Nei giorni scorsi, la
Corte costituzionale si è espressa favorevolmente in merito alla
legittimità giuridica dell'obbligo vaccinale, introdotto nel
2021 come strumento per arginare la pandemia da
Covid 19 e causa di forti polemiche e relativi ricorsi giudiziari. La nostra
Corte suprema ha infatti ritenuto
non irragionevoli, né
sproporzionate, le
scelte del legislatore, adottate durante il periodo pandemico circa
l’obbligo vaccinale del
personale sanitario. E ugualmente
‘non fondate’ sono state ritenute tutte le questioni relative alla previsione di
escludere, in caso di inadempimento dell’obbligo medesimo e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un
compenso a carico del datore di lavoro per chi fosse stato sospeso, sia che facesse parte del
personale sanitario, sia di quello
scolastico. La pandemia da
Covid 19 ha generato stati di ansia e turbamento in ampie fasce della popolazione: una
paura che ha avuto evidenti riflessi anche nel dibattito interno alla nostra collettività. In certi momenti, dovrebbe emergere una sensazione di
sprone e di
fiducia nei confronti di
scienziati, infermieri, medici e
ricercatori. Invece, come al solito, c’è sempre chi si diverte a diffondere
sfiducia e
diffidenza, anziché mostrarsi
unito con il resto del
popolo di fronte a un evento di proporzioni planetarie. Ma perché il nostro Paese ci tiene così tanto a
rimanere indietro su tutta una serie di tematiche? Perché spesso ci lasciamo guidare da
sentimenti negativi, fino a generare una
sordida disinformazione? Probabilmente, entrano in gioco
diversi fattori, alcuni
contingenti, altri
strutturali. Per quanto riguarda i primi, sin dall’inizio della pandemia ci siamo abituati a un
bombardamento mediatico di una realtà che, di volta in volta, veniva presentata in
forme assertive e
‘assolute’, in termini di linguaggio. Un
retaggio culturale che, qui da noi, risulta indotto da una sorta di
‘pensiero medio’ fondamentalmente
contraddittorio e
piccolo borghese, tendente a prevaricare ogni genere di dialettica attraverso
giudizi, forzature, manipolazioni e
moralismi che diventano
strumenti impositivi, poiché si richiamano a quelle
verità ‘automatiche’ da cui proprio non riusciamo a liberarci. E’ una sorta di
zavorra antropologica, che possiede
radici secolari, intrise di
convinzioni ataviche, le quali tendono a
‘oggettivizzare il negativo’, anziché cercare di
marginalizzarlo o di
limitarlo attraverso la
cultura scientifica. In pratica, si evocano i demoni
dell’errore umano, al fine di porre un freno alla possibilità che la
ricerca possa dirigersi verso
indirizzi poco controllabili, anche quando essa è mossa dalle
migliori intenzioni e dai
criteri deontologici più corretti. Una sorta di
plumbea sfiducia nell’uomo, che impedisce di considerarlo un
soggetto autonomo e
indipendente, anziché
‘oggetto’ di
credenze che si teme possano risultare
superate. Senza rendersi conto che imporre una
visione monolitica, soprattutto in determinati campi come quello
scientifico, genera il
rischio opposto: quello di una
deriva superstiziosa e di
un’interpretazione statica delle proprie convinzioni, presentate come
dogmi immodificabili. Si tratta, cioè, di
“contaminazioni formali”, spesso più vicine al
sofismo degli oroscopi, piuttosto che alla
filosofia morale, le quali tendono a fornire strumenti interpretativi
solo apparentemente logici e
lineari, mentre in realtà ci rinchiudono in una sorta di
‘vuoto pragmatismo’. Ovvero, forme di
materialismo ‘spicciolo’ prive di retroterra, che servono unicamente a risolvere
difficoltà pratiche minori, prive di
complessità ‘spirituali’. Come quando si confonde la semplice
‘pulsione’ con il
sentimento, che invece appartiene a un grado più alto di
‘autoeducazione’ interiore. Non si vuol comprendere come la
sostanza, molto spesso, sia
immateriale, mentre la
forma è
semplice metodo: due fattori che possono essere ribaltati tra loro. Non c’è un rapporto di
gerarchia tra
spirito e
corpo. Ma l’avvento storico di un’attenzione spropositata verso un deteminato
materialismo trasgressivo, che considera le
‘fissità formali’ come principale aspetto di ogni questione, ha finito con lo
svuotare di senso ogni
vincolo valoriale. Siamo cioè di fronte a quel processo mentale che induce tante ragazze a
‘rifarsi il naso’ – o comunque a ricorrere alla
chirurgia plastica - poiché si ritiene che solo la
bella presenza possa aiutarle a trovare una collocazione in ambito lavorativo o sociale. Ma
una ragazza può esser
bella quanto si vuole: se ella non saprà dimostrare
ulteriori qualità, di natura
intellettiva, culturale e di
sensibilità, non potrà mai fare molta strada. In tali convinzioni di
sfiducia complessiva nei confronti
dell’umanità, vige una sorta di
immediatezza, che tende ad appiattire ogni questione sul medesimo piano, riducendole tutte quante a una
prassi totalmente
priva di teoria, contraddicendo clamorosamente la propria stessa fede o convinzione. Una sorta di
confusione anarchica, che trascende gli aspetti
esperienziali, storici o
valoriali, per ridursi a una sorta di
fragile pragmatismo, che si pone come principale obiettivo il raggiungimento di uno scopo, di una finalità.
Un’apparenza utilitarista, insomma, che in genere i filosofi definiscono
“speculazione”. Ovvero, la possibilità di poter
manipolare le teorie vigenti, al fine di
mistificarle. Ciò ha delle ricadute nefaste anche sui
fattori strutturali, come per esempio quello di fornire una
corretta informazione ai cittadini. Se l’obiettivo è
portare avanti se stessi, in una logica meramente
opportunistica, non ci si esprime in favore dei
lettori e si finisce nella
retorica. Ma in una
condizione pandemica non conta la
speculazione filosofica, politica o
utilitarista, bensì quella
scientifica, che è territorio ben distinto, impossibile da
generalizzare tramite
formalismi assoluti: la
scienza è proprio
un’altra cosa, molto distante dalle culture che pretendono di essere
oggettive od
‘omnicomprensive’. Veniamo, dunque, alla
disinformazione: nel corso della pandemia da
Covid 19, il fattore comunicazionale si è legato alle nuove modalità con cui, oggi, si diffondono le notizie. In particolare, i
social network hanno fornito a chiunque la possibilità di poter esprimere la propria
opinione, ponendo tutti i
giudizi del singolo individuo
sullo stesso piano, al fine di favorire una diffusione rapidissima di
calcoli parziali o
emerite ‘fake news’. Ciò non favorisce una riflessione sul
freddo tavolo anatomico dell’informazione scientifica o
divulgativa, bensì attiva il
sistema emotivo, cadendo facilmente in
errori di attribuzione, in
correlazioni spurie, nei
‘rimescolamenti’ tra
dati scientifici e
ipotesi analitiche, dando spazio a
un’enfasi che confonde la
funzione percettiva di una minaccia evitando l’analisi più approfondita e razionale. Si finisce, insomma, col cogliere principalmente le informazioni che riguardano
pericoli e
minacce, rispetto a quelle che potrebbero essere considerate più
rassicuranti. Un
mix di fattori che genera, come risultato, una crescente
diffidenza verso il
progresso scientifico e un
pessimismo eccessivamente cupo nei confronti delle
potenzialità umane. I
vaccini rappresentano una delle conquiste più importanti della
medicina: uno
strumento fondamentale di tutela della
salute pubblica. Non si tratta di un tema che riguarda solamente il
vaccino anti-Covid, ma le
vaccinazioni in generale. Una delle principali
minacce alla
salute pubblica è proprio la
diffidenza nei confronti delle
vaccinazioni. Un’esitazione che prende le mosse, fondamentalmente, dalla
paura di
eventi avversi. Ma la nostra reazione di fronte a un rischio dovrebbe essere il risultato di un
calcolo razionale tra la
possibilità che una cosa avvenga e la
gravità dell’avvenimento stesso.
Un’equazione che spesso non avviene su base
razionale, poiché la sensazione di
paura dipende molto dalla
percezione di non avere il pieno controllo su un determinato problema. Si tratta di
paure che nascono sul
fronte emotivo, fondamentalmente
psicologiche, che mascherano, in realtà,
fattori socio-culturali correlati a forme di
sfiducia verso le
istituzioni. Non si crede a nulla per questioni
ideologiche: un dato che non viene posto come
sintesi finale di un ragionamento qualsiasi, ma come
presupposto di partenza, come quando si cerca di
costruire una casa partendo dal tetto. Un
errore dialogico, che finisce col
distorcere la realtà, al fine di non lasciar trasparire
sensazioni ed
emozioni che tradirebbero la nostra
apparente impassibilità e
sicurezza. Ma si tratta di
mera apparenza, che finisce con lo svuotare la
questione sanitaria in sé, che di certo non era paragonabile a una semplice
‘tecnica’ di convincimento di una ragazza per farla uscire a cena con noi. E’ una questione molto diversa, assai distante da determinate
‘tattiche’ di coinvolgimento o di
convincimento propagandistico. Per l’ennesima volta, siamo di fronte a un problema che, per molte persone, si pone come forma di
ottusità emotiva, che
‘sporca’ ogni fredda
valutazione razionale. Pertanto, diviene necessario saper colpire la
‘pancia’ di queste persone, al fine di sollecitare la loro
razionalità. Non basta lo
scientismo: bisogna, al contrario, provare a costruire un
dialogo, per fare in modo che la fiducia verso i
vaccini diventi una
decisione autonoma di coloro che dubitano. Non basta limitarsi a elencare dati, numeri e temi scientifici, ma lavorare sulla
fiducia, evitando di porsi come
‘maestri’ che propongono una
‘lectio magistralis’ sui
vaccini, al fine di provare a fornire i veri strumenti del
‘pensiero critico’. E i veri strumenti del
pensiero critico sono i
dati e le
fonti di
informazione affidabili, che presuppongono una
distinzione ben precisa di
valutazione e
soppesamento delle notizie. Bisognava insistere nel
diffidare l’opinione pubblica dal seguire
organi di informazione che tendono, strumentalmente, a
spettacolarizzare il dibattito, al fine di avere più
audience, oppure per
vendere qualche copia in più, oppure ancora per proporsi come
capofila di un processo di
polarizzazione ideologica. Al contrario, certi elementi e certi operatori, sia
medici, sia della
divulgazione scientifica, sono stati addirittura portati a esprimersi, soprattutto nei vari
talk show, come se fossero i
difensori di una minoranza. Ma anche in questo caso, era necessario introdurre
un’ulteriore distinzione, molto
precisa, poiché vi sono
minoranze e
minoranze. Persone che subiscono una
discriminazione sociale per via di alcune loro caratteristiche, come nel caso dei
disabili per esempio, non sono equiparabili a dei semplici
individui impauriti. Le minoranze non sono tutte uguali. Ma dimenticando questa regola basilare, si è finito col dare un
peso eccessivo alla forma, anziché alla
sostanza, al fine di segnalare un
limite: un rispondere al telefono sollevando la
cornetta al contrario, parlando nell’altoparlante anziché nel microfono. Quando serve dare uno
'schiaffo', bisogna darlo, anziché rifugiarsi tra i
formalismi. E’ esattamente questo ciò che ci insegnò
Charlie Chaplin in
‘Luci della ribalta’, nella scena in cui la
giovane ballerina protagonista della vicenda si rifiuta di
entrare in scena in quanto
‘autoparalizzata’ dalle proprie
paure. E in quel momento drammatico, il vecchio
Calvero deve ricorrere a un
‘ceffone’, pur di risvegliare una
reazione nell’artista che si rifiutava di andare incontro al suo
destino. Ed è stato esattamente questo
processo logico a condurre molti di noi verso il
concetto giuridico di
‘obbligo’ alla
vaccinazione. In molti, ancora oggi non lo comprendono, mentre i giudici della nostra
Corte costituzionale ci sono arrivati: finalmente, un segnale di vera
concretezza da parte di un
organo dello Stato che ha saputo resistere a ogni processo di
de-istituzionalizzazione, dimostrandosi una delle poche
‘cose serie’ rimaste in questo nostro
povero e
disastrato Paese.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata sul sito web www.gaiaitalia.com)