Vittorio LussanaDispiace veramente dover salutare, per l’ultima volta, Gianluca Vialli. Una delle poche certezze del calcio italiano, sempre accompagnato da quel pizzico di sfortuna che, spesso, gli ha ‘tolto la scena’. Anche lui era un’ala destra portentosa e scattante. E tutti noi speravamo che si sarebbe realizzato, una seconda volta, il miracolo già capitato con Paolo Rossi. Ancora nel 1986, unico a salvarsi nel ‘naufragio’ dei mondiali messicani, quelli di Maradona per intenderci, Enzo Bearzot lo aveva utilizzato come ala destra, il ruolo che lo aveva visto affermarsi nella Cremonese. Solo Paolo Mantovani, un imprenditore romano molto intelligente, che si era comprato la Sampdoria nel 1979, capì che si poteva ripetere l'esperimento. E decise di spostare Vialli al centro del fronte d’attacco 'doriano'. Non solo: Mantovani decise anche di affiancargli un fantasista estroso, tecnicamente dotatissimo, di nome Roberto Mancini. Ed ecco come nacque la coppia d’attacco esteticamente più bella della Storia del calcio italiano. I due grandi amici, Vialli e Mancini, che riuscirono a riportare lo scudetto sotto la lanterna del porto di Genova. Una città che non lo vinceva dall’epoca archeologica del Genoa di fine ottocento: roba da preistoria del calcio. La Sampdoria, in quegli anni, vinse anche una Coppa delle Coppe, 4 Coppe Italia e 1 Supercoppa italiana, realizzando quello che nel biliardo viene chiamato: ‘filotto’. Ma non fu solo Paolo Mantovani a porre Genova e Roma sotto l’ala di un destino comune, che aveva visto i suoi albori già con le vicende di Bruno Conti e Toninho Cerezo: anche alla Sampdoria capitò di perdere ai rigori una Coppa dei Campioni, nel 1992. Esattamente come accaduto all’associazione sportiva Roma. Sarebbe stata una vittoria che avrebbe incoronato la Samp imperatrice d’Europa. E, invece, fu soltanto un altro segno del destino che accomuna la città di Genova con la capitale d’Italia. Tornando alla carriera di Gianluca Vialli, quelli furono i suoi anni d’oro, nonostante tutto. Egli divenne capocannoniere del campionato italiano nell’anno dello scudetto sampdoriano, ma mancò di pochissimo l’appuntamento con la nazionale di calcio e la definitiva consacrazione internazionale. Era diventato il centravanti titolare anche della nazionale. Ma ai mondiali di Italia ’90 accade qualcosa che ribadì come Gianluca Vialli non fosse un 'profeta in Patria'. Nel 1990, l'Italia era una bellissima squadra, allenata da Azeglio Vicini, l’erede di Bearzot. Si trattava di consacrare definitivamente la generazione successiva a quella di Paolo Rossi, Bruno Conti e Gaetano Scirea. E già si era visto qualcosa di interessante agli europei del 1988, dove proprio Vialli e Mancini avevano fatto 'faville'. Ma il calcio che esprimevano i due 'gemelli del goal' era caratterizzato da un qualcosa di bello, forse anche troppo. Una sorta di ‘vizio estetizzante’, che spesso li portava a preferire l'eleganza tecnica alla concretezza. Non a caso, Gianni Brera aveva coniato un neologismo per Gianluca Vialli, nel tentativo di spiegare questo suo limite: ‘Stradivialli’. Comunque, giunsero i mondiali di calcio, che nel 1990 si celebrarono proprio qui da noi. E fin dal primo incontro, quello con l’Austria, si notò questa tendenza a ‘fare spettacolo’ a scapito del fine realizzativo. Passavano i minuti e le occasioni si susseguivano, ma la squadra italiana non riusciva a segnare. Allora Vicini decise di mandare in campo Totò Schillaci, invocato dagli ‘ascari juventini’ della Sicilia sud-orientale. Un giocatore un po’ rozzo, tutto sommato, meno bello a vedersi rispetto a Vialli e Mancini, ma che quell’anno sembrava proprio baciato dalla fortuna: tutte le volte che toccava un pallone, lo metteva dentro. Tuttavia, Vicini non volle rinunciare all’estro di Vialli. E tolse Carnevale, la seconda punta, vero colpevole di essersi ‘mangiato’ una marea di goal. Vialli venne allora spostato sulla fascia destra, nel ruolo di ala tornante, come ai tempi della Cremonese. E al centro dell’attacco piazzò questo Totò Schillaci, quasi sperando irrazionalmente che quel suo momento d’oro di ‘fortuna sfacciata’ ci mandasse finalmente in rete. Già alla prima azione offensiva, si vide che tutto ciò era una buona idea: Gianluca Vialli s’intestardì in un’azione sulla destra, che sembrava destinata a essere controllata dalla difesa austriaca. Ma sullo scacchiere tattico era cambiato qualcosa che agli ‘sbucciacrauti’ era sfuggito: Vialli riuscì a effettuare un traversone molto preciso, che sembrava ‘pennellato’ appositamente per Totò Schillaci, che non era neanche un gran colpitore di testa. E invece, con grande sorpresa di tutti, anche dei difensori austriaci - due ‘lungagnoni’ alti quasi due metri - Schillaci mandò quella palla in rete, togliendoci le ‘castagne dal fuoco’. Il merito vero di quell’azione era di Gianluca Vialli, che era riuscito a sorprendere tutti. Ma quella rete stabilì per sempre quanto il giuoco del calcio sia imprevedibile, poiché spesso premia i suoi eroi a ‘casaccio’, secondo logiche misteriose. Era lo stesso segnale che proveniva, in quegli anni, anche dalla politica: non era vero che la soluzione più razionale e scientifica fosse quella più adatta. Il mondo andava diversamente, per fasi cicliche. Inutile mettersi a ‘fare i profeti’: se il fato diceva che non era il tuo momento e che il predestinato era un altro, potevi solamente adeguarti alla situazione, per il bene della nazione. Una cosa che, personalmente, non ho mai digerito, perché vera solo parzialmente: era stato Vialli a fare il grosso del lavoro, mentre Schillaci era stato solamente fortunato. Una cosa che accadde di continuo, nel corso degli anni ’90 del secolo scorso. E che non mi ha mai visto d’accordo. La dea bendata è "cecata come una talpa", si dice a Roma: premia le persone a prescindere dei loro meriti. Insomma, perdonatemi il termine, ma la fortuna è un'autentica ‘stronza’... La cosa si vide ancor di più nella partita successiva, quella contro gli Stati Uniti. Il 'culo' di Schillaci quella sera non era sintonizzato sulle 'frequenze giuste', ma capitò un rigore. E Azeglio Vicini stabilì che a tirarlo fosse proprio Gianluca Vialli, per regolare i suoi conti col destino e tirarsi su di morale. Un goal è sempre un goal, anche se realizzato dal dischetto: l’importate era ‘sbloccarsi’. Niente da fare: nonostante quel rigore fosse stato calciato benissimo (forse anche troppo…) con una traiettoria angolata, la sfera andò a sbattere contro la base del palo. Tutta Roma sentì nitidamente il suono di quel pallone che era andato a incocciare sul legno della porta americana. E il mondiale di Gianluca Vialli terminò lì. Non era il suo momento, perché il fato aveva scelto diversamente. Per motivazioni inspiegabili. Come quando la ‘bella’ del quartiere passa tutti i giorni a ridere e a scherzare con te e poi decide di ‘darla’ al primo cretino che passa di lì per caso. Più avanti, Vittorio Sgarbi cercò di spiegarmela questa cosa: “Non devi fare l’amico con le donne! Soprattutto, con quelle ‘matte’ come cavalle…”. Eppure, con una simile non logica, punitiva nei confronti dell’intelligenza, io proprio non riuscivo a 'farci pace': figuriamoci Vialli! Quello fu il primo segnale che tutto sarebbe andato ‘a culo’, in Italia. E che sarebbero stati puniti, ingiustamente, chi aveva delle buone idee. Le cose dovevano andare così, per un crudele scherzo del destino. Oggi, c’è chi legge in modo esoterico anche il nostro europeo vinto l’anno scorso: Vialli poteva apportare il proprio contributo alla squadra come allenatore in seconda o come consigliere del leader, ma non poteva allenare lui la nazionale di calcio, poiché inviso agli dei del pallone. E lui, pur di riportare la Coppa Europa per nazioni in Italia, lo aveva capito benissimo, questa volta. E aveva fatto quel famoso ‘passo di lato’ di cui ogni tanto si parla, favorendo l’amico di tante battaglie, Roberto Mancini. Non ti preoccupare, Gianluca: penseremo noi a renderti merito. Il tumore al pancreas è alquanto raro: un’ulteriore sfortuna capitata, ancora una volta, proprio a te. Ma un bel giorno, anche quel diavolo sarà finalmente sconfitto. E ti renderemo merito di quella vittoria, ricordandoti come un vincente: te lo prometto.




Direttore responsabile di www.laici.it
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