Caterina Di PerriÈ successo mentre il mondo era sconvolto dall’attacco alle Torri gemelle. In modo silenzioso, la Cina, che già prima di quella data aveva iniziato a siglare accordi commerciali anche in Europa, ha cominciato l’invasione dell’Africa. Lo ha fatto in modo intelligente, questo bisogna riconoscerlo. Senza ingerenze nella politica interna dei vari Stati africani, dove è riuscita a insinuarsi nell’ultimo ventennio. Questa mossa è stata proprio strategica, condita con un mix tra aiuti umanitari ed economici. Le multinazionali sono arrivate anche nei Paesi più disastrati dell’Africa sub-sahariana, dove guerre e carestie sono all’ordine del giorno, così come fame, malattie e morti. Ma il fatto di non interferire con i vari governi locali, che spesso sono regimi autocratici, diventa un punto di forza per arricchirsi, sfruttando quelle risorse che non possono essere infinite in questo continente, bensì ‘diversificate’: finché si potrà ricavare profitto, anche la Cina, seppur con una veste diversa, da nuovo millennio, colonizzerà l’Africa a suo piacimento.

Il modello cinese in Africa

I pericoli, però, sono dietro l’angolo: il modello cinese è ancora peggiore di quello occidentale, perché è basato esclusivamente sul profitto a discapito di ambiente, risorse umane, diritti civili e politici. Come delle ‘cavallette’, le multinazionali cinesi potranno dare il colpo di grazia a quei Paesi la cui popolazione è già in ginocchio. Tutti gli Stati che interessano l’aria del Tigrey, devastati dalla recente guerra, sono interessanti per la Cina, che aveva già investito prima che scoppiasse il conflitto del 2020. In special modo l’Etiopia, per accordi di carattere politico, militare ed economico. Del resto, la dislocazione della regione di Adis Abeba nel Corno d’Africa è una condizione favorevole per il commercio e gli sbocchi che Pechino può ottenere in quei territori, soprattutto la via verso il canale di Suez. Si contano già 46 porti africani, costruiti in diversi Stati, finanziati o gestiti da compagnie cinesi. I quali, hanno donato 200 milioni di dollari per costruire la sede dell’Unione africana ad Adisa Abeba: un investimento che dovrà pur fruttare, in qualche modo, un ritorno per le casse cinesi. Ma non è solo l’Etiopia a fare ‘gola’ alla Cina: gli interessi sono ‘distribuiti’ anche in Angola, Gabon, Benin, Egitto, Kenya, Ruanda e Zambia. Ovunque si possa creare profitto, la Cina è presente. E durante la pandemia da Covid 19 c’è stata un’impennata di vendite e-commerce, grazie al settore tecnologico cinese. Il Paese del Dragone, inoltre, tra azioni pubbliche e private, risulta il più grande creditore estero rispetto alle nazioni della striscia sub-sahariana. Secondo alcune stime, solo nel 2020 il debito africano di 153 miliardi di dollari, contratto con la Cina sia da governi, sia da privati. Sempre nel 2020, i debiti sottoscritti con la Cina risultano del 29% nel settore trasporti, del 25% nel settore energetico, dell’11% nel settore estrattivo e dell’8% nel settore delle comunicazioni.

Lo spirito dell’Africa
In questo panorama neo-coloniale di nuova generazione, il nuovo ministro degli Esteri della Repubblica popolare cinese, Qin Gang, ha fatto la sua prima visita istituzionale in Africa. Il viaggio si è protratto dal 9 al 16 gennaio scorso. Il primato americano in Africa è venuto meno, così come quello dei vari Paesi europei che, a volte, facevano ancora la 'voce grossa' su raccolti e monocolture. Ma i capitali cinesi e la loro strategia di non ingerenza – apparente - nelle questioni interne dei partner africani, stanno facendo la differenza in luoghi dove l’arretratezza culturale siede nei posti di potere. Si potrebbe dire che l’Africa, ancora una volta, è in mano a chi vuole colonizzarla e depredarla, fino a strangolarla. Dalla ‘padella’, alla ‘brace’: la Storia si ripete. Volendo scomodare Hegel possiamo pensare che lo spirito di questo continente non è ancora giunto a comprendere chi esso sia veramente, ripetendo sempre le stesse tesi e antitesi, ma senza mai giungere a una sintesi consapevole. Pertanto, secondo la logica 'hegeliana', si manifesta ciò che deve manifestarsi. E l’Africa non è mai degli africani.





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