degli alunni, non un ordine
puramente formale, da
caserma. Poi, quando si chiede loro di partecipare a una
battaglia come quella contro un
virus, fanno gli
imboscati libertari. Tutto al contrario, praticamente. Solo per il gusto di dividere la gente. La
cultura di un popolo non sempre è riconoscibile, sotto il profilo
antropologico. Ciò produce una lunga serie di conseguenze pratiche. Per molto tempo, le nostre
culture hanno proposto una serie di
‘valori’ storicamente
distinguibili tra loro. Ma questo genere di
‘distinzioni’ hanno dovuto cedere il passo a un processo di
omologazione mediatica, che non ha realizzato affatto l’ideale di un
‘nuovo’ potere, bensì quello
più ‘vecchio’ possibile. A molti potrà sembrare paradossale tale concetto: un
nuovo potere che ne realizza uno talmente
vecchio, che nessuno riesce a
riconoscerlo. Proviamo allora ad analizzare alcune caratteristiche di questo
nuovo/vecchio potere: a) il suo rifiuto ad ammettere che possano esistere metodologie democratiche di governo rispettose e, al contempo, efficaci riguardo al valore della
diversità; b) un
clericalismo controriformista, che scambia alcune tematiche di
difesa delle minoranze come forma di
edonismo sociale, tendente a diffondere
stereotipi ‘gender fluid’. Perché chi vive di
stereotipi idealtipici, pensa che
anche gli altri li producano e li vogliano
diffondere, secondo una logica
omologativa che si richiama anch’essa
all’Italia da caserma; c) la
determinazione mediatica nel voler
‘appiattire’ tutti i cittadini su un
modello ‘statico’ di società, annullando ogni
dinamica di
evoluzione civile e
sociale. Questo
nuovo/vecchio potere attribuisce a se stesso alcuni tratti
‘moderati’, sulla base di
un’ideologia sostanzialmente
‘edonista’, che mantiene nel proprio seno numerosi elementi
autoritari. La sua
tolleranza, quando c’è, è
falsa, poiché in realtà nasconde una fredda e calcolata determinazione a
preordinare ogni cosa. Dunque, questo
nuovo/vecchio potere altro non è che una forma modernizzata di
fascismo, che pone tutto e tutti sul medesimo piano, strumentalizzando anche le idiozie più degeneri e indegne. Esso non getta via niente di ciò che può
tornargli utile: le
imprecazioni contro uno
scrittore scomodo; le
percezioni subliminali di
‘forza formale’ che si determinano nei
dibattiti televisivi, durante i quali sembra aver ragione chi urla più forte, chi esprime la battuta più efficace, chi riesce a farsi giuoco non solamente dei
torti della controparte, ma anche delle sue
ragioni. Insomma, questo
nuovo/vecchio potere non seleziona un bel niente e gli sta bene tutto: dal bianco al nero, dal giorno alla notte, dal sole alla luna, dal
qualunquismo populista al
classismo borghese. Tale processo si chiama, per l’appunto,
‘omologazione’. La parola mantiene in sé un fondamento
repressivo, di integrazione forzata, di adesione incondizionata a un
modello monocorde, interamente rivolto all’oggi. Come quelle
‘tardone’ che lottano disperatamente contro il tempo che passa e quelle
rughe che, immancabilmente, sorgono sui loro volti. Non è più
l’edonismo ‘reaganiano’ un po’ ingenuo del socialismo della
‘Milano da bere’ e della
‘Roma di notte’: una sorta di
‘joie de vivre’ di discendenza televisiva e commerciale. No: si tratta di un
fascismo che non
distingue mai nulla, che non incarna alcun
progetto, privo di una qualsiasi
idea di società e che non è più nemmeno
retorico, nella sua essenzialità umanistica, poiché è divenuto un qualcosa di
gretto, pragmatico, interamente rivolto alla prassi. Non c’è nessun
sentimento, alcuno
spirito, in tutto quello che insegna: tutto si riduce a
puro meccanismo, alle
comodità corporali e al mero
possesso delle cose. Una
piattezza logica le cui finalità corrispondono alle sue stesse metodologie: quelle, appunto, di
un’omologazione priva di contenuti, che vorrebbe costringerci a una strana forma di
‘ninfomania psichiatrica’, in cui ogni atto deve essere compiuto
per il semplice gusto di farlo. Si tratta di un
paradosso che ha origine dalla negativa funzione mediatica svolta dalla
televisione e dalla mancata regolamentazione del suo mercato. Per dirla tutta: ha origine da colpe ed errori ascrivibili anche alla
cultura progressista, che non ha voluto comprendere come questo genere di
impulsi ‘generalisti’ spingessero l’intera collettività a
sbandare da un capo all’altro di ogni suo problema, rimodulando e ripresentando le più consuete
contraddizioni tra teoria e prassi, tra cause ed effetti, tra atti e fatti, senza mai riuscire a trovare soluzioni definitive ed efficaci. In questo
potere paradossale, se non
surreale, non esiste alcuna
distinzione. Anzi, dell’ormai antico
‘nesso crociano’ non se ne conosce nemmeno la possibilità di utilizzo in quanto
strumento analitico. Al contrario, con la forza dei propri mezzi di
disinformazione, questo
nuovo/vecchio potere pretende di poter negare ogni genere di confronto. E si sottopone a
interviste ridicole, caratterizzate solamente da
domande di ‘sponda’. Non puoi porre
questioni incalzanti, ma una serie di
‘scope’, servite appositamente per fargli fare
carte, ori, primiera e
settebello. Insomma, stiamo parlando di uno
spaventoso tracollo verso la più totale
‘inculturazione’, che dimostra
lacune abissali su quanto storicamente accaduto e non possiede gli
strumenti per comprendere e interpretare nulla di ciò che accade. Un
‘revanchismo’ provinciale e
piccolo borghese completamente
‘scollato’ dalla società e dal mondo reale, che tende a
colpevolizzare il
primo che passa, o la
prima preside che ha il coraggio di prendere in mano
carta, penna e
calamaio per provare a gettare un po’ di
acqua sul fuoco e stemperare una
rissa tra ragazzini.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale GIUSTAPPUNTO!, pubblicata su www.gaiaitalia.com)