L’Italia, per sua natura, offre delle
‘nicchie ecologiche’ in grado di ospitare fauna e flora differenti. La
biodiversità è un fenomeno presente sul nostro territorio e molto diversificato. Si presenta in varie modalità, con i suoi
boschi, i
prati, le
aree umide e i
corsi d’acqua. I
campi incolti nascondono ricchezze che nascono spontanee e fanno da cornice alle aree trattate.
L’Italia, già partecipe al progetto
dell’Unione europea, ha iniziato a destinare già prima del
2030 nuove zone protette, tutelando almeno il
30% della sua superficie terrestre e marina, anche se dovrebbe curare maggiormente l’aspetto che definisce i
luoghi d’acqua, essendo presenti
acquitrini, paludi, lagune, tomboli e altro. Tuttavia, negli anni sono stati già piantati una parte dei
tre miliardi di alberi che dobbiamo recuperare e incentivato, anche con apposite
app, la cultura
bio. Dal
1922, le
Nazioni Unite hanno voluto ricordare, con la data del
22 maggio, la
Giornata della Biodiversità, firmando anche la
Convenzione per la biodiversità. Si tratta di un
valore di principio da sempre espresso dal nostro Paese e, successivamente, anche dalla
Costituzione italiana. Sin dai tempi di
Federico II, lo
'Stupor mundi', il quale si interessò per primo alla
salute pubblica e alla
tutela ambientale durante il
medioevo. Presso la
Biblioteca Vaticana, per esempio, è conservato il suo manuale inerente la
falconeria, il
‘De arte venandi cum avibus’, che fu uno dei primi manoscritti, con disegni a tema naturalistico, che tracciava le
prime aree protette per specifico interesse
dell’imperatore. Uomo colto, tra i suoi valori vi era anche quello di proteggere la
salubrità dell’aria: un
“patrimonio divino”, così come la definiva. Da questo discesero leggi che proibivano di
macerare lino o canapa nelle acque
vicine meno di un miglio a qualunque
città o
'castrum' (campo coltivabile, ndr), affinché da ciò non derivasse
l’inquinamento dell’aria. Quella prima norma ecologica sanciva, infatti, che al proprietario del lino che si era comportato male venisse tolto
“lo stesso lino immerso e la canapa, che saranno confiscati dalla corte”. Inoltre, si prevedeva che
“le sepolture dei morti non chiuse in urne siano profonde mezza canna”. Da allora, vivere bene è divenuto sinonimo di
mangiare ‘sostenibile’ e
sano, aumentando l’importanza di ciò che deriva direttamente dalla
natura. Sono sempre di più i consumatori che richiedono
piante selvatiche in piccoli
mercati ‘local’: il
tarassaco, gli
asparagi selvatici e la
borragine. Gli agricoltori hanno un ruolo fondamentale per il futuro: essi sono i custodi di una
‘bioricchezza’ rara. Sempre più desiderati sono anche quei prodotti che presentano
difformità e
imperfezioni, o che maturano in
tempi diversi rispetto a quelli trattati in maniera
seriale con
prodotti chimici. Sempre dalla
Sicilia, per esempio, riscopriamo il sapere di una sorprendente
cipolla di Giarratana, così intensa e spessa da poter essere grigliata come una bistecca. E tornano alla riscossa altri prodotti come il
carosello pugliese: uno
simil-cetriolo tondeggiante e dolce. Il
lago Trasimeno offre un’ottima
fagiolina. E
Pertosa (Sa), in
Campania, produce uno speciale
carciofo bianco. E la
Toscana, un territorio da sempre sensibile alle proprie tradizioni in tavola, ha recuperato e riprodotto il
cavolo nero, oggi definito un
‘superfood’. La ricerca delle Università - e non solo - è dunque quella di riscoprire i
semi più antichi e più autentici delle nostre
aree decentrate. Si riscopre, cioè, quella cultura del nostro Paese che da sempre tutela i
corsi d’acqua con gli
orti famigliari, sia in montagna, sia nelle zone collinari (vicino alle coste era più raro per via dei pirati che, in passato, imperversavano,
ndr). Anche il problema di tutelare
confini marittimi è sempre esistito nel nostro Paese. Così come la sensibilità nel portare avanti quelle
tradizioni che ci rendono migliori, oltre che particolarmente
attenti all’ambiente.