Nel corso della sua storia, il nostro pianeta ha visto scomparire molte delle
specie viventi a causa di improvvisi (in tempi geologicamente brevi) sovvertimenti degli
ecosistemi esistenti. Cambiamenti
dell’habitat naturale, sopravvento di altre
specie dominanti o altri eventi (dalle attività vulcaniche particolarmente intense, alle ipotesi sulla caduta di meteoriti) hanno rappresentato i fattori determinanti delle
5 estinzioni di massa oggi conosciute. Attualmente, stiamo purtroppo assistendo alla
sesta transizione biotica (estinzione di massa,
ndr) in cui, peraltro,
l’azione umana sembra svolgere un
ruolo determinante, come di recente sottolineato uno studio pubblicato su
‘Proceedings of the National Academy of Sciences’ (Pnas). Secondo i ricercatori, tra tutte le specie a
rischio estinzione (prevalentemente vertebrati), sarebbero
515, tra mammiferi, uccelli, rettili e anfibi, quelle che contano meno di mille esemplari viventi. Di queste, più della metà avrebbero
meno di 250 esemplari. La maggior parte dei mammiferi a rischio si conta in
Asia e
Oceania, mentre il maggior numero di specie volatili in pericolo viene individuato in
Oceania e
Sud America. L’ipotesi preoccupante che emerge dallo studio è che, entro il
2050, il tasso di estinzione potrebbe essere di
117 volte superiore a quello precedentemente stimato. Un incremento direttamente proporzionale al ruolo assolto dalle
attività antropiche, come il
commercio delle specie animali (spesso illegale), il
sovrasfruttamento delle risorse, l’inquinamento, l’uso di
pesticidi e la
deforestazione: tutti fattori che stanno condizionando pesantemente la
biodiversità del nostro pianeta. E, chiaramente, l’indebolimento o la perdita di una
specie è destinato a generare un effetto
‘a catena’, riflettendosi sull’intero ecosistema interessato e sul benessere e sulla sopravvivenza delle altre
(umani compresi) di quello stesso ecosistema.
L’Iucn, International Union for Conservation of Nature (Unione internazionale per la conservazione della natura,
ndr), autrice della
‘lista rossa’ delle specie in via di estinzione, è la più completa fonte di informazione per verificare lo
stato di salute non solo di specie animali, ma anche di funghi e vegetali. Una comoda funzione di ricerca permette di estrapolare i dati conosciuti sullo stato di conservazione di specie meravigliose, come il
lupo rosso, lo
scimpanzè, il
gibbone hoolock, la
zebra di Grevy, il
lupo etiope, il
bonobo, la
balena franca nordatlantica e tanti altri esseri di cui ignoravamo l’esistenza e che potremmo non riuscire a conoscere mai, se non per mezzo di
‘piatte’ illustrazioni fotografiche. Ciascuna delle specie censite viene inserita in una classificazione che consente di sapere se è
vulnerabile, a
rischio, a
rischio critico o già
estinta. Peraltro, la lista delle
515 specie con meno di mille esemplari viventi, potrebbe essere destinata ad ampliarsi con nuovi sfortunati attori. Come il
koala australiano, per esempio, falcidiato dalla
‘clamidia’ e dalla distruzione del proprio
habitat per cause tanto
antropiche, quanto
naturali, il quale rischia
l’estinzione nell’arco dei prossimi
30 anni. O come
l’orso polare, protagonista di un
habitat direttamente messo a rischio dal
riscaldamento globale e dalle
temperature record registrate ai poli negli ultimi anni. E ancora: le
‘pantherae’, della famiglia dei
felidi (anche
tigri e
leoni ne fanno parte,
ndr), che oggi sopravvivono in
poche migliaia di esemplari mantenute in
parchi e
riserve naturali, al riparo dal
bracconaggio che ne hanno fatto
bersaglio; i
rinoceronti, i cui
corni possono essere pagati fino a
100 mila dollari al chilo; le
tartarughe marine, che ogni anno cadono in
decine di migliaia di esemplari a causa
dell’inquinamento dei mari e delle
ferite accidentali prodotte dagli
strumenti di pesca; gli
elefanti, soprattutto
asiatici, le cui
zanne offrono ghiotte occasioni di profitto ai mercanti di
avorio. Questi sono solo alcuni dei
vertebrati più noti, a
rischio estinzione. Secondo una stima riportata dal network
‘Traffic’, di cui fanno parte
Iucn e
Wwf, il
bracconaggio e il
commercio prevalentemente
clandestino genera, ogni anno, un giro d’affari stimato in circa
20 miliardi di dollari. Nel
2020, durante di un’operazione condotta
dall’Interpol e
dall’Organizzazione mondiale delle dogane (Wco) sono stati sottratti al contrabbando oltre
45 mila esemplari di animali e di
piante protette e
confiscate; circa
1,3 tonnellate di
avorio; 1 tonnellata di
scaglie di pangolino; 56 tonnellate di
prodotti marini; 950 tonnellate di
legname; 15 tonnellate di
piante selvatiche. La
difesa, se non il
recupero, della
biodiversità rappresenta in tutta evidenza una chiave essenziale per la salvaguardia del nostro
ecosistema globale, in cui ogni elemento è indissolubilmente legato agli altri. Ogni
tassello perduto è destinato a riflettersi sugli altri elementi, che costituiscono un
delicato equilibrio sempre più instabile e che riguarda non solo
mammiferi, uccelli, rettili e
anfibi, ma anche un’ampia varietà di
specie vegetali. Non è semplice, ma nemmeno impossibile, invertire una tendenza che, proseguendo agli attuali ritmi, potrebbe in futuro farci trovare nella
‘lista rossa’ elaborata dallo
Iucn, anche un’altra specie a noi molto cara: la
nostra.