Enzo Schirippa continua ad affascinare gli osservatori delle sue rassegne, come accaduto nella
collettiva tenutasi di recente a
Palazzo Rospigliosi in
Zagarolo (Rm) e intitolata:
‘L’osteria dei pittori’. L’ispirazione e i tratti dei suoi pennelli si rivolgono spesso a
soggetti personali, che egli riesce a ritrarre nelle sue tele rendendo la materia visibile attraverso le
sfaccettature dei volti, oppure delle
donne, attraverso contorni quasi
tridimensionali, visibili anche nelle figure geometriche. In questa intervista che è riuscito a rilasciare alla nostra testata, ci ha aiutati a comprendere i suoi ultimi lavori. Sono gli stessi
contenuti introspettivi delle
nature morte a rappresentare una realtà ritratta negli
spazi interiori dei suoi personaggi, o del singolo individuo. Un’arte come momento di
pura soggettività, ma capace di rappresentare, al contempo, un
principio estetico di
etica professionale, di
sapiente conoscenza delle diverse
tecniche pittoriche, di amore nei confronti della propria
arte, per le
persone che sceglie di
ritrarre, del
mondo e dei
colori che lo circondano. Anche quelli più
sfumati o
difficili da ricreare. Enzo Schirripa, può spiegarci il vero ‘segreto’ delle sue opere e cosa esse vogliono comunicare?
“Il bello dell'arte è un sentimento. Un’emozione che si trasmette nella profondità del pensiero. Forse, nella pittura figurativa è più sentita come una sapiente costruzione di immagine fatta di luci, forme, volumi e di tanta atmosfera, attraverso la mirabile mescolanza dei colori presenti sulla tavolozza. Ma tutto scompare nel momento in cui l'artista, nel segno del pensiero, dimentica la funzione tipica del colore, per dedicarsi a dare corpo alla materialità del racconto”.
A quali temi si si ispira maggiormente,?
“E’ una sorta di conversione ‘colore-materia’, parafrasando il termine religioso di ‘transustanziale’. La materia diventa trasposizione di ciò che vedo, non semplice imitazione del vero o del creare. La questione risiede nel dare maggior spessore al pigmento: cercare un senso tattile delle cose che vedo, la trasparenza del vetro o della plastica, il tipo di tessuto, l'incarnato della vita umana della nascita e della morte. La decomposizione stessa del mondo naturale”.
Sappiamo da tempo che i ritratti sono le raffigurazioni da lei preferite: può descriverci le sensazioni che percepisce e, soprattutto, come riesce a realizzarli? E perché nella sua ultima mostra tenutasi a Palazzo Rospigliosi in Zagarolo (Rm) ha preferito esporre soprattutto ritratti?
“Il ritratto è un tema a me caro. Mi ha sempre affascinato vedere la pelle e il ‘sotto’, la carne, le vene, le rughe, il corpo e le sue mutazioni. Trovo importante dare spessore non alla materia pittorica in sé, ma sottendere, attraverso la pittura stessa, una sensazione palpabile, tattile, dinamica, per renderla viva come se fosse in grado di muoversi, spinta dalla volontà o dalla forza mentale del personaggio. E’ un’arte a cui occorre dedicare un’attenta osservazione, più prolungata del solito. Ma spesse volte, durante le riunioni di lavoro, come per un momento occasionale mi capita di ‘scarabocchiare’, per così dire, con una matita o penna su un blocchetto di fogli A4, prendendo un soggetto a caso o chiunque mi vada a genio”.
Può descriverci le tecniche da lei adottate negli ultimi ritratti?
“Innanzitutto, per mia abitudine, cerco di non fissare lo sguardo sulla persona da ritrarre, per non destare sospetti, imbarazzo o stati confusionali. Un ritratto è sempre meglio farlo quasi all’insaputa del soggetto, per cercare di cogliere più di quanto sia possibile: ciò che lo caratterizza nella personalità attraverso i suoi piccoli gesti; una moltitudine di espressioni facciali; lo stato d'animo del momento. Non è mia intenzione arrivare alla caricatura, ma non voglio nemmeno pensare a un tipo di ritratto come quelli che si vedono nei dipinti del gruppo ‘Nue Sachlichkeit’ di Grosz, Dix, Schad e Scholz. Penso che chiunque si sentirebbe infastidito dal fatto di essere ‘scoperto’ nella propria intimità psicologica. Eppure, tutto nasce dal desiderio di dare corpo all’interiorità dell’individuo: trovo in tutto questo una particolare bellezza e fascino. C'è chi, nel chiedermi di essere ritratto, rimane entusiasta di tutto ciò, tanto da confessare, sempre, di non conoscere questo lato della sua personalità. Per altri, non è così: basta osservare il loro silenzio nell’espressione, per capirlo. Apparentemente, si nascondono e si chiudono a ‘riccio’, mettendo in avanti parole senza senso: è solo paura di essere schedati ‘a futura memoria’. E in ciò si dimostra di non accettare di essere ritratti”.
E nelle altre tecniche pittoriche?“Nel disegno a matita, di solito parto da una moltitudine di segni morbidi e duri, intensi e chiari, senza l'uso della gomma. Anzi, utilizzo la gomma solo per dare un effetto plastico, per plasmare la forma e il volume. Non penso solo al ‘chiaroscuro’, ma a dare la sensazione di individuare il colore che appartiene a ciò che sto osservando. Con una mano utilizzo la gomma, con l'altra la matita, in simbiosi. Stessa cosa con i pastelli a olio, anche se, in questo caso, non utilizzo la gomma, ma la spatolina, a volte quella dentata, in altre parti quella piatta. In questa tecnica non penso al colore, ma alla scultura. Ed è una sensazione fortissima modellare con i pastelli colorati e cretosi. Mi viene da pensare a Giacometti, con i suoi olii: sembra di vedere delle sculture circoscritte in uno spazio immaginario. Maggiore impegno comporta il ritratto con un buon pennino e l’inchiostro di china, anche di un solo colore, nero o seppia. In questa tecnica non è concesso fare errori, ma solo linee sottili o grosse. Infine, nell’acquarello, si deve partire da un’impostazione diversa: meglio un tratto leggerissimo di matita di ciò che si intende riprodurre, sotto attenta osservazione; poi, con pochissimi colori sulla tavolozza bianca di porcellana o su una mattonella da pavimento in maiolica, lo si sovrappone all'immagine delineata nella carta, in modo da far apparire degli effetti come se fossero vetri colorati sovrapposti tra loro, creando tinte chiare con colori diversi, che vibrano e danno respiro al contesto”.
Le sue tele a olio sono note alla critica per la sapiente elaborazione dei colori: come li realizza?
“Nel dipingere a olio, il vero segreto è saper scegliere una buona superficie, partendo cioè da una tela affidabile e da una preparazione di base precisa: un’imprimitura di supporto consolidata e collaudata da preparare artigianalmente, secondo antiche ricette. Ma, ripeto: la tela è molto importante. Così come il telaio, che dev’essere di un buon legno stagionato, senza nodi o incastri: tutto secondo tradizione. In ogni caso, nei ritratti la preparazione è sempre fondamentale: il colore a olio, quando viene applicato, deve scorrere e ‘attaccare’ molto bene sulla superficie. E la persona da ritrarre la devi conoscere, frequentarla ancor prima che si metta in posa. Dev’essere, per così dire, aperta al dialogo, poiché dev’essere osservata e valutata a lungo: solo così, qualcosa nella mia memoria viene immagazzinata. Talvolta, però, può capitare che nasca un’immagine persino da un contesto sociale, insieme ad altri elementi che possono appartenere sia al passato, sia al presente”.
Ma come riesce a esprimere queste tonalità così particolari, riuscendo a intagliare corpi e figure in forme quasi tridimensionali o plastiche?
“La bellezza esteriore non nasconde quella interiore. Noto che molte persone curano molto l'aspetto estetico con particolari cure, a volte esagerate. Ma spesso si tratta di paura dell'invecchiamento: una caratteristica che io trovo ugualmente affascinante, poiché mi porta a scoprire quanta storia una persona abbia dentro di sé. Certamente difficile, ma altrettanto interessante, è la ricerca della gamma di colori da me sottoposti a collaudo, da sempre. Essi devono risultare affidabili nelle mescolanze, senza subire variazioni e alterazioni nel tempo. Uso sempre gli stessi e non trovo utile cambiarli. Il lavoro lo si fa col saper dosare i colori su altri, per ottenere una buona gamma, poiché desidero solo trovare spessore con la trasparenza, sia a spatola, sia a velatura”.
Nella foto in apertura, l'opera: 'Frammenti di vita' di Enzo Schirripa, olio su tela