Vittorio LussanaNei giorni scorsi, la Corte costituzionale si è espressa favorevolmente in merito alla legittimità giuridica dell'obbligo vaccinale, introdotto nel 2021 come strumento per arginare la pandemia da Covid 19 e causa di forti polemiche e relativi ricorsi giudiziari. La nostra Corte suprema ha infatti ritenuto non irragionevoli,sproporzionate, le scelte del legislatore, adottate durante il periodo pandemico circa l’obbligo vaccinale del personale sanitario. E ugualmente ‘non fondate’ sono state ritenute tutte le questioni relative alla previsione di escludere, in caso di inadempimento dell’obbligo medesimo e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un compenso a carico del datore di lavoro per chi fosse stato sospeso, sia che facesse parte del personale sanitario, sia di quello scolastico. La pandemia da Covid 19 ha generato stati di ansia e turbamento in ampie fasce della popolazione: una paura che ha avuto evidenti riflessi anche nel dibattito interno alla nostra collettività. In certi momenti, dovrebbe emergere una sensazione di sprone e di fiducia nei confronti di scienziati, infermieri, medici e ricercatori. Invece, come al solito, c’è sempre chi si diverte a diffondere sfiducia e diffidenza, anziché mostrarsi unito con il resto del popolo di fronte a un evento di proporzioni planetarie. Ma perché il nostro Paese ci tiene così tanto a rimanere indietro su tutta una serie di tematiche? Perché spesso ci lasciamo guidare da sentimenti negativi, fino a generare una sordida disinformazione? Probabilmente, entrano in gioco diversi fattori, alcuni contingenti, altri strutturali. Per quanto riguarda i primi, sin dall’inizio della pandemia ci siamo abituati a un bombardamento mediatico di una realtà che, di volta in volta, veniva presentata in forme assertive e ‘assolute’, in termini di linguaggio. Un retaggio culturale che, qui da noi, risulta indotto da una sorta di ‘pensiero medio’ fondamentalmente contraddittorio e piccolo borghese, tendente a prevaricare ogni genere di dialettica attraverso giudizi, forzature, manipolazioni e moralismi che diventano strumenti impositivi, poiché si richiamano a quelle verità ‘automatiche’ da cui proprio non riusciamo a liberarci. E’ una sorta di zavorra antropologica, che possiede radici secolari, intrise di convinzioni ataviche, le quali tendono a ‘oggettivizzare il negativo’, anziché cercare di marginalizzarlo o di limitarlo attraverso la cultura scientifica. In pratica, si evocano i demoni dell’errore umano, al fine di porre un freno alla possibilità che la ricerca possa dirigersi verso indirizzi poco controllabili, anche quando essa è mossa dalle migliori intenzioni e dai criteri deontologici più corretti. Una sorta di plumbea sfiducia nell’uomo, che impedisce di considerarlo un soggetto autonomo e indipendente, anziché ‘oggetto’ di credenze che si teme possano risultare superate. Senza rendersi conto che imporre una visione monolitica, soprattutto in determinati campi come quello scientifico, genera il rischio opposto: quello di una deriva superstiziosa e di un’interpretazione statica delle proprie convinzioni, presentate come dogmi immodificabili. Si tratta, cioè, di “contaminazioni formali”, spesso più vicine al sofismo degli oroscopi, piuttosto che alla filosofia morale, le quali tendono a fornire strumenti interpretativi solo apparentemente logici e lineari, mentre in realtà ci rinchiudono in una sorta di ‘vuoto pragmatismo’. Ovvero, forme di materialismo ‘spicciolo’ prive di retroterra, che servono unicamente a risolvere difficoltà pratiche minori, prive di complessità ‘spirituali’. Come quando si confonde la semplice ‘pulsione’ con il sentimento, che invece appartiene a un grado più alto di ‘autoeducazione’ interiore. Non si vuol comprendere come la sostanza, molto spesso, sia immateriale, mentre la forma è semplice metodo: due fattori che possono essere ribaltati tra loro. Non c’è un rapporto di gerarchia tra spirito e corpo. Ma l’avvento storico di un’attenzione spropositata verso un deteminato materialismo trasgressivo, che considera le ‘fissità formali’ come principale aspetto di ogni questione, ha finito con lo svuotare di senso ogni vincolo valoriale. Siamo cioè di fronte a quel processo mentale che induce tante ragazze a ‘rifarsi il naso’ – o comunque a ricorrere alla chirurgia plastica - poiché si ritiene che solo la bella presenza possa aiutarle a trovare una collocazione in ambito lavorativo o sociale. Ma una ragazza può esser bella quanto si vuole: se ella non saprà dimostrare ulteriori qualità, di natura intellettiva, culturale e di sensibilità, non potrà mai fare molta strada. In tali convinzioni di sfiducia complessiva nei confronti dell’umanità, vige una sorta di immediatezza, che tende ad appiattire ogni questione sul medesimo piano, riducendole tutte quante a una prassi totalmente priva di teoria, contraddicendo clamorosamente la propria stessa fede o convinzione. Una sorta di confusione anarchica, che trascende gli aspetti esperienziali, storici o valoriali, per ridursi a una sorta di fragile pragmatismo, che si pone come principale obiettivo il raggiungimento di uno scopo, di una finalità. Un’apparenza utilitarista, insomma, che in genere i filosofi definiscono “speculazione”. Ovvero, la possibilità di poter manipolare le teorie vigenti, al fine di mistificarle. Ciò ha delle ricadute nefaste anche sui fattori strutturali, come per esempio quello di fornire una corretta informazione ai cittadini. Se l’obiettivo è portare avanti se stessi, in una logica meramente opportunistica, non ci si esprime in favore dei lettori e si finisce nella retorica. Ma in una condizione pandemica non conta la speculazione filosofica, politica o utilitarista, bensì quella scientifica, che è territorio ben distinto, impossibile da generalizzare tramite formalismi assoluti: la scienza è proprio un’altra cosa, molto distante dalle culture che pretendono di essere oggettive od ‘omnicomprensive’. Veniamo, dunque, alla disinformazione: nel corso della pandemia da Covid 19, il fattore comunicazionale si è legato alle nuove modalità con cui, oggi, si diffondono le notizie. In particolare, i social network hanno fornito a chiunque la possibilità di poter esprimere la propria opinione, ponendo tutti i giudizi del singolo individuo sullo stesso piano, al fine di favorire una diffusione rapidissima di calcoli parziali o emerite ‘fake news’. Ciò non favorisce una riflessione sul freddo tavolo anatomico dell’informazione scientifica o divulgativa, bensì attiva il sistema emotivo, cadendo facilmente in errori di attribuzione, in correlazioni spurie, nei ‘rimescolamenti’ tra dati scientifici e ipotesi analitiche, dando spazio a un’enfasi che confonde la funzione percettiva di una minaccia evitando l’analisi più approfondita e razionale. Si finisce, insomma, col cogliere principalmente le informazioni che riguardano pericoli e minacce, rispetto a quelle che potrebbero essere considerate più rassicuranti. Un mix di fattori che genera, come risultato, una crescente diffidenza verso il progresso scientifico e un pessimismo eccessivamente cupo nei confronti delle potenzialità umane. I vaccini rappresentano una delle conquiste più importanti della medicina: uno strumento fondamentale di tutela della salute pubblica. Non si tratta di un tema che riguarda solamente il vaccino anti-Covid, ma le vaccinazioni in generale. Una delle principali minacce alla salute pubblica è proprio la diffidenza nei confronti delle vaccinazioni. Un’esitazione che prende le mosse, fondamentalmente, dalla paura di eventi avversi. Ma la nostra reazione di fronte a un rischio dovrebbe essere il risultato di un calcolo razionale tra la possibilità che una cosa avvenga e la gravità dell’avvenimento stesso. Un’equazione che spesso non avviene su base razionale, poiché la sensazione di paura dipende molto dalla percezione di non avere il pieno controllo su un determinato problema. Si tratta di paure che nascono sul fronte emotivo, fondamentalmente psicologiche, che mascherano, in realtà, fattori socio-culturali correlati a forme di sfiducia verso le istituzioni. Non si crede a nulla per questioni ideologiche: un dato che non viene posto come sintesi finale di un ragionamento qualsiasi, ma come presupposto di partenza, come quando si cerca di costruire una casa partendo dal tetto. Un errore dialogico, che finisce col distorcere la realtà, al fine di non lasciar trasparire sensazioni ed emozioni che tradirebbero la nostra apparente impassibilità e sicurezza. Ma si tratta di mera apparenza, che finisce con lo svuotare la questione sanitaria in sé, che di certo non era paragonabile a una semplice ‘tecnica’ di convincimento di una ragazza per farla uscire a cena con noi. E’ una questione molto diversa, assai distante da determinate ‘tattiche’ di coinvolgimento o di convincimento propagandistico. Per l’ennesima volta, siamo di fronte a un problema che, per molte persone, si pone come forma di ottusità emotiva, che ‘sporca’ ogni fredda valutazione razionale. Pertanto, diviene necessario saper colpire la ‘pancia’ di queste persone, al fine di sollecitare la loro razionalità. Non basta lo scientismo: bisogna, al contrario, provare a costruire un dialogo, per fare in modo che la fiducia verso i vaccini diventi una decisione autonoma di coloro che dubitano. Non basta limitarsi a elencare dati, numeri e temi scientifici, ma lavorare sulla fiducia, evitando di porsi come ‘maestri’ che propongono una ‘lectio magistralis’ sui vaccini, al fine di provare a fornire i veri strumenti del ‘pensiero critico’. E i veri strumenti del pensiero critico sono i dati e le fonti di informazione affidabili, che presuppongono una distinzione ben precisa di valutazione e soppesamento delle notizie. Bisognava insistere nel diffidare l’opinione pubblica dal seguire organi di informazione che tendono, strumentalmente, a spettacolarizzare il dibattito, al fine di avere più audience, oppure per vendere qualche copia in più, oppure ancora per proporsi come capofila di un processo di polarizzazione ideologica. Al contrario, certi elementi e certi operatori, sia medici, sia della divulgazione scientifica, sono stati addirittura portati a esprimersi, soprattutto nei vari talk show, come se fossero i difensori di una minoranza. Ma anche in questo caso, era necessario introdurre un’ulteriore distinzione, molto precisa, poiché vi sono minoranze e minoranze. Persone che subiscono una discriminazione sociale per via di alcune loro caratteristiche, come nel caso dei disabili per esempio, non sono equiparabili a dei semplici individui impauriti. Le minoranze non sono tutte uguali. Ma dimenticando questa regola basilare, si è finito col dare un peso eccessivo alla forma, anziché alla sostanza, al fine di segnalare un limite: un rispondere al telefono sollevando la cornetta al contrario, parlando nell’altoparlante anziché nel microfono. Quando serve dare uno 'schiaffo', bisogna darlo, anziché rifugiarsi tra i formalismi. E’ esattamente questo ciò che ci insegnò Charlie Chaplin in ‘Luci della ribalta’, nella scena in cui la giovane ballerina protagonista della vicenda si rifiuta di entrare in scena in quanto ‘autoparalizzata’ dalle proprie paure. E in quel momento drammatico, il vecchio Calvero deve ricorrere a un ‘ceffone’, pur di risvegliare una reazione nell’artista che si rifiutava di andare incontro al suo destino. Ed è stato esattamente questo processo logico a condurre molti di noi verso il concetto giuridico di ‘obbligo’ alla vaccinazione. In molti, ancora oggi non lo comprendono, mentre i giudici della nostra Corte costituzionale ci sono arrivati: finalmente, un segnale di vera concretezza da parte di un organo dello Stato che ha saputo resistere a ogni processo di de-istituzionalizzazione, dimostrandosi una delle poche ‘cose serie’ rimaste in questo nostro povero e disastrato Paese.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata sul sito web www.gaiaitalia.com)

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